hATTR e cardiomiopatia: gli effetti di patisiran


hATTR: l’efficacia di patisiran è già stata dimostrata, anche a lungo termine. Resta da chiarire il suo effetto sulla cardiomiopatia associata alla malattia

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Ad agosto del 2018, l’approvazione di un nuovo farmaco, il patisiran, ha cambiato radicalmente la gestione dei pazienti affetti da amiloidosi ereditaria da transtiretina (hATTR). Oggi, un anno e mezzo dopo, diversi studi clinici continuano a valutare le potenzialità di questa molecola e a fornire risposte sulla sua efficacia e sicurezza. A riassumere queste evidenze, sulla rivista Expert Opinion on Pharmacotherapy, è stato un team di specialisti del Centro per lo Studio e la Cura delle Amiloidosi Sistemiche del Policlinico San Matteo di Pavia (Paolo Milani, Roberta Mussinelli, Stefano Perlini, Giovanni Palladini e Laura Obici).

La hATTR è una malattia multisistemica rara, rapidamente progressiva e fatale, che viene ereditata con modalità autosomica dominante. Ha un fenotipo clinico eterogeneo causato da mutazioni nel gene TTR che producono una forma mal ripiegata della proteina transtiretina, la quale si deposita sotto forma di fibrille composte da una sostanza insolubile chiamata amiloide. La deposizione può coinvolgere più siti, principalmente il sistema nervoso periferico e autonomo, il cuore e il tratto gastrointestinale, ma può verificarsi anche un coinvolgimento renale e oculare. La rapida progressione della malattia porta al deterioramento della qualità di vita e alla disfunzione d’organo, con una sopravvivenza media di circa 4,7 anni dopo la diagnosi.

Il patisiran, dopo aver ottenuto l’approvazione sia negli Stati Uniti che in Europaè diventato il primo trattamento di RNA interference disponibile per l’amiloidosi hATTR con polineuropatia allo stadio I e II. A convincere le agenzie regolatorie sono stati i dati dello studio APOLLO, che hanno dimostrato come l’utilizzo del farmaco conduca, attraverso il silenziamento genico, a una sostanziale riduzione della concentrazione di transtiretina nel fegato, e quindi a esiti clinici favorevoli.

Nello specifico, il trattamento con patisiran è stato associato a un miglioramento significativo e duraturo nelle scale per la valutazione della polineuropatia, nel profilo della qualità di vita dei pazienti e in diverse misure che registrano il ‘carico’ sistemico della malattia. Gli eventi avversi più comuni sono state le reazioni nel sito d’infusione, specialmente all’inizio del trattamento: un fatto che ha suggerito la necessità di un monitoraggio più attento durante le prime infusioni. Il farmaco, sviluppato dall’azienda biofarmaceutica americana Alnylam, ha inoltre dimostrato, nello studio di estensione in aperto Global OLE, un buon profilo di sicurezza e tollerabilità anche dopo un lungo periodo di trattamento.

L’uso di patisiran, tuttavia, non è stato sufficientemente studiato per trarre conclusioni sulla sua efficacia nel contesto della cardiomiopatia amiloide associata ad hATTR. Per questo motivo è stato avviato il trial APOLLO-B, che valuterà il ruolo della molecola in questo sottogruppo di popolazione, mentre il trial APOLLO-A farà lo stesso nei pazienti sottoposti a trapianto di fegato. Il farmaco, infine, verrà messo a confronto nel trial HELIOS-A con un’altra molecola, prodotta da Alnylam, il vutrisiran. Quest’ultimo, un analogo di patisiran somministrato per iniezione sottocutanea, è attualmente oggetto di indagine anche nello studio HELIOS-B. Rispetto a un altro precedente farmaco, il revusiran (il cui sviluppo clinico è stato interrotto nel 2016), il vutrisiran è stato modificato per consentire una quantità inferiore di medicinale somministrato e ottimizzare quindi la sicurezza e la tollerabilità.

Come sottolineano gli esperti del San Matteo di Pavia, i risultati di queste ricerche potranno cambiare l’approccio terapeutico non solo per l’amiloidosi ATTR ereditaria, ma anche per la più frequente forma acquisita (wild-type) della malattia. Gli studi stanno valutando altre possibili strategie per migliorare il trattamento con patisiran, come le infusioni a domicilio effettuate da parte di operatori sanitari: questo metodo, che consentirebbe un uso più semplice del farmaco, è attualmente utilizzato solo nei Paesi che prendono parte allo studio di estensione in aperto.

“L’utilizzo del trapianto di fegato e degli stabilizzatori della transtiretina ha portato a un miglioramento nella sopravvivenza solo in alcuni sottogruppi di pazienti: tutto ciò sarà probabilmente associato ad un aumento nella progressione della malattia a livello degli occhi e del sistema nervoso centrale, e gli studi prospettici consentiranno di concentrarsi su tali possibili complicanze”, spiegano gli autori della revisione. “Un altro aspetto importante è la migliore conoscenza generale della malattia, associata all’uso di metodi non invasivi per la diagnosi – in particolare quella del coinvolgimento cardiaco – che ha consentito un aumento nella diagnosi precoce dei portatori asintomatici, i quali possono essere seguiti attentamente ed essere l’obiettivo di approcci terapeutici efficaci. Infine, gli studi clinici in corso sui nuovi farmaci e la loro combinazione con le opzioni oggi disponibili cambieranno ulteriormente il panorama del trattamento di questa malattia”.