La “vera” pasta per gli italiani è al dente: tutto dipende dalla lavorazione


AIDEPI spiega i cinque effetti della produzione per garantire la tenuta preferita dal 77% dei connazionali

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Un essiccamento non uniforme, se troppo rapido, può favorire deformazioni e fessurazioni della pasta

ROMA – Quando si parla di pasta, la tenuta al dente per gli italiani è il primo fattore di qualità (con il 77% delle preferenze, secondo una ricerca Doxa – AIDEPI). D’altra parte, i nostri maggiori “timori” sono che in cottura la pasta “si rompa” (66%) o che “si attacchi” (59%). Ma chi pensa che questi fattori dipendano dalla bravura del cuoco si sbaglia di grosso. Tutto comincia molto prima, nel pastificio. Dove semola e acqua sono gli strumenti e il pastaio il musicista alla ricerca dell’armonia, dell’equilibrio perfetto…in punta di forchetta.

Grano duro: di nome e di fatto

Tutto inizia dal grano duro, l’unico con cui in Italia si può fare e commercializzare la pasta. Che è “duro” di nome e di fatto: a differenza del grano tenero, la sua struttura è vitrea e non farinosa, il suo impasto non è troppo estensibile ma resta molto tenace. Proprio per questo, fin dall’antichità, la sua lavorazione non è quasi mai stata manuale ma realizzata con l’ausilio di macchine e strumenti. Facendo della pasta un prodotto in un certo senso “industriale” fin dalle origini, o quasi. L’evoluzione dei macchinari nei secoli (gramola a stanga, ingegno, torchio a trafila o idraulico, pressa meccanica continua…) racconta l’arte del pastaio e la complessità di un processo produttivo in cui i dettagli fanno la differenza.

Impasto omogeneo e ben idratato

Idratazione, essiccazione e nuovamente idratazione. Semplificando all’estremo, dal pastificio alla tavola la pasta attraversa queste tre fasi, tutte determinanti per la sua tenuta in cottura. La prima idratazione avviene impastando acqua e semola. Assorbendo acqua, si forma il reticolo glutinico, che trattiene l’amido e assorbe fino al 200% del suo peso. Una idratazione buona e uniforme è fondamentale per ottenere un prodotto finito di qualità.

In questa fase entrano in gioco tenore e elasticità del glutine, il contenuto proteico, le dimensioni delle particelle di semola (più sono grandi, più lento l’assorbimento di acqua), la temperatura dell’acqua per l’impasto (quella ottimale è di circa 35°C). Per rendere l’impasto omogeneo e togliere tutta l’aria, l’impasto avviene in due fasi e l’ultima si realizza sottovuoto. In questo modo le particelle di semola più piccole, con un eccesso di acqua, andranno più facilmente a contatto con quelle più grandi, che ne sono in debito. Inoltre l’aria nell’impasto lo renderebbe grigiastro e formerebbe bollicine bianche.

La trafilatura

Poi l’impasto viene compresso e spinto in modo uniforme e con la pressione giusta sulla trafila. Un impasto con la giusta consistenza, compatto e senza grumi mantiene il reticolo proteico più ordinato e uniforme. Proprio come una rete da pesca a maglie strette e senza buchi. Per questo quando troviamo nella confezione un fusillo o una penna di dimensioni diverse, vuol dire che durante il processo produttivo l’impasto non è stato spinto in modo omogeneo attraverso la trafila. Se poi lo spessore della pasta non fosse omogeneo, avremo zone più idratate e altre più dure. Un difetto che la pasta rivelerà in cottura, lasciando una spiacevole sensazione alla masticazione. E un pasto meno digeribile.

L’eliminazione graduale dell’acqua

Quando passa attraverso la trafila, la pasta ha ancora un’umidità pari a circa il 30%, ma per essere messa in commercio deve calare al di sotto del 12,5% per legge. Un essiccamento perfetto deve essere uniforme su tutta la superficie e soprattutto tra esterno e interno della pasta, per evitare che poi si rompa nel pacco o in cottura o che resti poco tenace in bocca. È un processo di durata variabile e in più momenti, intervallati dalle cosiddette pause di rinvenimento, durante le quali le molecole d’acqua hanno il tempo di redistribuirsi all’interno del prodotto.

È un’operazione critica in quanto un essiccamento non uniforme, se troppo rapido, può favorire deformazioni e fessurazioni della pasta; se troppo lento, può invece determinare che la pasta inacidisca o ammuffisca.

Cosa succede alla pasta quando finisce in pentola

Durante la cottura, l’acqua penetra progressivamente nella pasta (che infatti diventa via via più molle). L’ebollizione fa sì che la pasta si muova continuamente e quindi venga colpita dall’acqua in ogni suo punto. Amido e proteine subiscono due trasformazioni opposte e quasi contemporanee.

L’amido si rigonfia, aumentando di volume, gelatinizza e, disaggregandosi, si solubilizza. In questa fase riesce ad attraversare il reticolo proteico e fuoriuscendo in parte dalla pasta. Lo vediamo quando l’acqua di cottura diventa meno trasparente, facendosi via via più torbida tanto maggiore è la quantità di amido “fuggito”.

Fortunatamente, alle proteine accade il fenomeno opposto. La loro progressiva coagulazione “stringe le maglie” del reticolo glutinico e scherma l’amido all’interno della struttura. La prevalenza dell’uno o dell’altro fenomeno cambia tutto. Una piccola fuoriuscita di amido aiuta la pasta a legarsi con il sugo. Ma se eccessiva la rende collosa e scotta.