Con farmaci biologici buoni risultati per Crohn e colite ulcerosa


Le terapie avanzate tramite i farmaci biologici sono tra le più efficaci per il trattamento della rettocolite ulcerosa e della malattia di Crohn

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Le terapie avanzate tramite i farmaci biologici e le small molecules utilizzate per il trattamento della rettocolite ulcerosa e della malattia di Crohn in fase moderata-grave sono tra le armi più efficaci per la cura dei pazienti. L’esperienza consolidata ha dimostrato la loro sicurezza nel lungo termine, ma per una migliore gestione dei pazienti affetti da malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI), è necessario avere un approccio multidisciplinare con una stretta collaborazione tra specialisti quali reumatologo, dermatologo, oculista.

Al tema della multidisciplinarità è dedicata una sessione del XIV Congresso Nazionale dell’Italian Group for the Study of Inflammatory Bowel Disease (IG-IBD).

Uno degli argomenti trattati è quello delle reazioni paradosse ai farmaci cioè le manifestazioni patologiche, quali la psoriasi e l’artrite indotte dai farmaci immunomodulanti, che nella pratica clinica sono usati per la cura di quelle stesse malattie. L’effetto è ampiamente descritto con l’impiego di farmaci biologici, gli inibitori del TNF-α (Tumor Necrosis Factor alfa). “Sono eventi rari – spiega Daniela Pugliese, gastroenterologa della Università Cattolica del Sacro Cuore, Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS di Roma -, colpiscono solo una minoranza di pazienti sia affetti da MICI ma anche da altre patologie, quali quelle reumatologiche. Nel corso degli anni con il supporto dei colleghi specialisti, abbiamo imparato a gestire le manifestazioni, che in alcuni casi si presentano in forme lievi, gestibili senza dover modificare la terapia immunomodulante di fondo, in altri invece risulta necessario una sospensione definitiva con il passaggio ad altro farmaco”.

Ad oggi la causa primaria non è nota, sebbene il meccanismo patogenetico sembra essere correlato ad uno sbilanciamento tra citochine infiammatorie e non è possibile identificare i pazienti più a rischio.

Post chirurgia 
Nei pazienti con malattia di Crohn sottoposti a intervento chirurgico e che mostrano almeno un fattore di rischio di recidiva la terapia immunomodulante viene prescritta in maniera preventiva, in accordo con le linee guida disponibili. “I principali dati riguardano l’utilizzo degli inibitori del fattore di necrosi tumorale (anti-TNF) che si dimostrano efficaci anche in pazienti esposti a questa classe di farmaci prima dell’intervento. Relativamente ai biologici con altri meccanismi d’azione, sia vedolizumab sia ustekinumab hanno recentemente dimostrato di essere una valida alternativa con risultati incoraggianti”, spiega Gabriele Dragoni, gastroenterologo presso il Dipartimento di Gastroenterologia dell’Ospedale universitario Careggi di Firenze.

In questi casi, è sempre necessario considerare il rapporto tra rischio e beneficio nell’intraprendere una terapia immunosoppressiva profilattica in un paziente che non ha malattia attiva e potrebbe subire un eccesso di trattamento, con un’esposizione ingiustificata ai potenziali effetti collaterali.

“L’ipotesi avanzata è se si possa attendere il risultato di una colonscopia precoce a sei mesi dall’intervento prima di iniziare eventualmente una terapia biologica, oppure se questa strategia attendista sia svantaggiosa nel lungo termine. Una risposta chiara a tale interrogativo ce la potrà dare nei prossimi anni il trial clinico in corso “SOPRANO-CD”, su pazienti che hanno subito una resezione ileo-colica in Belgio e in Italia, che ha come obiettivo primario proprio la valutazione di questo aspetto”.

Herpes Zoster
L’alterazione del sistema immunitario e l’uso di terapie immunosoppressive espongono i pazienti con malattie infiammatorie croniche intestinali al rischio maggiore di sviluppare l’Herpes Zoster, comunemente noto come fuoco di Sant’Antonio.

Questo avviene non tanto per una maggior esposizione – dal momento che i soggetti con IBD, come i soggetti sani, contraggono il virus sotto forma di varicella, spesso durante l’infanzia -, quanto piuttosto di maggior frequenza di riattivazione del virus sotto forma di Herpes Zoster. Diversi studi dimostrano che tutte le persone con rettocolite ulcerosa o malattia di Crohn, hanno una probabilità maggiore di riattivazione del virus rispetto ai soggetti sani.

Oggi però si può prevenire efficacemente con l’utilizzo di un vaccino ricombinante approvato anche per le persone in terapia immunosoppressiva: “nel nostro studio prospettico, tra i primi del genere in letteratura e che presenteremo al Congresso – afferma la dottoressa Marianna Franco, afferente alla Uoc di Gastroenterologia dell’Ospedale Santa Maria del Prato di Feltre e medico in formazione specialistica in Allergologia e Immunologia Clinica, Università degli studi di Padova -, abbiamo valutato la capacità di indurre una risposta immunitaria di questo vaccino ricombinante in un centinaio di pazienti con malattie infiammatorie croniche intestinali in terapia immunosoppressiva. I nostri risultati dimostrano come la vaccinazione si associ ad una robusta risposta immunitaria, indipendentemente dal tipo di terapia immunosoppressiva usata. Un altro dato importante – sottolinea – riguarda la sicurezza perché non si sono verificati eventi avversi severi legati alla vaccinazione”.

Infezioni
Le infezioni gastroenteriche (batteriche, virali e parassitarie) sono un rischio in cui possono incorrere i pazienti con malattie infiammatorie croniche intestinali. In uno studio monocentrico trasversale, che verrà illustrato al Congresso, condotto su pazienti con rettocolite ulcerosa in remissione, è stata valutata la prevalenza di infezioni tramite l’impiego di test.

“La prevalenza di infezioni nei pazienti in corso di attività clinica è risultata del 30%, superiore ai dati disponibili in letteratura per le tecniche microbiologiche standard. Studi successivi sono necessari per determinare come questi dati potranno influenzare la gestione clinica dei pazienti con rettocolite ulcerosa in corso di attività clinica e quindi i loro outcome, anche in termini di costi per il sistema sanitario”, spiega la dottoressa Maria Paola Anolli, specializzanda in Malattie dell’apparato digerente presso l’Irccs Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano.