Dieta di esclusione migliora i sintomi della malattia di Crohn


Nei pazienti con malattia di Crohn, sintomi e infiammazione sono migliorati grazie alla dieta di esclusione

Per migliorare la qualità di vita dei pazienti affetti da malattia di Crohn e malattia fistolizzante nasce il Manifesto #Sharethesolution

La dieta per i pazienti con malattie infiammatorie croniche intestinali è stata negli ultimi anni rivoluzionata. Si è passati da una dieta restrittiva, con l’obiettivo di ridurre i sintomi o il rischio di ostruzione del transito, ad un nuovo approccio orientato alla modulazione della flora batterica intestinale con lo scopo di indurre un’azione antinfiammatoria. L’ultima innovazione è la dieta di esclusione per la malattia di Crohn nel paziente adulto: una novità importante, mutuata in parte dall’esperienza pediatrica, che inizia a mostrare dei vantaggi anche in età adulta.

Al XIV Congresso Nazionale dell’Italian Group for the Study of Inflammatory Bowel Disease (IG-IBD), l’evoluzione della dieta per i pazienti con IBD è stata al centro di una sessione che ha avuto fra i relatori anche la professoressa Maria Teresa Abreu, esperta internazionale di malattie infiammatorie croniche intestinali, Direttrice del Centro per le IBD dell’Università di Miami e Presidente eletta dell’American Gastroenterological Association (AGA).

“Esistono – afferma la professoressa Abreu – diverse diete rigorosamente studiate che migliorano i sintomi e l’infiammazione nei pazienti con malattie infiammatorie intestinali. Sfortunatamente, ci sono pochi dietologi che possono aiutare i pazienti e i nostri studi hanno dimostrato che è molto difficile cambiare il comportamento alimentare. A molti pazienti – sottolinea – è stato detto di non mangiare fibre e questo è un peccato poiché è una delle cose che riduce il sintomo della diarrea e migliora il microbioma”.

La gestione dei pazienti affetti da malattia di Crohn rappresenta una sfida significativa non solo per il gastroenterologo, ma anche per tutte le altre figure mediche coinvolte nel trattamento. L’alimentazione riveste un ruolo fondamentale nella terapia della malattia di Crohn, poiché contribuisce al trattamento della malnutrizione, spesso associata alla patologia, favorisce il controllo dei sintomi, può migliorare gli indici infiammatori e promuovere la guarigione della mucosa intestinale.

Ad oggi, nell’ambito pediatrico-adolescenziale, è noto che la nutrizione enterale esclusiva, costituita da una alimentazione artificiale e liquida per un determinato periodo di tempo, possa rappresentare un trattamento per favorire la remissione della malattia di Crohn in fase attiva, senza complicazioni, mentre, per quanto riguarda l’età adulta, mancano ancora delle evidenze certe. Diverso è il protocollo nutrizionale di esclusione che ha l’obiettivo di ridurre o evitare l’esposizione a fattori alimentari che potrebbero favorire il peggioramento della malattia.

“La dieta di esclusione per il morbo di Crohn (CDED – Crohn’s Disease Exclusion diet), elaborata da un gruppo di ricercatori israeliani, emerge come un trattamento dietetico, con fondate basi scientifiche nella promozione della remissione della malattia”, spiega Andrea Pasta, specializzando e dottorando in Gastroenterologia presso l’Università degli Studi di Genova Irccs Policlinico San Martino di Genova, fra i relatori al Congresso.

“In base all’analisi intermedia del nostro studio randomizzato sull’applicazione pratica della dieta a esclusione negli adulti con attività lieve-moderata della patologia – continua il dottor Pasta -, abbiamo constatato che dopo dodici settimane, un maggior numero di pazienti nel gruppo che ha seguito la dieta di esclusione ha raggiunto la remissione clinica rispetto al gruppo di controllo. Nonostante una tendenza di lieve calo di peso associata alla dieta, l’analisi della composizione corporea, mediante bioimpedenziometria, ha evidenziato una riduzione della massa grassa e un aumento significativo della massa magra, in particolare della massa cellulare metabolicamente attiva, consegnando quindi una composizione più favorevole rispetto all’avvio della terapia. Questi risultati promettenti, benché preliminari, mostrano un’ottima efficacia nell’indurre la remissione clinica nei pazienti con malattia di Crohn, un’attività clinica lieve-moderata e suggeriscono altresì che tale approccio possa essere sicuro e ben tollerato”.