Intervento coronarico percutaneo: buoni risultati con DAPT breve


Nei pazienti sottoposti a intervento coronarico percutaneo trattati con doppia terapia antipiastrinica (DAPT) abbreviata, meno sanguinamento e niente rischio ischemico

Secondo i risultati di uno studio, guardare la TV per quattro ore al giorno o più è associato a un rischio più alto del 35% di coaguli di sangue

Nei pazienti ad alto rischio di sanguinamento sottoposti a intervento coronarico percutaneo (PCI) trattati con doppia terapia antipiastrinica (DAPT) abbreviata, l’assenza di rischio ischemico e la riduzione del sanguinamento persistono oltre un anno di follow-up». Lo confermano i dati aggiornati dello studio MASTER DAPT, comunicati a Barcellona nel corso dell’ESC22, e che erano stati presentati per la prima volta l’anno scorso all’ESC21.

«Questi risultati rafforzano la necessità di identificare i pazienti ad alto rischio di sanguinamento sottoposti a PCI in modo che possano essere prese decisioni anticipate sul trattamento antipiastrinico e sulla sua durata per mitigare il rischio di sanguinamento e ottimizzare i risultati» ha detto il ricercatore principale Marco Valgimigli, della Fondazione Cardiocentro Ticino di Lugano (Svizzera).

Le evidenze dello studio originario
Nel MASTER DAPT, i pazienti con sindrome coronarica acuta o cronica ad alto rischio di sanguinamento sono stati sottoposti a PCI con stent polimerico biodegradabile a eluizione di sirolimus, ha ricordato Valgimigli.

I pazienti senza eventi ischemici ed emorragici e che hanno aderito a un regime DAPT, a un mese dopo PCI sono stati randomizzati all’interruzione immediata della DAPT oppure alla continuazione del trattamento per un massimo di un anno, ha continuato.

«La DAPT a un mese non è risultata determinante in termini di eventi cardiaci o cerebrovascolari avversi maggiori (MACCE) e netti ed è stata associata a un numero inferiore di sanguinamenti maggiori o sanguinamenti clinicamente rilevanti non maggiori a 11 mesi» ha specificato Valgimigli.

Analisi finale prespecificata di 15 mesi
Dopo lo studio della durata di 12 mesi, i pazienti di entrambi i gruppi di trattamento hanno ricevuto cure cliniche di routine a discrezione del proprio medico. I ricercatori hanno registrato farmaci ed eventi avversi durante i successivi tre mesi e, in questa presentazione nel corso dell’ESC22, sono stati riportati i risultati dell’analisi finale prespecificata di 15 mesi.

Dei 2.295 e 2.284 pazienti randomizzati rispettivamente alla DAPT abbreviata rispetto a quella standard, nell’ordine 2.205 e 2.186 pazienti hanno iniziato le cure di routine a 12 mesi. Il follow-up completo a 15 mesi era disponibile per il 99,8% e il 99,9% dei pazienti rispettivamente nel braccio DAPT abbreviata e standard.

Per le cure di routine, i medici tendevano a continuare il trattamento assegnato nello studio. «Le linee guida raccomandano che i pazienti non in trattamento anticoagulante orale (OAC) interrompano la DAPT» ha sottolineato Valgimigli «ma oltre il 15% dei pazienti non OAC era ancora in trattamento con DAPT a 15 mesi nel braccio DAPT standard, una cifra circa tre volte superiore a quella corrispondente nel braccio DAPT abbreviata».

Allo stesso modo, sebbene le linee guida raccomandino che i pazienti con OAC, se esenti da eventi ischemici ricorrenti o interventi ripetuti, interrompano la singola terapia antipiastrinica (SAPT), più di un quarto era ancora in trattamento con SAPT nel braccio DAPT standard rispetto al 14% del gruppo in trattamento abbreviato.

Nella modellizzazione multivariata, l’allocazione precedente al trattamento abbreviato era un forte predittore indipendente di SAPT rispetto a DAPT nei pazienti non OAC e di nessun antipiastrinico rispetto a SAPT nei pazienti con OAC.

«Abbiamo anche scoperto che, a eccezione dell’età, il rischio di sanguinamento non ha influenzato la scelta della DAPT rispetto alla SAPT, né il sanguinamento precedente» ha dichiarato Valgimigli. «Al contrario, i marcatori clinici o procedurali del rischio ischemico hanno spinto i medici a prolungare la DAPT oltre un anno».

I risultati dei tre esiti co-primari
I ricercatori hanno riportato risultati a 15 mesi secondo l’assegnazione originale del trattamento per i tre esiti co-primari dello studio principale:

  1. eventi clinici avversi netti (NACE: composito di mortalità per tutte le cause, infarto miocardico, ictus e sanguinamento maggiore o clinicamente rilevante non maggiore):
  2. eventi cardiaci e cerebrali avversi maggiori (MACCE: composito di morte per tutte le cause, infarto miocardico e ictus);
  3. sanguinamento maggiore o clinicamente rilevante non maggiore (sanguinamento BARC [Bleeding Academic Research Consortium] di tipo 2, 3 o 5).

NACE si sono verificati in 199 (8,7%) e 214 (9,5%) pazienti, rispettivamente, nei gruppi DAPT abbreviata e standard, per un hazard ratio (HR) di 0,92 ( intervallo di confidenza al 95% [CI] 0,76-1,12; p=0,399) e una differenza di rischio di -0,75 punti percentuali (IC 95% da -2,42 a 0,93).

MACCE si sono verificati in 158 (6,9%) e 167 (7,4%) pazienti rispettivamente nei bracci DAPT abbreviata e standard (HR 0,94; IC 95% 0,76-1,17; p = 0,579), per una differenza di rischio di -0,51 punti percentuali (IC 95% da -2,01 a 1,00).

Il sanguinamento maggiore o clinicamente rilevante non maggiore è rimasto inferiore nel braccio DAPT abbreviata rispetto al braccio DAPT standard (167 [7,4%] contro 239 [10,7%]; HR 0,68; 95% CI 0,56–0,83; p=0,0001), per una differenza di rischio di -3,25 punti percentuali (IC 95% da -4,93 a -1,58).

Il “carry over reflex”
«Abbiamo scoperto che quando viene prescritta la DAPT o la SAPT, quel trattamento tende a continuare più a lungo di quanto raccomandato [carry over reflex]» ha affermato Valgimigli.

«Questa scoperta inaspettata può spiegare la coerenza degli effetti del trattamento tra le fasi di cura randomizzate e di routine del nostro studio. Indica inoltre la necessità di definire chiaramente la durata della terapia in anticipo per evitare trattamenti potenzialmente non necessari» ha concluso.

I messaggi-chiave

  • A 15 mesi, nel braccio dello studio con DAPT abbreviata, non c’è stato alcun eccesso di eventi ischemici mentre persisteva un inferiore sanguinamento (confermando così i risultati a 12 mesi).
    • La de-intensificazione precoce della terapia antipiastrinica nei pazienti con alto rischio di sanguinamento è associata a un sanguinamento inferiore e nessuna penalizzazione ischemica anche oltre i 12 mesi, nonostante la riduzione delle cure di routine a 1 anno.
  • Nelle cure di routine, l’assegnazione preventiva al trattamento standard è stata un fattore importante per una terapia antipiastrinica più intensa oltre i 12 mesi (riflesso di trascinamento [carry over reflex]). I marcatori di rischio ischemico ma non emorragico hanno anche influenzato il processo decisionale di intensificare la terapia antipiastrinica a lungo termine.
    • I medici hanno la propensione proseguire il precedente trattamento antipiastrinico nonostante non sia indicato («… in caso di dubbi, continuiamo il trattamento!») e sono affetti da marcatori di rischio ischemico, ma non emorragico, per la durata della terapia antipiastrinica.

Fonte:
Valgimigli M. Final Results of the MAnagement of high bleeding risk patients post bioresorbable polymer coated STEnt implantation with an abbReviated versus prolonged DAPT regiment ESC22. Barcelona (Spain).