Charcot-Marie-Tooth: il punto sulla patologia


Malattia di Charcot-Marie-Tooth: il dr. Francesco Ferraro fa il punto sulla patologia nel mese dedicato alla ricerca e alla sensibilizzazione

Malattia di Charcot-Marie-Tooth: un questionario sull’impatto del nuovo Coronavirus per valutare quanto sia cambiato lo stile di vita dei pazienti

Il dr. Francesco Ferraro sarà ambasciatore della quarta Campagna di sensibilizzazione della Federazione Europea CMT sulla malattia di Charcot-Marie-Tooth, in corso questo mese. Ferraro è Direttore della struttura di Riabilitazione Neuromotoria del Presidio di Bozzolo (MN) e Direttore del dipartimento di Riabilitazione dell’ASST di Mantova. Da anni è in essere una collaborazione con ACMT-Rete che ha dato ottimi frutti in termini di produzione scientifica e risultati ottenuti, come ad esempio il lavoro scientifico sull’utilità della chirurgia nei pazienti con malattia di Charcot-Marie-Tooth (CMT) o il protocollo riabilitativo post-chirurgico.

Dr. Ferraro, come ha scoperto dell’esistenza della malattia di Charcot-Marie-Tooth?

Era la fine degli anni ’90 e lavoravo come medico fisiatra nell’Ospedale Maggiore di Parma. Fu lì che grazie al Prof. Franco Gemignani iniziai a conoscere persone con deficit funzionali causati dalla Malattia di Charcot-Marie-Tooth. Avevo da poco terminato la Specializzazione in Neurologia, che ritenevo un completamento della mia formazione professionale di Specialista in Medicina Fisica e Riabilitazione. Iniziare a valutare pazienti con deficit sensitivi e motori così peculiari mi diede la possibilità di approfondire concetti fondamentali per la riabilitazione. Nelle persone con CMT, ebbi modo di valutare come tali soggetti presentano deficit neurologici che causano alterazioni biomeccaniche dell’apparato muscolo-scheletrico che rendono difficoltose funzioni importanti come la deambulazione, l’equilibrio e la funzionalità della mano, con conseguente alterazione della qualità della vita. I concetti, fondamentali per la riabilitazione, di presa in carico della persona precocemente, in modo continuativo nel tempo, con una visione bio-psico-sociale e con un lavoro in team, si adattavano perfettamente alla cura di queste persone. Entrai quindi a far parte del gruppo di specialisti che si occupavano di CMT e conobbi fin da subito i rappresentanti dell’associazione ACMT-Rete, con i quali si instaurò subito un clima di collaborazione ed amicizia che è proseguita ancor più proficuamente presso la Struttura di Riabilitazione Neuromotoria dell’ASST di Mantova, nel Presidio di Bozzolo che attualmente dirigo.

Secondo lei, come possiamo suscitare negli altri professionisti motivazione e curiosità per andare oltre durante la visita di un paziente e trovare la giusta diagnosi e il trattamento corretto?

Parlo ovviamente da fisiatra e mi rivolgo soprattutto ai professionisti della riabilitazione che ricordo sono tanti: medici, fisioterapisti, tecnici ortopedici, psicologi, terapisti occupazionali, logopedisti, infermieri. Purtroppo nella formazione professionale di questi operatori le malattie rare sono spesso poco studiate. Pertanto il primo approccio con tali pazienti dovrebbe avvenire durante la formazione universitaria. Sappiamo com’è importante per uno studente avere docenti che, oltre a far conoscere la patologia, ispirino curiosità ed entusiasmo per la materia che insegnano. In seguito, durante la propria vita professionale, è necessario cogliere le occasioni di aggiornamento e specializzazione; per questo sono importanti i corsi di aggiornamento come quelli che ACMT-Rete organizza annualmente. Inoltre sono fondamentali, ai giorni nostri, tutti i canali di informazione che rendono ormai diffuse le conoscenze anche sulle malattie rare. È necessario però volerle cercare! Credo che la motivazione più grande che deve spingere un professionista nella cura di una persona sia molto semplicemente la soddisfazione del paziente. Personalmente, l’energia che ricevo dalla soddisfazione del paziente nel sentirsi ascoltato e nel percepire l’impegno nel trovare soluzioni, a volte difficili, ai problemi manifestati, mi dà la forza per continuare a lavorare senza stancarmi.

Quale sarebbe il suo messaggio per i suoi colleghi per incoraggiarli a essere più curiosi nella loro pratica medica?

La curiosità, nella vita, è la dote umana che consente la scoperta di soluzioni. Nella pratica medica, senza curiosità non ci sarebbero scoperte, quindi credo debba essere una dote che vada alimentata. Nel caso della diagnosi e della cura delle persone con CMT, come di molte altre patologie cronico-degenerative, è necessario far superare il concetto che non essendoci ancora una cura causale non ci siano soluzioni ai problemi dei pazienti, ed è altresì importante sapere che le persone hanno un potenziale a volte inespresso che possiamo far emergere con la riabilitazione. Non sottovalutare i sintomi, fare diagnosi precoce e creare un percorso diagnostico-terapeutico e riabilitativo è fondamentale. Sapere che vi sono nuovi concetti di neurofisiologia che stanno alla base delle metodiche riabilitative, conoscere le soluzioni ortesiche sempre più aggiornate e le possibilità chirurgiche, ribadire l’importanza dell’attività fisica e del corretto approccio psicologico devono indurre tutti coloro che vengono a contatto con le persone con CMT a orientarle verso un percorso specialistico appropriato.

Quali sono i principali problemi di salute causati da questa malattia? E il suo impatto sulla società e sulla sanità pubblica?

Le persone con CMT presentano quadri clinici e funzionali molto vari anche all’interno della stessa famiglia. I principali problemi di salute sono l’ipotrofia e l’ipostenia muscolare delle gambe, con deficit soprattutto della dorsiflessione e, in misura minore, della plantiflessione e pronazione del piede. Ai deficit muscolari si associano deficit della sensibilità tattile-dolorifica e, nei casi più gravi, della sensibilità propriocettiva. Conseguenza dei deficit muscolari sono gli squilibri di attività muscolare, che comportano nella gamba retrazione del tendine d’Achille e nel piede cavismo con dita a griffe più o meno riducibile. È fondamentale considerare che gli squilibri muscolari, seppur distali, causano alterazioni posturali tali da compromettere la normale funzionalità anche dei muscoli prossimali indenni, con riduzione della capacità di allungarsi e attivarsi in modo fisiologico e con conseguente perdita di forza e trofismo. I deficit appena descritti causano alterazioni di due funzioni motorie fondamentali, l’equilibrio e il cammino. Molti pazienti presentano difficoltà nel mantenere la posizione eretta per la retrazione del tendine d’Achille, che causa una retroposizione della tibia, e per il deficit dei muscoli dorsiflessori e dei peronei, che non consente gli aggiustamenti posturali atti a riportare il baricentro all’interno della base d’appoggio dei piedi. Se a ciò si aggiungono i deficit sensitivi, soprattutto quelli propriocettivi, il deficit di equilibrio si accentua ulteriormente.

Il cammino si presenta, nella maggior parte dei casi, con schema cosiddetto “steppante”, cioè con accentuata flessione di anche e ginocchia per evitare lo strisciamento della punta del piede al suolo e, in taluni casi, con iperestensione delle ginocchia. Nei casi in cui vi sono deficit sensitivi il cammino è anche atassico, cioè a base allargata con ampie oscillazioni del tronco ed elevato rischio caduta. A causa dei deficit muscolari e delle alterazioni di equilibrio e cammino, i soggetti con CMT possono sviluppare maggiore affaticabilità, riduzione della capacità di tolleranza allo sforzo e, in rari casi, presentare specifici deficit respiratori per interessamento del nervo frenico. A livello degli arti superiori, le difficoltà maggiori sono a carico della presa e manipolazione di oggetti di piccole dimensioni, con conseguenti deficit funzionali in alcune delle comuni attività della vita quotidiana quali l’abbigliamento, l’alimentazione e talvolta la scrittura. Come conseguenza degli squilibri muscolari, o in alcune forme specifiche, si associano deformità rachidee quali cifoscoliosi e iperlordosi lombosacrale.

Gli altri sintomi non motori dei pazienti con CMT sono i crampi e il dolore, che può essere nocicettivo, a carico più frequentemente di piedi, colonna vertebrale e ginocchia, neuropatico o misto. Raro è l’interessamento del nervo acustico con ipoacusia. Da non dimenticare, inoltre, i risvolti psicologici che tale malattia induce nelle persone, quali stati ansiosi e depressivi reattivi alla condizione clinica.

Dai problemi sopra elencati si deduce come tali soggetti necessitino di indagini diagnostiche, cure mediche, riconoscimento di invalidità, permessi per potersi curare, compensi, ausili e ortesi che impattano conseguentemente sull’organizzazione sociale e sulla spesa sanitaria.

Qual è il trattamento ideale per questi pazienti?

Considerato che, allo stato attuale, non vi ancora è una terapia causale che possa risolvere le problematiche cliniche di tali persone, il cardine della terapia è quello di un percorso terapeutico-riabilitativo e chirurgico che, come già detto, deve essere precoce, globale, continuativo nel tempo e attuato da un team multi-professionale integrato. Importante ribadire come la riabilitazione sia fondamentale nel percorso di cura di questi pazienti, a patto che essa sia basata su un Progetto Riabilitativo Individuale che riconosca i bisogni del paziente, individui gli obiettivi da raggiungere, definisca i programmi riabilitativi e stabilisca indicatori di valutazione, tempi e setting riabilitativi appropriati.

Considerate le problematiche clinico funzionali sopra descritte, i programmi riabilitativi più importanti saranno quelli della rieducazione neuromotoria, l’individuazione di ortesi e ausili appropriati, il supporto psicologico e la terapia occupazionale. Tutti i programmi riabilitativi devono fondarsi sull’approfondita conoscenza della neurofisiologia e dei meccanismi di neuroplasticità, della biomeccanica e delle modalità di “coping” del paziente con CMT.

La rieducazione neuromotoria deve basarsi su esercizi di rinforzo segmentari e globali dei muscoli deficitari del tronco e degli arti, sull’allungamento delle catene muscolari, specie dei muscoli retratti come sovente il tendine d’Achille, su esercizi di equilibrio e coordinazione con compiti “dual task”, sulla mobilizzazione segmentaria delle deformità articolari, sull’attivazione dei muscoli intrinseci delle mani in compiti di presa e manipolazione di oggetti o materiali di varia forma e composizione, sull’allenamento aerobico con cyclette e/o tapis roulant. Gli esercizi dovranno essere motivanti, con gradi di difficoltà crescente e basati sul vissuto del paziente. La rieducazione neuromotoria deve avere anche valenza educativa, per consentire al paziente di proseguire gli esercizi anche a domicilio e favorire la scelta di una attività motoria adattata, fondamentale per il mantenimento dei risultati raggiunti.

La scelta dell’ortesi, sia esso il plantare o tutore per compensare il deficit di dorsiflessione dei piedi, deve essere personalizzata e preceduta, possibilmente, da una prova e da un’attenta analisi del cammino. Esistono tutt’oggi numerose tipologie di tutori gamba-piede e la scelta deve avvenire sulla base della gravità dell’alterazione del cammino, individuando quando possibile la soluzione ortesica meno invasiva per non compromettere l’attività muscolare residua. La terapia occupazionale può fornire gli strumenti per mettere in atto strumenti e strategie atte a consentire l’esecuzione delle attività della vita quotidiana.

Ultima, ma non per questo meno importante, la chirurgia funzionale dell’arto inferiore e, meno frequentemente, dell’arto superiore è un altro cardine dell’approccio terapeutico per le persone con CMT. Attualmente è una chirurgia prevalentemente dei tessuti molli, quali trasposizioni o allungamenti tendinei, oppure, meno frequentemente, sull’osso, per risolvere le deformità strutturate. Infine, è importante che in tutto l’iter terapeutico sia considerato l’aspetto psicologico e, quando necessario, la persona sia seguita con colloqui strutturati.

Ogni persona ha una propria motivazione, uno stimolo che lo spinge a dare il meglio di sé nell’esercizio della propria professione. Qual è la sua e perché ha accettato di essere un ambasciatore CMT per questa nuova campagna di sensibilizzazione?

Come ho già detto, la soddisfazione del paziente nei confronti del mio operato è lo stimolo più forte a fare sempre meglio. Nel corso degli anni si è accresciuta in me la consapevolezza che l’ascolto della persona, l’entrare in empatia e riuscire a trovare soluzioni per il superamento delle difficoltà conseguenti alla disabilità ha ripagato e ripaga ampiamente il mio impegno e invito ogni professionista della riabilitazione a fare altrettanto. Ascoltare le persone con CMT, sempre attente nell’analizzare le proprie problematiche, mi ha insegnato moltissimo e con loro sono cresciuto professionalmente. È quindi doveroso, per me, partecipare alla Campagna europea di sensibilizzazione per la Charcot-Marie-Tooth 2020, e sono molto onorato di poter essere un ambasciatore CMT.