Colangite sclerosante primitiva: una sfida per l’epatologia


Colangite sclerosante primitiva: in Italia sono più di 500 le persone affette da questa malattia, una delle grandi sfide per l’epatologia

Colangite sclerosante primitiva: una sfida per l'epatologia

La colangite sclerosante primitiva (CSP) è una malattia rara del fegato e delle vie biliari che interessa maggiormente individui giovani e rappresenta una delle più importanti sfide dell’epatologia, in considerazione della mancanza di conoscenze sulla causa e sul decorso clinico, nonché per l’assenza di terapie efficaci. Oggi, un nuovo studio ha rilevato che in Italia, in tutti i Centri di riferimento regionali per la malattia, i pazienti affetti da colangite sclerosante primitiva sono più di 500. L’indagine, inoltre, ha evidenziato che l’incidenza della patologia è meno alta in Italia rispetto ai Paesi nordici, e che i tassi di mortalità sono inferiori. È emerso, infine, che il ritardo diagnostico medio è di 4 anni e che il tasso di mobilità interregionale è del 12%.

A rivelare questi dati è uno studio clinico multicentrico, nazionale, appena pubblicato sulla rivista epidemiologica International Journal of Environmental Research and Public Health e promosso dai ricercatori dell’Università di Milano-Bicocca e del Centro per le malattie autoimmuni del fegato dell’Ospedale San Gerardo di Monza, in collaborazione con il Centro Nazionale Malattie Rare e il Servizio di Statistica dell’Istituto Superiore di Sanità.

“Questo rappresenta solo un primo importante passo nello studio della colangite sclerosante primitiva in Italia: sono necessari ulteriori sforzi per identificare le cause della malattia e i fattori associati a una sua evoluzione sfavorevole”, afferma Marco Carbone, docente di Gastroenterologia dell’Università di Milano-Bicocca, dirigente medico di Gastroenterologia dell’Ospedale San Gerardo di Monza e primo autore e responsabile dello studio.

Da questo lavoro emerge la rilevanza degli studi epidemiologici che utilizzano dati statistici, come quelli dell’Istituto Superiore di Sanità, per studiare le malattie rare”, spiega Pietro Invernizzi, direttore dell’unità complessa di Gastroenterologia e del Centro per le malattie autoimmuni del fegato dell’ospedale San Gerardo di Monza e docente di Gastroenterologia dell’Università di Milano Bicocca.

“I risultati ottenuti mediante questo studio sottolineano l’importanza di rafforzare sempre di più, soprattutto nelle malattie rare, le collaborazioni multidisciplinari fra esperti e istituzioni, con diverse competenze”, commenta la dr.ssa Domenica Taruscio, direttore del Centro Nazionale Malattie Rare dell’Istituto Superiore di Sanità.

“Lo studio evidenzia come il ritardo diagnostico e la mobilità interregionale del paziente, fattori comuni per le malattie rare, comportino la necessità di promuovere politiche per aumentare la consapevolezza sulle malattie rare del fegato e delle vie biliari e di attuare una migliore riallocazione delle risorse tra le varie Regioni italiane all’interno del Servizio Sanitario Nazionale”, conclude Davide Salvioni, presidente di AMAF, l’associazione italiana dei pazienti affetti da malattie autoimmuni del fegato.