Sindrome di Hunter: l’ERT allunga la vita dei bimbi


Sindrome di Hunter: la terapia enzimatica sostitutiva migliora la sopravvivenza nei bambini. Il dato emerge da uno studio inglese

Sindrome di Hunter: la terapia enzimatica migliora la sopravvivenza nei bambini

La terapia enzimatica sostitutiva (ERT) migliora la sopravvivenza dei bambini affetti da mucopolisaccaridosi di tipo II (MPS II), nota anche come sindrome di Hunter. Il dato emerge da uno studio retrospettivo condotto in un’ampia coorte di pazienti con MPS II a insorgenza pediatrica: a dimostrare l’impatto positivo dell’ERT in questa grave malattia metabolica è stato un team di ricercatori inglesi, in un lavoro pubblicato sulla rivista Molecular Genetics and Metabolism.

Il gruppo ha riportato gli esiti di 110 pazienti, con una durata media di follow-up di 10 anni e 3 mesi. Fra questi, 78 erano stati trattati con ERT a base di idursulfasi, introdotta in Inghilterra nel 2007, mentre 18 non hanno ricevuto ERT o altri trattamenti modificanti la malattia. Sette pazienti sono stati sottoposti a trapianto di cellule staminali ematopoietiche, quattro a terapia intratecale sperimentale e tre sono stati persi al follow-up.

LA SOPRAVVIVENZA

La sopravvivenza complessiva di questa coorte di pazienti è risultata del 48% a 20 anni, con una netta differenza a favore dei pazienti trattati con ERT (età media alla morte 15,13 anni) rispetto a quelli non trattati (11,43 anni). Il miglioramento della sopravvivenza può essere in parte dovuto all’impatto sul sistema respiratorio: l’introduzione precoce della terapia enzimatica ha migliorato l’esito respiratorio all’età di 16 anni; la percentuale predetta della capacità vitale forzata (FVC) è stata, in media, del 69% in chi ha iniziato l’ERT a meno di 8 anni, e del 48% in chi l’ha iniziata dopo gli 8 anni. Tuttavia, l’ERT sembra avere un impatto minimo su alcune caratteristiche somatiche della MPS II, come i problemi all’udito e la sindrome del tunnel carpale, nonché sulla progressione della malattia cardiaca valvolare. Quest’ultima si è verificata nel 40% dei pazienti, con progressione più frequente nella valvola aortica, nel 28% dei casi.

L’ASPETTO NEUROLOGICO

Uno degli aspetti più intriganti osservati in questa coorte di pazienti è relativo al coinvolgimento neurologico nella sindrome di Hunter. Il paradigma accettato è che i pazienti con MPS II rientrino in uno di due sottotipi: quelli con plateau cognitivo a 48-55 mesi, con conseguente rapido declino, e quelli il cui QI rientra nell’intervallo normale, sebbene con lievi deficit di attenzione. Tuttavia, l’esperienza percepita dagli autori è che non tutti i pazienti rientrino facilmente in questa classificazione binaria, poiché alcuni bambini hanno un chiaro deterioramento intellettivo senza un’evidente rapida regressione. Nella sindrome di Hunter, quindi, le manifestazioni neurologiche sembrano essere più sfumate rispetto alla dicotomia precedentemente riconosciuta, tra fenotipi gravi e attenuati, nei pazienti che presentano la malattia nella prima infanzia.

LE CONCLUSIONI DEI RICERCATORI

“Questa coorte supporta le precedenti evidenze, secondo cui la terapia enzimatica sostitutiva migliora la sopravvivenza complessiva nella MPS II: i dati respiratori, inoltre, indicano che prima si inizia l’ERT, migliore è l’esito”, hanno spiegato i ricercatori inglesi. “Tuttavia, questo miglioramento nella sopravvivenza sembra creare una coorte di pazienti con un aumento della cardiopatia valvolare, senza influire su alcuni aspetti clinicamente importanti della malattia somatica come la necessità di supporto all’udito o di intervento chirurgico per il tunnel carpale. Infine, il nostro studio suggerisce anche che il fenotipo neurologico sia più ampio di quanto notato in precedenza”, hanno concluso gli autori. “Il potenziale di questa eterogeneità dovrebbe essere oggetto di ulteriori ricerche: in caso contrario, il vero impatto delle future terapie mirate all’aspetto neurologico rimarrebbe incerto”.