Pesce: l’Europa ha finito le scorte per il 2019


L’Europa ha consumato tutte le proprie scorte di pesce per il 2019 secondo quanto denuncia il WWF: sulle tavole attenzione a prodotti stranieri

L'Europa ha consumato tutte le proprie scorte di pesce per il 2019 secondo quanto denuncia il WWF: sulle tavole attenzione a prodotti stranieri

L’Europa ha consumato le proprie scorte di pesce per il resto del 2019. Il 9 luglio è il “Fish Dependence Day”, data che identifica simbolicamente la fine per l’Europa di pesce, molluschi e crostacei da approvvigionamento interno e l’inizio delle importazioni e della dipendenza dal pesce estero, fino a fine anno. In questa occasione il WWF lancia l’allarme sul drammatico stato in cui versano gli oceani e il Mediterraneo in cui ad oggi, l’88% degli stock ittici monitorati risulta sovrasfruttato.

Il WWF invita anche noi consumatori ad adottare comportamenti di acquisto responsabili grazie al banco del pesce interattivo, da oggi online, con cui sperimentare la sostenibilità delle proprie scelte.

Tutti i consumatori possono fare la loro parte per contribuire alla tutela del Mediterraneo e di tutti gli oceani, sostenendo il progetto di WWF Fish Forward, co-finanziato dell’Unione Europea. Nella guida online al consumo sostenibile l’organizzazione racconta quali sono i piccoli gesti responsabili che possiamo adottare negli acquisti di tutti i giorni, per fare la differenza: ad esempio privilegiare specie locali e poco comuni, utilizzare le etichette come fonte di informazioni utili nella scelta del pesce più sostenibile, conoscere le certificazioni, fare attenzione alle taglie minime di ogni specie. Sono solo alcuni criteri su cui da oggi possiamo metterci alla prova grazie al banco del pesce interattivo di WWF. Giocando e rispondendo ai vari quesiti, proprio come se fossimo di fronte ad un vero banco del pesce fresco al mercato, ognuno potrà scoprire se le proprie scelte sono sostenibili e tutto ciò che c’è da sapere per adottare misure responsabili.

Per far fronte ad una domanda di pesce sempre crescente, l’UE è diventato il più grande mercato ittico del mondo, nonché il maggiore importatore di prodotti ittici, metà dei quali provengono dai paesi in via di sviluppo.

Se per gli europei la notizia è negativa, per il mercato italiano è ancora più sconcertante. L’Italia infatti, ha esaurito l’equivalente della propria produzione annua il 6 aprile di quest’anno. In poco più di tre mesi abbiamo consumato l’equivalente dell’intera produzione ittica annuale interna: la nostra domanda di consumo è talmente alta da eccedere di circa 3 volte il supporto alimentare che pesca e acquacoltura nel Mediterraneo possono sostenere. Non a caso gli  italiani sono tra i maggiori consumatori in Europa con in media circa 29 kg di pesce a persona all’anno (la media pro capite europea è di 22,7 kg/anno).

“In Italia non siamo consapevoli della nostra stretta dipendenza dalle importazioni di prodotti ittici, in particolar modo di quanto incidano quelle provenienti dai paesi in via di sviluppo. Gli oceani di tutto il mondo sono sovrasfruttati. Basti pensare che circa il 33% degli stock ittici globali è sovrapescato mentre il 60% viene sfruttato al massimo delle proprie capacità”.

È l’allarme di Eva Alessi, responsabile del progetto Fish Forward e responsabile dei consumi sostenibili di WWF Italia: “Stiamo mettendo a rischio la sopravvivenza delle risorse naturali marine e con loro tutte le comunità che vivono di pesca come fonte di cibo e di reddito, dai villaggi del Mediterraneo fino agli arcipelaghi indonesiani. Si tratta di circa 800 milioni di persone. Mai come oggi è stato di così vitale importanza mettere in atto comportamenti sostenibili per la salvaguardia degli ecosistemi marini. Il WWF è impegnato a favore di una pesca sostenibile a 360 gradi, con il coinvolgimento attivo delle aziende del settore perché si impegnino nella trasformazione delle proprie attività di approvvigionamento, e con i consumatori perché sia in grado di adottare comportamenti responsabili. È nostro dovere trattare gli oceani con più attenzione se vogliamo che la vita marina torni a prosperare e che il pesce continui a nutrire noi e le generazioni future”.

Sulle nostre tavole troppi pesci stranieri

Nei mari italiani si pescano ogni anno circa 180 milioni di chili di pesce cui vanno aggiunti gli oltre 140 milioni di kg prodotti in acquacoltura – spiega Coldiretti Impresapesca – mentre le importazioni dall’estero hanno ormai superato il miliardo di chili, secondo un’analisi su dati Istat relativi al 2018.

Una situazione che lascia spazio agli inganni dal pangasio del Mekong venduto come cernia al filetto di brosme spacciato per baccalà, fino all’halibut o la lenguata senegalese commercializzati come sogliola. Una frode in agguato sui banchi di vendita in Italia e soprattutto nella ristorazione dove non è obbligatorio indicare la provenienza. Tra i trucchi nel piatto più diffusi in Italia ci sono anche il polpo del Vietnam spacciato per nostrano, lo squalo smeriglio venduto come pesce spada, il pesce ghiaccio al posto del bianchetto, il pagro invece del dentice rosa o le vongole turche e i gamberetti targati Cina, Argentina o Vietnam, dove peraltro è permesso un trattamento con antibiotici che in Europa sono vietatissime in quanto pericolosi per la salute.

Un rischio confermato dai dati del Rassf, il sistema europeo di allerta rapido che, su un totale di 399 allarmi alimentari segnalati nel 2018 nel nostro Paese, ha visto ben 154 casi riguardare proprio il pesce (101) e i molluschi bivalvi (53), ovvero circa il 40% del totale secondo un’analisi Coldiretti. In testa alla black list ci sono le importazioni dalla Spagna da cui sono arrivati ben 51 allarmi, dal pesce con presenza eccessiva di metalli pesanti come il mercurio o contaminato con il parassita Anisakis ai molluschi infettati da escherichia coli e Salmonella, fino al cadmio nei cefalopodi come seppie e calamari. Al secondo posto si piazzano gli arrivi dalla Francia con 39 casi, di cui ben 26 riguardanti la presenza del batterio Norovirus nelle ostriche, ma anche dell’Anisakis nel pesce e dei crostaci con solfiti, mentre al terzo c’è l’Olanda, anche qui con pesce all’Anisakis e Norovirus sui molluschi.

Ma sono molti anche i pericoli in agguato sul pesce che arriva in Italia da tutti i continenti, a partire da quello tunisino dove sono stati rilevati elevati contenuti di istamina, causa di intossicazioni alimentari, a quello della Namibia e da Taiwan, con presenza di mercurio. Dalla Nuova Zelanda è arrivato addirittura pesce scaduto mentre quello delle Far Oer è risultato infettato da Anisakis nei crostacei dall’India sono stati scoperti coloranti non dichiarati.

“Per non cadere in inganni pericolosi per la salute occorre garantire la trasparenza dell’informazione ai consumatori dal mare alla tavola estendendo l’obbligo dell’indicazione di origine anche ai menu dei ristoranti con una vera e propria ‘carta del pesce’” ha dichiarato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “passi in avanti sono stati fatti sull’etichettatura nei banchi di vendita, ma devono ora essere accompagnati anche dall’indicazione della data in cui il prodotto è stato pescato”.

Il consiglio di Coldiretti Impresapesca è comunque di verificare sul bancone l’etichetta, che per legge deve prevedere l’area di pesca (Gsa). Le provenienze da preferire sono quelle dalle Gsa 9 (Mar Ligure e Tirreno), 10 (Tirreno centro meridionale), 11 (mari di Sardegna), 16 (coste meridionali della Sicilia), 17 (Adriatico settentrionale), 18 (Adriatico meridionale), 19 (Jonio occidentale), oltre che dalle attigue 7 (Golfo del Leon), 8 (Corsica) e 15 (Malta). Per quanto riguarda il pesce congelato c’è l’obbligo di indicare la data di congelamento e nel caso di prodotti ittici congelati prima della vendita e successivamente venduti decongelati, la denominazione dell’alimento è accompagnata dalla designazione “decongelato”.