In Italia gli asini volano: aumento record in 10 anni


Coldiretti: negli ultimi 10 anni, il numero di asini è praticamente quintuplicato nella Penisola dove si contano ben 62mila quadrupedi dalle grandi orecchie

Coldiretti: negli ultimi 10 anni, il numero di asini è praticamente quintuplicato nella Penisola dove si contano ben 62mila quadrupedi dalle grandi orecchie

In netta controtendenza rispetto all’andamento degli altri animali della Fattoria in Italia, con un aumento del 377% negli ultimi 10 anni, il numero di asini è praticamente quintuplicato nella Penisola dove si contano ben 62mila quadrupedi dalle grandi orecchie, che dopo aver rischiato l’estinzione stanno vivendo un momento di riscossa.

E’ quanto afferma la Coldiretti in occasione dell’inaugurazione del Villaggio contadino nella Capitale dove è stata aperta per tutto il week end una vera e propria Arca di Noè, anche con le razze italiane di asini, dove scoprire i cibi, le piante e gli animali salvati dall’estinzione grazie al lavoro di generazioni riconosciuto e sostenuto dai “Sigilli” di Campagna Amica.

“Le qualità nutrizionali del latte, la riscoperta delle proprietà cosmetiche e soprattutto il carattere mansueto, docile e amichevole sono alla base del prepotente ritorno del simpatico quadrupede nelle campagne”, ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel sottolineare che “gli asini dopo aver rischiato l’estinzione sono tornati ad essere considerati preziosi con il loro reinserimento in programmi di interesse sociale ed economico, dall’onoterapia al turismo a dorso d’asino”.

Un esercito di animali amici dei bambini al quale è stata recentemente affidata anche una funzione curativa con la pet-therapy che è entrata prepotentemente tra le nuove attività previste dalla legge sull’agricoltura sociale fortemente sostenuta dalla Coldiretti e approvata dal Parlamento nell’agosto 2015. Fra le pratiche di agricoltura sociale vi sono infatti i servizi di cura e assistenza terapeutica come l’onoterapia, visto che l’interazione dei disabili con gli asini riduce lo stress, sia emotivo che fisico, stimolando il movimento e la comunicazione con il resto del mondo e diventando così parte integrante di un percorso curativo dove gli asini si trasformano in veri e propri amici dei malati.

Le razze di asini salvate

Ad essere salvate sono state molte razze locali fra cui l’asinello albino dell’Asinara con il manto candido e gli occhi rosa celesti, l’asino dell’Amiata usato nella riabilitazione dei disabili e per il trekking, il Martina Franca con più di mezzo millennio di storia che è il “gigante” fra gli asini italiani ed è famoso per il suo latte usato per l’alimentazione dei bambini o per la produzione di cosmetici, il Sardo abituato a resistere e lavorare nelle condizioni più dure, il Romagnolo di cui restano poco più di 500 esemplari in Italia e il Pantesco di Pantelleria in grado di trottare su terreni impervi e inclinati e di resistere anche con poca acqua sulle lunghe distanze.

Un amico anche in cucina

La nuova diffusione degli asini è legata anche allo sviluppo della produzione di specialità alimentari ricavate dal latte come biscotti o gelati. La spinta maggiore allo sviluppo degli allevamenti è venuta anche dal fatto che in Italia nascono ogni anno circa 15.000 bambini con allergie gastrointestinali dovute a intolleranza al normale latte di mucca e, per quelli che non possono essere allattati al seno, il latte d’asina, che ha caratteristiche simili a quello materno, rappresenta una valida alternativa per non far mancare un nutrimento essenziale alla crescita. Il latte d’asina è infatti da molti considerato un super food che risolve i problemi delle intolleranze al latte vaccino nell’età neonatale, mentre l’elevato contenuto in calcio lo rende estremamente utile tanto per gli anziani affetti da osteoporosi che per le donne in menopausa.

Per le positive proprietà distensive della pelle dovute anche all’alto contenuto di lisozima e conosciute ed esaltate nel corso dei millenni, il latte d’asina è oggi richiesto anche in cosmetica sotto forma di crema da giorno e da notte, come crema corpo utilizzata nei massaggi, come shampoo che rende i capelli luminosi e più robusti e voluminosi, ma anche come sapone detergente.

Già ai tempi dell’antica Roma, infatti, il latte d’asina era conosciuto per le sue proprietà contro le malattie e l’invecchiamento della pelle tanto che uomini e donne di alto lignaggio erano soliti lavarsi nel latte d’asina (lac asininum), come usavano fare l’egiziana Cleopatra e Poppea, consorte di Nerone.

Più asini ma meno mucche, maiali e capre

Addio alla vecchia fattoria in Italia dove sono scomparsi 1,7 milioni tra mucche, maiali, pecore e capre negli ultimi dieci anni. E’ la Coldiretti a lanciare l’allarme in occasione dell’inaugurazione del Villaggio contadino nella Capitale dove è stata aperta per tutto il week end una vera e propria Arca di Noè per scoprire le piante, gli animali e i prodotti salvati dall’estinzione grazie al lavoro di generazioni riconosciuto e sostenuto dai “Sigilli” di Campagna Amica. Stalle, ricoveri e ovili si sono svuotati dal 2008 con la Fattoria Italia che ha perso – sottolinea la Coldiretti - solo tra gli animali più grandi, circa un milione di pecore, agnelli e capre, oltre a 600mila maiali e più di 100mila bovini e bufale. Un addio che - precisa la Coldiretti - ha riguardato soprattutto la montagna e le aree interne più difficili dove mancano condizioni economiche e sociali minime per garantire la permanenza di pastori e allevatori. A rischio - denuncia la Coldiretti - anche la straordinaria biodiversità delle stalle italiane dove sono minacciate di estinzione ben 130 razze allevate tra le quali ben 38 di pecore, 24 di bovini, 22 di capre, 19 di equini, 10 di maiali, 10 di avicoli e 7 di asini. Un patrimonio composto da veri e propri tesori della natura e della storia come la capra Girgentana dalle lunghe corna a forma di cavaturacciolo, la cui origine in Italia risale all’epoca della Magna Grecia diversi secoli prima di Cristo e di cui si contano circa 400 capi per la produzione di latte destinato alla Tuma ammucciata (nascosta), così chiamata perché si tratta di un formaggio messo a stagionare in fessure di muro in gesso e/o pietra, che in passato venivano murate per nasconderle ai briganti. Sempre in Sicilia il Piacentino ennese si produce con il latte della pecora Comisana dalla caratteristica testa rossa. Ma c’è anche – spiega la Coldiretti – la mucca Podolica diffusa in tutto il Sud che per la sua resistenza e robustezza è un grande esempio di adattamento a un ambiente duro e difficile e che con il suo latte ha sfamato generazioni di famiglie permettendo di realizzare formaggi a pasta filata e il celebre Caciocavallo Podolico. Portata con le invasioni barbariche c’è la Marchigiana diffusa in centro Italia, mentre in Sicilia si trova la Modicana in grado di adattarsi anche a pascoli poveri bruciati dal sole per poi regalare un latte usato per formaggi tipici come il Ragusano, mentre con il latte della preziosa napoletana Agerolese si crea il “Provolone del Monaco”. Sulle Alpi – continua la Coldiretti – si trovano poi ancora le preziose mucche Barà di cui sono rimasti solo 4mila esemplari in tutta Italia, famose per la loro capacità di adattarsi alla dura vita in montagna. Ma nel Villaggio contadino della Capitale – spiega Coldiretti – si possono ammirare anche il maiale nero casertano “calvo”, detto anche di razza “pelatella” perché senza peli, che ha avuto la sua massima diffusione alla fine dell’800 per poi essere riscoperto in tempi recenti con allevamenti allo stato brado o semibrado. Oppure il maiale di Cinta Senese dalla caratteristica cintura bianca e amico degli artisti dopo essere stato immortalato per la prima volta nel 1340 nel celebre affresco “Effetti del buongoverno in città e nel contado” del pittore senese Ambrogio Lorenzetti, per poi apparire anche in dipinti e affreschi della scuola senese del XII secolo in diverse chiese della campagna di Siena e in altre opere, ad esempio a Venezia nella cappella dell'Annunziata, in un dipinto datato 1510, di esecuzione faentina. Un altro maiale antico è quello nero dei Monti Lepini tipico del Lazio, più snello rispetto alle altre razze e con oltre mezzo millennio di storia. E non si possono dimenticare le galline come la Padovana, fra le più eleganti e chic con il suo enorme ciuffo in testa e le piume che vanno dal grigio perla al tricolore oppure la gallina Ancona con le sue tipiche penne a pois bianchi per mimetizzarsi meglio nell’ambiente sfuggendo a predatori e anche alla conta dei latifondisti che ne pretendevano una parte dai contadini. Gli animali custoditi negli allevamenti italiani – sottolinea la Coldiretti – rappresentano un tesoro unico al mondo che va tutelato e protetto anche perché a rischio non c’è solo la biodiversità delle preziose razze italiane, ma anche il presidio di un territorio dove la manutenzione è garantita proprio dall’attività di allevamento, con il lavoro silenzioso di pulizia e di compattamento dei suoli svolto dagli animali. L’allevamento italiano – continua Coldiretti - è poi un importante comparto economico che vale 17,3 miliardi di euro e rappresenta il 35 per cento dell’intera agricoltura nazionale, con un impatto rilevante anche dal punto di vista occupazionale dove sono circa 800mila le persone al lavoro. “Per questo quando una stalla chiude si perde un intero sistema fatto di animali, di prati per il foraggio, di formaggi tipici e soprattutto di persone impegnate a combattere lo spopolamento e il degrado spesso da intere generazioni”, ricorda il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo.

Se gli asini volano, è addio alla vecchia fattoria in Italia dove sono scomparsi 1,7 milioni tra mucche, maiali, pecore e capre negli ultimi dieci anni.

Stalle, ricoveri e ovili si sono svuotati dal 2008 con la Fattoria Italia che ha perso – sottolinea la Coldiretti – solo tra gli animali più grandi, circa un milione di pecore, agnelli e capre, oltre a 600mila maiali e più di 100mila bovini e bufale.

Un addio che ha riguardato soprattutto la montagna e le aree interne più difficili dove mancano condizioni economiche e sociali minime per garantire la permanenza di pastori e allevatori. A rischio anche la straordinaria biodiversità delle stalle italiane dove sono minacciate di estinzione ben 130 razze allevate tra le quali ben 38 di pecore, 24 di bovini, 22 di capre, 19 di equini, 10 di maiali, 10 di avicoli e 7 di asini.

Un patrimonio composto da veri e propri tesori della natura e della storia come la capra Girgentana dalle lunghe corna a forma di cavaturacciolo, la cui origine in Italia risale all’epoca della Magna Grecia diversi secoli prima di Cristo e di cui si contano circa 400 capi per la produzione di latte destinato alla Tuma ammucciata (nascosta), così chiamata perché si tratta di un formaggio messo a stagionare in fessure di muro in gesso e/o pietra, che in passato venivano murate per nasconderle ai briganti. Sempre in Sicilia il Piacentino ennese si produce con il latte della pecora Comisana dalla caratteristica testa rossa.

Ma c’è anche la mucca Podolica diffusa in tutto il Sud che per la sua resistenza e robustezza è un grande esempio di adattamento a un ambiente duro e difficile e che con il suo latte ha sfamato generazioni di famiglie permettendo di realizzare formaggi a pasta filata e il celebre Caciocavallo Podolico. Portata con le invasioni barbariche c’è la Marchigiana diffusa in centro Italia, mentre in Sicilia si trova la Modicana in grado di adattarsi anche a pascoli poveri bruciati dal sole per poi regalare un latte usato per formaggi tipici come il Ragusano, mentre con il latte della preziosa napoletana Agerolese si crea il “Provolone del Monaco”. Sulle Alpi si trovano poi ancora le preziose mucche Barà di cui sono rimasti solo 4mila esemplari in tutta Italia, famose per la loro capacità di adattarsi alla dura vita in montagna.

Ma nel Villaggio contadino della Capitale si possono ammirare anche il maiale nero casertano “calvo”, detto anche di razza “pelatella” perché senza peli, che ha avuto la sua massima diffusione alla fine dell’800 per poi essere riscoperto in tempi recenti con allevamenti allo stato brado o semibrado. Oppure il maiale di Cinta Senese dalla caratteristica cintura bianca e amico degli artisti dopo essere stato immortalato per la prima volta nel 1340 nel celebre affresco “Effetti del buongoverno in città e nel contado” del pittore senese Ambrogio Lorenzetti, per poi apparire anche in dipinti e affreschi della scuola senese del XII secolo in diverse chiese della campagna di Siena e in altre opere, ad esempio a Venezia nella cappella dell’Annunziata, in un dipinto datato 1510, di esecuzione faentina. Un altro maiale antico è quello nero dei Monti Lepini tipico del Lazio, più snello rispetto alle altre razze e con oltre mezzo millennio di storia. E non si possono dimenticare le galline come la Padovana, fra le più eleganti e chic con il suo enorme ciuffo in testa e le piume che vanno dal grigio perla al tricolore oppure la gallina Ancona con le sue tipiche penne a pois bianchi per mimetizzarsi meglio nell’ambiente sfuggendo a predatori e anche alla conta dei latifondisti che ne pretendevano una parte dai contadini.

Gli animali custoditi negli allevamenti italiani rappresentano un tesoro unico al mondo che va tutelato e protetto anche perché a rischio non c’è solo la biodiversità delle preziose razze italiane, ma anche il presidio di un territorio dove la manutenzione è garantita proprio dall’attività di allevamento, con il lavoro silenzioso di pulizia e di compattamento dei suoli svolto dagli animali.

L’allevamento italiano è poi un importante comparto economico che vale 17,3 miliardi di euro e rappresenta il 35 per cento dell’intera agricoltura nazionale, con un impatto rilevante anche dal punto di vista occupazionale dove sono circa 800mila le persone al lavoro. “Per questo quando una stalla chiude si perde un intero sistema fatto di animali, di prati per il foraggio, di formaggi tipici e soprattutto di persone impegnate a combattere lo spopolamento e il degrado spesso da intere generazioni”, ricorda il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo.