Poco più di 5000 passi al giorno potrebbero rappresentare un obiettivo realistico e clinicamente rilevante per rallentare la progressione della malattia di Alzheimer
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Poco più di 5000 passi al giorno potrebbero rappresentare un obiettivo realistico e clinicamente rilevante per rallentare la progressione della malattia di Alzheimer (AD) in fase preclinica, riducendo l’accumulo cerebrale di proteina tau e preservando le funzioni cognitive in adulti con biomarker positivi per amiloide-beta, secondo uno studio longitudinale su 296 soggetti cognitivamente integri seguito per un periodo massimo di 14 anni.
Attività fisica e neuroprotezione: il ruolo della tau
L’inattività fisica costituisce un fattore di rischio consolidato per lo sviluppo di demenza, ma fino a oggi rimaneva poco chiaro il suo rapporto con la progressione della patologia amiloide e tau-correlata. La maggior parte degli studi precedenti si era infatti limitata a correlare l’attività fisica con i sintomi clinici, senza valutare direttamente le modificazioni dei biomarker cerebrali. Wai-Ying Wendy Yau, ricercatrice presso il Massachusetts General Brigham e la Harvard Medical School di Boston, ha coordinato un’analisi nell’ambito dell’Harvard Aging Brain Study (HABS) per colmare questa lacuna conoscitiva. I partecipanti, tutti cognitivamente integri al baseline, hanno indossato pedometri per registrare i passi quotidiani e sono stati sottoposti annualmente a test cognitivi e periodicamente a PET cerebrale per la misurazione di amiloide-beta e tau.
I soggetti sono stati suddivisi in quattro categorie in base al numero di passi giornalieri: inattivi (≤3000 passi/die), bassa attività (3001-5000 passi/die), attività moderata (5001-7500 passi/die) e attivi (≥7501 passi/die). Anche livelli modesti di attività hanno prodotto differenze misurabili nel tempo. Rispetto ai soggetti inattivi, il declino cognitivo risultava ridotto del 40%, 54% e 51% nei tre gruppi con attività crescente. Un andamento analogo emergeva per il declino funzionale, con rallentamenti rispettivamente del 34%, 45% e 51%. I benefici tendevano a stabilizzarsi intorno ai 7500 passi quotidiani, suggerendo che un’attività moderata possa essere sufficiente per ottenere effetti clinicamente significativi.
Meccanismo d’azione: tau piuttosto che amiloide
Un dato particolarmente rilevante riguarda il meccanismo alla base dell’effetto neuroprotettivo. Le associazioni tra attività fisica, cognizione e funzionalità non risultavano correlate a differenze nell’accumulo di amiloide-beta, né in senso trasversale né longitudinale. Al contrario, in un sottogruppo di 172 individui con PET tau longitudinale, è emersa un’associazione significativa tra maggiore attività fisica e rallentamento dell’accumulo di tau cerebrale, che mediava in modo sostanziale la relazione con il rallentamento del declino cognitivo e funzionale. Come ha sottolineato Yau, “nel nostro studio con una coorte HABS più ampia e un follow-up più lungo, siamo riusciti a chiarire che l’associazione con il declino cognitivo non era spiegata da differenze nell’accumulo di amiloide”. La proteina tau, considerata il marker più strettamente correlato alla perdita di memoria nell’Alzheimer, rappresenta quindi il principale bersaglio dell’effetto protettivo dell’esercizio fisico.
La tau è una proteina associata ai microtubuli che, in condizioni patologiche, si iperfosforila e forma aggregati intracellulari (grovigli neurofibrillari), contribuendo alla neurodegenerazione e alla disfunzione sinaptica caratteristiche dell’AD. L’accumulo di tau nel lobo temporale mediale correla strettamente con la gravità del deterioramento cognitivo, più di quanto faccia l’amiloide-beta. L’attività fisica potrebbe influenzare il metabolismo della tau attraverso meccanismi multipli, inclusi il miglioramento del flusso ematico cerebrale, la riduzione dell’infiammazione e lo stimolo dei fattori neurotrofici.
Interpretazione critica e prospettive future
Diversi esperti internazionali hanno commentato lo studio evidenziandone punti di forza e limiti. Masud Husain, professore di neurologia e neuroscienze cognitive all’Università di Oxford, ha riconosciuto l’unicità della ricerca nella combinazione di scansioni seriali specializzate per amiloide e tau, valutazioni cognitive e misurazione dei passi al baseline, pur sottolineando la dimensione relativamente limitata della coorte e il disegno osservazionale. Charles Marshall, professore di neurologia clinica alla Queen Mary University of London, ha evidenziato la difficoltà intrinseca degli studi osservazionali nel distinguere la causalità diretta dalla possibilità di confondimento: i soggetti più attivi potrebbero essere più sani per altre ragioni, o viceversa le alterazioni precoci dell’Alzheimer potrebbero influenzare i livelli di attività. Inoltre, rimane da chiarire se i benefici derivino dall’attività fisica in età avanzata o richiedano decenni di esercizio regolare.
Tara Spires-Jones, direttrice del Centre for Discovery Brain Sciences all’Università di Edimburgo, ha ricordato che gli studi interventistici finora disponibili indicano benefici cardiovascolari certi e modesti benefici cognitivi dall’esercizio fisico. Tuttavia, pur riconoscendo che mantenersi fisicamente attivi sia positivo per il cervello, ha sottolineato che ciò non garantisce la prevenzione o il rallentamento della demenza. Come affermato da Yau, saranno necessari trial clinici randomizzati per stabilire definitivamente il nesso causale, ma i risultati attuali sono “molto incoraggianti e si aggiungono alle crescenti evidenze che l’attività fisica rappresenta un fattore importante nell’invecchiamento sano, compresa la salute cerebrale e cognitiva”. L’identificazione di un target di passi quotidiani relativamente modesto potrebbe facilitare l’adesione alle raccomandazioni nelle popolazioni anziane sedentarie, rappresentando un intervento non farmacologico accessibile e a basso costo nella gestione della fase preclinica dell’Alzheimer.
Bibliografia
Yau, WY.W., Kirn, D.R., Rabin, J.S. et al. Physical activity as a modifiable risk factor in preclinical Alzheimer’s disease. Nat Med (2025). leggi
Livingston G, Huntley J, Sommerlad A, et al. Dementia prevention, intervention, and care: 2020 report of the Lancet Commission. Lancet. 2020;396(10248):413-446. doi:10.1016/S0140-6736(20)30367-6
Rabin JS, Klein H, Kirn DR, et al. Associations of Physical Activity and β-Amyloid With Longitudinal Cognition and Neurodegeneration in Clinically Normal Older Adults. JAMA Neurol. 2019;76(10):1203-1210. doi:10.1001/jamaneurol.2019.1879