I risultati di Vidofludimus calcium nella sclerosi multipla progressiva: end point primario negativo, ma buoni segnali su disabilità e neuroprotezione
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La Progressive Multiple Sclerosis (PMS) resta l’hard problem della neurologia: quando l’infiammazione clinicamente evidente si attenua, la malattia continua a peggiorare per meccanismi di neurodegenerazione difficili da intercettare. In questo scenario si inserisce vidofludimus calcium (IMU-838), piccola molecola orale con un doppio meccanismo: inibizione selettiva della dihydroorotate dehydrogenase (DHODH)—che modula linfociti B e T iperattivi—e attivazione di Nurr1, un fattore di trascrizione con effetti neuroprotettivi documentati in vitro e in vivo (riduzione dell’attivazione microgliale, promozione della sopravvivenza neuronale).
Al congresso ECTRIMS 2025 sono stati presentati i dati completi dello studio CALLIPER (fase II, esploratorio) nella PMS. Il primario—il tasso annualizzato di percent brain volume change a 30 mesi—non è stato centrato (differenza 4,7%; p=0,78). Ma il segnale clinico sul versante della disabilità è stato più incoraggiante: pur con potenza statistica limitata, si sono osservate tendenze consistenti alla riduzione della progressione e un dato in miglioramento funzionale confermato su 24 settimane (24wCDI) a favore del farmaco.
Cosa ha mostrato CALLIPER
CALLIPER ha randomizzato 467 persone con PMS a vidofludimus 45 mg die o placebo fino a 120 settimane. Circa il 57% aveva SPMS non attiva, il 32,5% PPMS e il 10,1% SPMS attiva; età media 49,7 anni; EDSS basale 5,2. Per ingresso erano richiesti assenza di ricadute nei 24 mesi precedenti e peggioramento di disabilità non legato a ricadute, cioè il terreno ideale per indagare la progressione “pura” tipica della PMS.
Sull’end-point clinico chiave 24-week confirmed disability worsening (24wCDW), il rischio è risultato inferiore del 24% vs placebo (HR 0,76, IC95% 0,48–1,21; p=0,25) nell’intera coorte—non significativo—con trend più marcato (-34%) nei pazienti senza lesioni Gd+ al basale (HR 0,66; IC95% 0,39–1,12; p=0,12). Al contrario, sull’improvement si è registrato un vantaggio statisticamente significativo: 24-week confirmed disability improvement HR 2,44 (IC95% 1,07–5,58; p=0,03). Non essendo pre-specificato e senza correzione per multiplicità, l’esito va letto come esploratorio, ma coerente con l’ipotesi neuroprotettiva legata a Nurr1.
Analisi e comunicati successivi hanno rafforzato il quadro: nei sottogruppi PPMS e PMS senza attività infiammatoria—dove la componente degenerativa pesa di più—si sono viste riduzioni del rischio di 24wCDW con HR ~0,69 in PPMS e ~0,66 nei pazienti senza Gd+ (trend, non significativi), mentre l’evento di miglioramento confermato è rimasto >2 volte più probabile rispetto al placebo nella popolazione complessiva.
Un meccanismo “ibrido”: immunomodulazione più Nurr1
Il meccanismo d’azione di vidofludimus calcium è particolare perché si colloca a metà strada fra l’immunomodulazione tradizionale e un potenziale effetto di neuroprotezione diretta. A differenza di molti farmaci usati nella sclerosi multipla, che agiscono quasi esclusivamente sul controllo dell’infiammazione, questa piccola molecola orale ha infatti una doppia anima.
Da un lato, vidofludimus è un inibitore dell’enzima diidroorotato deidrogenasi (DHODH), una tappa chiave nella sintesi delle pirimidine, cioè dei “mattoni” del DNA e dell’RNA. Per le cellule immunitarie che si attivano e si moltiplicano rapidamente – come i linfociti T e B autoreattivi che alimentano il processo autoimmune della SM – questa via metabolica è indispensabile. Bloccando DHODH, vidofludimus riduce la loro capacità di proliferare e mantenere l’attacco infiammatorio contro il sistema nervoso centrale.
È un meccanismo selettivo, che non interferisce con le cellule in riposo o con i linfociti di memoria, preservando quindi una parte importante della sorveglianza immunitaria fisiologica. In questo senso, la sua azione ricorda quella di teriflunomide, un altro inibitore di DHODH già approvato per la SM, ma con un profilo farmacologico diverso.
La seconda dimensione è quella che rende vidofludimus davvero interessante per le forme progressive della malattia. Oltre a bloccare DHODH, il farmaco è in grado di attivare Nurr1, un recettore nucleare orfano (NR4A2) che svolge funzioni cruciali nel mantenere la salute neuronale e nel modulare l’attività delle cellule della glia. Nurr1 è implicato, ad esempio, nella protezione dei neuroni dopaminergici, nel controllo dell’attivazione microgliale e nella regolazione di meccanismi di stress cellulare e ossidativo. L’attivazione di questa via da parte di vidofludimus potrebbe dunque tradursi in un effetto neuroprotettivo, indipendente dalla sola modulazione immunitaria.
Se pensiamo alla sclerosi multipla progressiva, in cui la componente infiammatoria visibile è meno marcata e prevalgono invece i fenomeni degenerativi cronici, è facile intuire perché questo doppio meccanismo abbia attirato l’attenzione. Non si tratta solo di spegnere il fuoco dell’infiammazione, ma anche di cercare di preservare la funzionalità neuronale e limitare la degenerazione.
In altre parole, vidofludimus si propone come un farmaco capace di unire due approcci: contenere l’attacco immunitario autoreattivo e, allo stesso tempo, sostenere la resilienza dei neuroni e del tessuto nervoso. È proprio questa caratteristica che lo rende, almeno in teoria, una delle poche molecole orali con un potenziale di impatto anche sulla progressione della disabilità, un ambito che rimane il principale bisogno insoddisfatto nella SM.
Sicurezza: profilo “placebo-like”
Sul fronte della tollerabilità, il 45 mg die è risultato sovrapponibile al placebo per eventi avversi e seri; assenza di segnali epatici e renali; infezioni lievi/moderate leggermente più frequenti ma non clinicamente rilevanti, e nessun segnale nuovo durante il follow-up. Nel complesso, un profilo di sicurezza favorevole che pesa nella valutazione rischio/beneficio, specie in fase progressiva dove le alternative con evidenza robusta sono poche e spesso infusive
Cosa significa per i pazienti con PMS
Il mancato raggiungimento del primario (atrofia cerebrale) è un dato netto, ma non sorprende: l’atrofia globale è un end-point “duro”, con rumore biologico elevato e tempi lunghi per cogliere differenze; inoltre non sempre riflette cambiamenti clinicamente percepibili nel breve-medio termine. Il segnale convergente sulla disabilità—riduzione dei peggioramenti confermati e aumento degli improvement—è il tassello più clinicamente rilevante, soprattutto nei sottogruppi a bassa attività infiammatoria dove servono strategie che vadano oltre il puro controllo delle ricadute.
È qui che l’ipotesi Nurr1-mediata di neuroprotezione diventa pertinente e merita verifica in fase III con disegni adeguatamente potenziati e end-point centrati sulla disabilità (oltre che biomarcatori sensibili alla progressione).
E ora?
Vidofludimus è già in fase III nella SM recidivante (ENSURE-1/-2, arruolamento completato; top-line attesi fine 2026), dove si indagherà meglio anche la progressione di disabilità in un contesto infiammatorio più attivo. Alla luce di CALLIPER, Immunic ha indicato l’intenzione di portare il programma in fase III anche nella PMS, per testare in modo formale l’ipotesi neuroprotettiva/Nurr1 e quantificare l’effetto sui peggioramenti confermati e sugli improvement clinici nel lungo periodo