Scoperto legame tra la deplezione delle cellule B e la progressione della sclerosi multipla


Uno studio pubblicato su Multiple Sclerosis Journal ha analizzato il legame tra la deplezione delle cellule B e la progressione della sclerosi multipla

sclerosi multipla

Uno studio pubblicato su Multiple Sclerosis Journal ha analizzato il legame tra la deplezione delle cellule B e la progressione della sclerosi multipla (SM), dimostrando che livelli insufficienti di riduzione linfocitaria possono favorire il peggioramento della malattia anche in assenza di recidive.

La ricerca, condotta in Germania su 148 pazienti affetti da SM recidivante e trattati con ocrelizumab tra il 2017 e il 2023, ha evidenziato che la quantità di cellule B nel sangue potrebbe rappresentare un indicatore chiave per prevedere l’evoluzione clinica della patologia.

Modulazione della progressione di malattia non uniforme
La sclerosi multipla è una patologia autoimmune caratterizzata da una risposta immunitaria aberrante che provoca danni alla mielina, la guaina che protegge le fibre nervose nel sistema nervoso centrale.

Nella forma recidivante, la malattia è segnata da episodi acuti di peggioramento seguiti da periodi di remissione parziale o totale. Tuttavia, alcuni pazienti manifestano una progressione della disabilità anche in assenza di recidive, una condizione nota come progressione indipendente dall’attività di recidiva (PIRA).

Ocrelizumab, approvato per il trattamento sia della SM recidivante sia della SM primariamente progressiva, agisce inducendo deplezione delle cellule B, linfociti del sistema immunitario implicati nella neuroinfiammazione tipica della malattia.

La sua efficacia è da tempo confermata nel ridurre il numero di recidive e nel limitare la progressione della disabilità, ma i risultati dello studio suggeriscono che la sua azione potrebbe non essere uniforme tra tutti i pazienti. Infatti, la capacità del farmaco di modulare la progressione della malattia sembra strettamente legata alla quantità di cellule B residuali.

Dai pazienti NEDA a quelli PIRA
Il campione dello studio comprendeva 148 pazienti trattati con ocrelizumab. Durante il follow-up, il 47% dei partecipanti non ha manifestato attività di malattia, mentre il 17% ha mostrato un progressivo aggravarsi della disabilità senza recidive (PIRA).

Un ulteriore 34% ha avuto segni di peggioramento clinico, ma senza soddisfare i criteri per la conferma di accumulo della disabilità, definito come aumento del punteggio EDSS sostenuto per almeno sei mesi.

Gli autori dello studio hanno condotto analisi statistiche tenendo conto di variabili come età, sesso, massa corporea, punteggio EDSS (Expanded Disability Status Scale) iniziale e durata del trattamento.

I risultati hanno mostrato che i pazienti con nessuna evidenza di attività di malattia (NEDA) avevano livelli significativamente più bassi di cellule B rispetto a quelli con progressione indipendente da recidive o con evidenza di attività di malattia (EDA).

In particolare, si è osservato un gradiente chiaro: i pazienti NEDA avevano i livelli di cellule B più bassi, quelli EDA intermedi e quelli PIRA i più elevati.

Tra i fattori associati al rischio di PIRA, l’età avanzata e un punteggio iniziale EDSS più alto erano correlati a un maggiore rischio di progressione.

L’influenza della durata del trattamento è risultata significativa: i pazienti che assumevano ocrelizumab da più tempo avevano un rischio maggiore del 30% di sviluppare PIRA.

Tuttavia, il fattore più incisivo era proprio la quantità di cellule B residue: i pazienti con più di 10 cellule B per microlitro di sangue avevano un rischio di progressione quasi quattro volte superiore rispetto a quelli con livelli più bassi.

Monitoraggio più rigoroso dei livelli di cellule B
I risultati dello studio suggeriscono che una deplezione insufficiente delle cellule B potrebbe compromettere l’efficacia di ocrelizumab nel prevenire la progressione della disabilità.

Gli autori sottolineano l’importanza di monitorare attentamente i livelli di cellule B nei pazienti trattati con ocrelizumab e valutare possibili aggiustamenti delle dosi o degli intervalli di somministrazione.

Tuttavia, l’ipotesi di modificare le strategie terapeutiche richiede ulteriori verifiche. «Il nostro studio dimostra che PIRA si verifica in un numero significativo di pazienti con SM recidivante trattati con ocrelizumab in condizioni di deplezione linfocitaria subottimale», hanno scritto i ricercatori. «Questo sottolinea l’importanza di un monitoraggio più rigoroso dei livelli di cellule B per ottimizzare i trattamenti».

Dato che lo studio è stato condotto su pazienti di un unico centro, gli autori suggeriscono che ulteriori ricerche su gruppi di pazienti più ampi siano necessarie per confermare questi risultati.

La comprensione dei meccanismi della progressione della SM continua ad evolversi, e un’analisi più approfondita delle dinamiche delle cellule B potrebbe portare a nuove strategie terapeutiche mirate a migliorare gli esiti clinici dei pazienti.

Bibliografia
Revie L, Jürjens A, Eveslage M, et al. Suboptimal B-cell depletion is associated with progression independent of relapse activity in multiple sclerosis patients treated with ocrelizumab. Mult Scler. 2025 Apr 3:13524585251329849. doi: 10.1177/13524585251329849. Epub ahead of print. leggi