Malattia di Crohn: ecco i nuovi farmaci in via di sviluppo


Malattia di Crohn: una recente revisione della letteratura pubblicata su Pharmaceuticals ha avuto come scopo il riassumere i nuovi agenti terapeutici attualmente in fase di sviluppo

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Una recente revisione della letteratura pubblicata su Pharmaceuticals ha avuto come scopo il riassumere i nuovi agenti terapeutici attualmente in fase di sviluppo nelle fasi II e III nelle IBD, malattie infiammatorie croniche intestinali. In questo articolo ci focalizziamo alla malattia di Crohn e allo scenario presente e futuro.

Le malattie infiammatorie intestinali (IBD), che includono la malattia di Crohn (CD) e la rettocolite ulcerosa (UC), sono condizioni croniche che richiedono terapie a lungo termine per mantenere la remissione e migliorare la qualità della vita. Nonostante l’approvazione di numerosi farmaci, il trattamento delle IBD continua a presentare sfide significative.
Gli autori hanno condotto una ricerca approfondita della letteratura fino a dicembre 2024 per identificare articoli rilevanti pubblicati in inglese negli ultimi tre-cinque anni, con particolare attenzione agli studi di fase II/III sulla UC e sulla CD. Le fonti consultate includono database come PubMed, Google Scholar e il portale ClinicalTrials.gov.

Terapie attuali e sfide cliniche
Il trattamento delle forme moderate-severe di IBD comprende sia terapie convenzionali che terapie avanzate mirate.
Nonostante la disponibilità di numerose opzioni terapeutiche, una quota significativa di pazienti non risponde ai trattamenti. I dati clinici e real-world indicano che l’efficacia di un singolo farmaco raramente supera il 60% dei pazienti trattati. Inoltre, circa il 30% dei pazienti manifesta un’insufficiente risposta primaria ai TNFi, e un terzo di coloro che inizialmente rispondono sperimenta una recidiva a lungo termine, nonostante l’intensificazione della terapia.

Questa limitazione ha spinto la comunità scientifica ad approfondire i meccanismi dell’infiammazione intestinale per ampliare l’arsenale terapeutico disponibile.

Malattia di Crohn e nuove terapie anti-IL-23
La ricerca sulle interleuchine ha evidenziato il ruolo centrale di IL-23 nella patogenesi della malattia di Crohn (CD). IL-23 promuove la sopravvivenza e la differenziazione delle cellule T-helper 17 (Th17), che rilasciano citochine pro-infiammatorie come IL-17 e IL-22, contribuendo alla cronicizzazione dell’infiammazione intestinale. Sfruttando questa conoscenza, sono stati sviluppati farmaci mirati a bloccare IL-23 per ridurre l’infiammazione e migliorare gli esiti clinici.

Risankizumab è un anticorpo monoclonale umanizzato che inibisce selettivamente la subunità p19 di IL-23.
Gli studi ADVANCE e MOTIVATE (fase III) sono trial multicentrici su pazienti con CD moderata-severa che non rispondevano alle terapie convenzionali. Dopo 12 settimane, il tasso di remissione clinica (CDAI <150) con risankizumab variava tra il 42-45%, rispetto al 20-25% con placebo. Gli eventi avversi più comuni erano cefalea e nasofaringite.
Lo studio FORTIFY (fase III),  di mantenimento ha mostrato tassi di remissione clinica del 52-55% dopo 52 settimane. Tuttavia, il campione era composto solo da pazienti che avevano risposto alla terapia di induzione, potenzialmente sovrastimando l’efficacia nel lungo termine.

Nello studio SEQUENCE (fase IIIb) è stato eseguito un confronto tra risankizumab e ustekinumab. Risankizumab ha dimostrato una superiorità nell’indurre la remissione endoscopica dopo 48 settimane.
Altro anticorpo monoclonale anti-IL 23 è mirikizumab. Nello studio SERENITY (fase II), dopo 12 settimane, il 43,8% dei pazienti trattati con 1000 mg ha ottenuto una risposta endoscopica contro il 10,9% con placebo. La fase di mantenimento ha confermato una maggiore efficacia della formulazione sottocutanea rispetto a quella endovenosa.

Nello studio VIVID I (fase III), a 52 settimane, il 45,4% dei pazienti ha ottenuto la remissione clinica rispetto al 19,6% con placebo, con un profilo di sicurezza favorevole.
È attualmente in corso lo studio VIVID II (fase III) e i risultati sono attesi nel 2026.
Altro anticorpo monoclonale selettivo per la subunità p19 dell’IL-23 è guselkumab che nello studio GALAXI I (fase II), dopo 12 settimane ha evidenziato la riduzione del CDAI significativa in tutti i gruppi trattati con il farmaco rispetto al placebo.

Negli studi GALAXI 2 e 3 (fase III) guselkumab ha mostrato tassi di remissione clinica superiori a ustekinumab dopo 48 settimane (70,3% vs. 62,9%) e nel GRAVITI (fase III) ha confermato l’efficacia e sicurezza nel mantenimento della remissione clinica ed endoscopica fino a 48 settimane.
Queste terapie anti-IL-23 rappresentano un’importante innovazione nel trattamento della malattia di Crohn, offrendo nuove opzioni per i pazienti non responsivi alle terapie convenzionali.

Anticorpi anti-TL1A e nuove terapie per la malattia di Crohn
TL1A (tumor necrosis factor-like cytokine 1A) è una citochina espressa dalle cellule presentanti l’antigene (APC), come le cellule dendritiche, e appartiene alla famiglia del TNF. Il suo eccesso stimola il recettore DR3 sui linfociti e altre cellule immunitarie, promuovendo la proliferazione cellulare e la produzione di citochine pro-infiammatorie (Th1, Th2, Th17). Modelli murini di malattia infiammatoria intestinale (IBD) hanno dimostrato che il blocco di TL1A riduce l’infiammazione intestinale e la fibrosi intestinale, causata dall’attivazione dei miofibroblasti attraverso la via TGF-β1/Smad3. Questi risultati hanno portato allo sviluppo di anticorpi monoclonali anti-TL1A.

Tulisokibart è un anticorpo monoclonale che inibisce TL1A-DR3. Lo studio APOLLO-CD (fase IIa, open-label, multicentrico) ha valutato l’efficacia e la sicurezza di un trattamento di 12 settimane in pazienti con CD moderata-severa. Su 55 pazienti trattati con dosi scalari (1000 mg il primo giorno, poi 500 mg alle settimane 2, 6 e 10), il 26% ha ottenuto una risposta endoscopica (≥50% miglioramento del SES-CD), mentre il 49,1% ha raggiunto la remissione clinica (CDAI <150). Nessun evento avverso grave è stato riportato. Successivamente, 37 pazienti responder sono stati inclusi nello studio APOLLO-CD di mantenimento (100 mg vs. 250 mg fino a 170 settimane). Dopo 50 settimane, entrambi i gruppi hanno mostrato benefici clinici ed endoscopici sostenuti, con migliori risultati nella dose più alta. Eventi avversi lievi-moderati si sono verificati nell’83-84% dei pazienti, mentre eventi gravi nel 6-11%. Un trial di fase III (NCT06430801) su 1200 pazienti valuterà l’efficacia a 52 settimane.

Lo studio RELIEVE UCCD, di fase 2b i cui risultati sono stati presentati al recente congresso della ECCO (European Crohn’s and colitis organisation), ha evidenziato sia nei pazienti con malattia di Crohn che in quelli con colite ulcerosa efficacia e sicurezza dell’anticorpo monoclonale IgG1 umanizzato duvakitug che agisce con un meccanismo best in class legandosi al recettore del TL1A (death receptor 3-DR3) e bloccando la sua azione amplificatrice dell’infiammazione. Gli anticorpi anti-TL1A, in particolare tulisokibart, rappresentano una nuova frontiera terapeutica per la CD, con studi in corso per confermarne l’efficacia e la sicurezza nel lungo termine.

Terapie Combinate
Le terapie combinate rappresentano una strategia emergente nel trattamento della malattia di Crohn (CD), con l’obiettivo di migliorare il controllo dell’infiammazione, ridurre il rischio di resistenza ai farmaci e ottimizzare l’efficacia terapeutica attraverso meccanismi multipli.
Uno degli approcci più promettenti è la combinazione di guselkumab (anti-IL-23) e golimumab (anti-TNF-α). Guselkumab inibisce l’asse IL-23/Th17, riducendo l’infiammazione cronica, mentre golimumab neutralizza il TNF-α, contrastando l’infiammazione acuta e il reclutamento leucocitario. Questa strategia mira a ottenere tassi più elevati di remissione clinica ed endoscopica e a ridurre le recidive.

Lo studio DUET-CD è una sperimentazione di fase IIb, randomizzata, in doppio cieco e controllata con placebo, progettata per valutare l’efficacia e la sicurezza della terapia combinata con guselkumab e golimumab nei pazienti con CD moderatamente-severo. I partecipanti ricevono guselkumab SC, golimumab SC, JNJ-78934804 (una combinazione dei due farmaci) o un placebo. Gli endpoint primari sono la remissione clinica (CDAI <150) e la risposta endoscopica (riduzione ≥50% del punteggio SES-CD) a 48 settimane. I primi risultati sono attesi a breve.

Un altro approccio in studio è la combinazione di vedolizumab (anti-integrina α4β7) e upadacitinib (inibitore JAK-1), valutata nel trial VICTRIVA. Questo studio di fase IIIb, randomizzato e in doppio cieco, confronta la combinazione di questi due farmaci con la monoterapia con vedolizumab in pazienti con CD attivo moderato-severo.
Nella fase di induzione (12 settimane), i pazienti ricevono 300 mg di vedolizumab EV più 45 mg di upadacitinib orale o placebo. Coloro che ottengono una riduzione del CDAI di almeno 70 punti possono accedere alla fase di mantenimento, ricevendo vedolizumab ogni 8 settimane per 40 settimane. Gli endpoint dello studio includono la remissione clinica (CDAI <150) e la risposta endoscopica (riduzione SES-CD ≥50%) a 12 e 52 settimane. Il reclutamento non è ancora iniziato, con risultati previsti per il 2027.

Dai dati disponibili, le terapie combinate sembrano associate a un rischio leggermente aumentato di infezioni e di riattivazione di infezioni latenti rispetto ai singoli farmaci. È quindi fondamentale un monitoraggio attento, con screening per tubercolosi, epatite B e C prima dell’inizio del trattamento, oltre a eventuali vaccinazioni o terapie profilattiche.

Gli autori hanno concluso che la ricerca in corso sulla sicurezza a lungo termine e lo sviluppo di strategie di trattamento personalizzate rimangono fondamentali per migliorare gli esiti clinici. La stratificazione dei pazienti e il corretto posizionamento strategico di queste terapie nel panorama in continua evoluzione dei trattamenti per le IBD saranno determinanti per ottimizzarne l’impatto clinico.

Lorenzo Petronio et al., Drug Development in Inflammatory Bowel Diseases: What Is Next? Pharmaceuticals (Basel). 2025 Jan 30;18(2):190.
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