Lupus: studio indaga sulla sospensione del micofenolato


Lupus eritematoso sistemico: nei pazienti curati con il mofetil micofenolato, i tassi di riacutizzazione di malattia non sono maggiori quando il farmaco viene sospeso

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Un piccolo studio randomizzato di non inferiorità, pubblicato su The Lancet Rheumatology (1), ha dimostrato che, tra i pazienti con lupus eritematoso sistemico (LES) trattati con successo con il mofetil micofenolato (MMF), i tassi di riacutizzazione di malattia non sono di gran lunga maggiori quando il farmaco viene sospeso per diversi mesi rispetto alla non interruzione della terapia a dosaggi regolari. Le stime dei tassi di riattivazione della malattia e dell’aumento del rischio con la sospensione possono aiutare i medici a prendere decisioni più consapevoli sulla sospensione del micofenolato mofetile nei pazienti con LES stabilizzato.

Razionale e disegno dello studio
Il mofetil micofenolato (MMF) è un farmaco immunosoppressore comunemente utilizzato per trattare il lupus eritematoso sistemico (LES) e la nefrite lupica, ricordano i ricercatori nell’introduzione allo studio. È un noto teratogeno associato a tossicità significative, tra cui un aumento del rischio di infezioni e tumori maligni. La sospensione del trattamento con MMF è auspicabile, una volta raggiunta la quiescenza della malattia, ma il momento in cui farlo e il fatto che fornisca un beneficio non erano stati fino ad ora ben approfonditi.

L’obiettivo dello studio è stato quello di determinare gli effetti della sospensione di MMF sul rischio di riattivazione clinicamente significativa della malattia nei pazienti con LES quiescente in terapia a lungo termine con il farmaco.
I ricercatori hanno reclutato pazienti adulti affetti da LES provenienti da 19 cliniche Usa con malattia “quiescente”, definita da un punteggio dell’indice di attività della malattia del LES (SLEDAI) inferiore a 4.  Il trattamento con MMF doveva essere stato mantenuto stabile o ridotto nel corso dell’anno precedente (2 anni se somministrato per problemi renali).

I pazienti reclutati sono stati trattati anche con idrossiclorochina (HCQ) e l’hanno mantenuta per tutti i 5 anni dello studio; è stato ammesso, inoltre, anche l’impiego di prednisone a non più di 10 mg/die.
Sono stati esclusi dallo studio, invece, i pazienti che assumevano dosi elevate di prednisone o che presentavano segni di compromissione renale.

Un totale di 102 pazienti sono stati randomizzati, secondo uno schema 1:1, alla sospensione di MMF o al mantenimento del trattamento con questo farmaco. La sospensione del trattamento è stata condotta per gradi nell’arco di 3 mesi.

L’endpoint primario era rappresentato dalla “riattivazione clinicamente significativa della malattia”, definita come la necessità di aumentare le dosi di steroidi, di riprendere o aumentare il dosaggio di MMF o di utilizzare un nuovo immunosoppressore.

Più dell’80% dei pazienti erano donne; circa il 40% erano di etnia Caucasica, mentre il 40% era di etnia Afro-americana. L’età media era pari a 42 anni, con una durata media della malattia di circa 13 anni. Le dosi di MMF erano in media pari a 1,6 g/die, con poco meno della metà che ne assumeva 2 g/die o dosaggi maggiori.

Il punteggio medio SLEDAI al basale era pari, all’incirca, a 2,2; la mediana era pari a 2,0 (nonostante l’eleggibilità fosse limitata a coloro che avevano punteggi inferiori a 4 allo screening iniziale, alcuni partecipanti avevano valori fino a 8 nei test al basale).

Dopo alcuni aggiustamenti dei dati fatti per la presenza di fattori confondenti, Dopo è stato che il rischio di riattivazione clinicamente significativa era pari al 18% con la sospensione del trattamento (IC95%: 10%-32%) rispetto all’11% con il mantenimento della terapia (IC95%: 5%-24%).

Con una tale sovrapposizione degli intervalli di confidenza – relativamente ampi a causa delle piccole dimensioni dei gruppi – i ricercatori hanno potuto affermare che la sospensione del trattamento con MMF non era inferiore al mantenimento della terapia in termini di riduzione del rischio di riattivazione clinicamente significativa del lupus.

Tuttavia, hanno ammesso che la strategia di sospensione sembrava comportare un aumento del rischio, e questo è stato supportato da endpoint secondari come le recidive, definite da innalzamenti dello SLEDAI o di altri punteggi di attività della malattia durante il follow-up.

Le differenze tra i gruppi non hanno raggiungo la significatività statistica, ma tendevano tutte verso un maggior rischio di aumento dell’attività della malattia nel gruppo sottoposto a sospensione del trattamento.
Quanto osservato, comunque, è stato controbilanciato dalla minore frequenza di eventi avversi non correlati al lupus: 40% nel gruppo di mantenimento contro il 27% con la sospensione. Cinque eventi gravi (compresi quelli legati al lupus) sono stati rilevati nel gruppo che ha interrotto il trattamento, rispetto ai sette dei pazienti in trattamento di mantenimento.

Le differenze maggiori sono state rilevate relativamente al manifestarsi delle infezioni, che hanno colpito il 64%  dei pazienti del gruppo di mantenimento contro il 46% dei pazienti che ha interrotto MMF. Quattro pazienti che hanno mantenuto il farmaco hanno presentato infezioni di grado 3, contro uno solo nel gruppo che ha interrotto il trattamento.

Considerazioni conclusive
Nonostante i ricercatori abbiano calcolato che i pazienti che interrompono il trattamento con MMF mostrano un aumento del rischio di riacutizzazione del lupus di 7 punti percentuali rispetto a quelli che assumono il trattamento di mantenimento, l’interruzione della terapia non è risultata “significativamente inferiore” al proseguimento del trattamento di mantenimento, soprattutto perché le infezioni sono state meno frequenti durante il follow-up nel gruppo che ha interrotto la terapia.

Nell’editoriale di accompagnamento al lavoro pubblicato (2), gli estensori del commento hanno confermato che i risultati dimostrano la fattibilità dell’interruzione del trattamento con MMF di pazienti selezionati dopo alcuni anni di trattamento e il raggiungimento dello stato di quiescenza della malattia.

Inoltre, hanno aggiunto, lo studio fornisce una base per una valutazione quantificata del rischio che potrebbe rivelarsi utile per i medici che devono decidere se raccomandare la riduzione posologica graduale (tapering) e la sospensione del MMF per i loro pazienti affetti da LES.

Ciò detto, gli estensori del commento hanno affermato che gli studi futuri dovrebbero verificare se un’interruzione della terapia più graduale (tapering) possa ridurre il rischio di recidive con l’interruzione del trattamento, e anche in che misura la compliance subottimale al trattamento con idrossiclorochina comprometta la strategia.

I ricercatori hanno anche suggerito che la biopsia renale potrebbe essere una buona idea, per verificare la remissione istologica prima dell’interruzione del trattamento.
Da ultimo, concludono, non andrebbe esclusa la possibilità di ricorrere al monitoraggio dei pazienti con biomarcatori, in aggiunta ai sintomi clinici, per tenere sotto controllo il rischio dei pazienti.

Bibliografia
1) Chakravarty EF, et al “Mycophenolate mofetil withdrawal in patients with systemic lupus erythematosus: a multicentre, open-label, randomised controlled trial” Lancet Rheumatol 2024; DOI: 10.1016/S2665-9913(23)00320-X.
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2) Jourde-Chiche N, et al “An era of immunosuppressant withdrawal in systemic lupus erythematosus: winning through weaning” Lancet Rheumatol 2024; DOI: 10.1016/S2665-9913(24)00001-8.