Artrite reumatoide: nessun legame tra farmaci biologici e infezioni gravi


Artrite reumatoide: secondo uno studio real worl, il rischio di infezioni gravi non è influenzato dalla gerarchia di trattamento dei farmaci biologici

La fatigue è presente già durante le prime fasi dell'artrite reumatoide e tende a permanere stabilmente nel tempo secondo un nuovo studio

Nei pazienti affetti da artrite reumatoide (AR), la gerarchia di trattamento con un farmaco biologico scelto per la terapia non ha un impatto sul rischio di sviluppare un’infezione grave. Queste le conclusioni principali di uno studio real world, basato sui dati di un registro pazienti, recentemente pubblicato su Rheumatology.

Razionale e disegno dello studio
“Quando si valutano gli effetti avversi dei trattamenti per l’AR, tra cui le infezioni gravi, le conclusioni dei trial clinici controllati randomizzati possono essere limitate perché in genere sono sottoalimentati per questi risultati, con dimensioni del campione ridotte e una breve durata dello studio – scrivono i ricercatori nell’introduzione allo studio”. “Inoltre – continuano gli autori dello studio – la popolazione reclutata in questi studi è molto selezionata e spesso non rappresenta i pazienti trattati nella pratica clinica reale”.

“La maggior parte delle informazioni sul rischio di infezioni gravi – proseguono – proviene quindi da studi osservazionali. Ma anche in questo caso i risultati ottenuti non sono privi di limitazioni, poiché negli studi osservazionali i pazienti non sono randomizzati e le caratteristiche di base dei pazienti differiscono solitamente tra i gruppi di trattamento”.

Per studiare l’impatto dei vari cicli di terapia dell’AR sul rischio di infezioni gravi e tubercolosi, sono stati analizzati i dati dei pazienti della coorte Biologics Register-RA della British Society for Rheumatology. I ricercatori hanno incluso i pazienti che avevano iniziato una terapia con etanercept, certolizumab pegol, infliximab, adalimumab, abatacept, rituximab o tocilizumab dalla prima alla quinta linea di trattamento in un periodo compreso da ottobre 2001 e marzo 2019. I pazienti trattati con inibitori della Janus chinasi sono stati esclusi dall’analisi.

Il follow-up è durato fino a 3 anni. La variabile primaria di esposizione era il trattamento, basato sul tempo trascorso dall’inizio della terapia a tre emivite dopo la dose finale.

I pazienti sono stati seguiti fino alla fine del periodo di studio, al decesso o alla perdita del paziente al follow-up.

Per i pazienti in trattamento con rituximab, il periodo di esposizione si estendeva a 360 giorni dalla data dell’ultima infusione.

L’outcome primario era rappresentato dallo sviluppo di un’infezione grave, mentre quello secondario dallo sviluppo di tubercolosi.

Risultati principali
L’analisi ha incluso un totale di 33.897 cicli di trattamento, pari a 62.513 anni-paziente (10.643 cicli di trattamento con etanercept, 7.835 con adalimumab, 4.430 con infliximab, 1.614 con certolizumab, 5.556 con rituximab, 2.633 con tocilizumab e 1.186 con abatacept).

Dai risultati è emerso che: 1) Il tasso di incidenza complessivo per lo sviluppo di infezioni gravi era di 4,4 per 100 anni-paziente; 2) non sono stati identificati pattern distinguibili di manifestazione di infezioni – in termini di tasso di incidenza o di HR – in base alla terapia e alla gerarchia di trattamento. Anche le analisi di sensibilità non hanno rivelato differenze nell’HR tra i farmaci considerati nello studio.

I casi di TB sono stati in totale 49, tutti verificatisi nelle prime tre linee di terapia. I ricercatori, inoltre, hanno anche notato che i casi di TB successivi al 2009 erano rari.

Riassumendo
Nel complesso, “…non sono state documentate grandi differenze del rischio di infezioni gravi tra i DMARD biologici dopo aver tenuto conto dei potenziali fattori confondenti, tra cui la linea di trattamento – scrivono i ricercatori nelle conclusioni del lavoro -.”Tuttavia, questo studio suggerisce anche che, quando si confronta il rischio di TB tra i vari trattamenti, sia l’anno di inizio del trattamento che la linea terapeutica sono probabilmente fattori confondenti importanti. Per questo motivo, pertanto non sembra essere prudente trarre inferenze sul rischio di TB tra i vari agenti farmacologici in studio”.

“Questo aumento del rischio di TB per la prima linea di trattamento – ipotizzano i ricercatori -potrebbe essere dovuto al fatto che la maggior parte dei casi si è verificata prima dell’uso diffuso del test IFN-γ per lo screening. Un’altra possibile ragione è che il trattamento per la TB attiva, di solito una riattivazione, avverrebbe nella prima linea di trattamento e cancellerebbe l’infezione per le linee di terapia successive. Potrebbe anche essere che il rischio sia più elevato con i TNF rispetto ad altri bDMARD e che le linee successive siano per lo più non-TNF.

Le raccomandazioni per lo screening della TBC nel Regno Unito sono state pubblicate per la prima volta nel 2005 dalla British Thoracic Society, mentre la considerazione del test immunologico IFN-γ è stata discussa per la prima volta nel 2006 nella guida del National Institute for Health and Care Excellence (NICE)  per gli individui con test cutaneo della TBC (TST) positivo o quando il TST potrebbe essere meno affidabile. Tuttavia, è solo dal 2016 che il test immunologico IFN-γ è ora raccomandato (con o senza TST) nella guida NICE  prima della terapia immunosoppressiva, e dal 2022 sono disponibili le prime raccomandazioni reumatologiche internazionali sullo screening delle infezioni opportunistiche nei pazienti con malattie reumatiche infiammatorie autoimmuni dell’EULAR che propongono l’uso del test immunologico IFN-γ rispetto al TST, quando disponibile.

Bibliografia
Lauper K, et al. Evaluation of serious infections, including Mycobacterium tuberculosis, during treatment with biologic disease-modifying anti-rheumatic drugs: does line of therapy matter? Rheumatology. 2023;doi:10.1093/rheumatology/kead515.
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