Sarcoma avanzato: nuove speranze di cura da combinazioni con l’immunoterapia


Sarcoma avanzato: cresce l’interesse per i benefici derivanti dalla combinazione di questi farmaci immmunoterapici con altre terapie mirate

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C’è urgente bisogno di nuove strategie terapeutiche per cambiare la prognosi dei pazienti con sarcoma avanzato, che attualmente è molto sfavorevole. Sebbene finora questi tumori abbiano mostrato di rispondere poco agli inibitori dei checkpoint immunitari, vi è un crescente interesse per i benefici derivanti dalla combinazione di questi farmaci immmunoterapici con altre terapie mirate e al congresso della European Society for Medical Oncology (ESMO), a Madrid, sono stati presentati i risultati di alcuni studi che riportano dati preliminari a sostegno di tali combinazioni nei pazienti con sarcoma avanzato.

In particolare, sono stati presentati i risultati di quattro studi di fase 1 e 2 che hanno dimostrato come la combinazione degli inibitori dei checkpoint immunitari con altre immunoterapie o con gli inibitori delle tirosin chinasi (TKI) rappresenti una strategia potenzialmente efficace per il trattamento di diverse patologie, tra cui i tumori stromali gastrointestinali (GIST) e i sarcomi vascolari.

Primi dati sulla combinazione botensilimab-balstilimab
Nel corso di una mini sessione orale, per esempio, sono stati presentati i risultati di uno studio di fase 1b in cui si è valutata la combinazione dell’anti-CTLA-4 botensilimab con l’anti-PD-1 balstilimab in 50 pazienti con sarcoma metastatico refrattario (abstract 1919MO).

Dopo un follow-up mediano di 5,7 mesi, il tasso di risposta obiettiva (ORR) tra i 41 pazienti valutabili per l’efficacia è risultato del 17% (IC al 95% 7-32) secondo i criteri RECIST v1.1 e del 20% (IC al 95% 9-35) secondo i criteri iRECIST, e le corrispondenti durate mediane della risposta sono risultate pari a 11,8 mesi e 19,4 mesi. L’ORR (secondo i criteri RECIST v1.1) è risultato più elevato in concomitanza con l’impiego di dosaggi più elevati di botensilimab: 29% con 2 mg/kg e 11% con 1 mg/kg.
Il tasso di controllo della malattia a 6 mesi è risultato del 24%, mentre il tasso di sopravvivenza libera da progressione (PFS) a 6 mesi del 37%.

Il profilo di sicurezza è risultato coerente con i dati riportati in precedenza per questi agenti.

«I risultati di questo studio sono incoraggianti ,in quanto l’ORR nel gruppo trattato con il dosaggio più elevato di botensilimab è risultato superiore a quello precedentemente riportato per la combinazione di un anti-CTLA-4 e un anti-PD-1», ha commentato Tom Wei-Wu Chen, del National Taiwan University Hospital di Taipei (Taiwan), non coinvolto nello studio. Inoltre, ha osservato l’esperto, «lo studio comprendeva istologie come il leiomiosarcoma e gli angiosarcomi viscerali, che raramente rispondono agli inibitori dei checkpoint immunitari».

Lo studio REGOMUNE
In un secondo trial, lo studio di fase 2 REGOMUNE, i dati riportati mostrano un’efficacia promettente del TKI regorafenib in associazione con l’inibitore di PD-L1 avelumab in pazienti con GIST avanzato o metastatico (abstract 1920MO).
Su 46 pazienti sottoposti al trattamento e valutabili per l’efficacia, quattro (6,5%) hanno ottenuto una risposta parziale, 31 (67,4%) una stabilizzazione della malattia, mentre 10 (21,7%) sono andati incontro a una progressione della malattia.
La PFS e la sopravvivenza globale (OS) mediane sono risultate pari rispettivamente a 5,5 mesi e 17,7 mesi, e il 29,3% dei pazienti era libero da progressione a un anno.

«La PFS mediana è risultata leggermente più prolungata di quella osservata con la monoterapia con regorafenib nello studio di fase 3 GRID in una popolazione di pazienti simile. Tuttavia, la percentuale di pazienti liberi da progressione a un anno nello studio REGOMUNE è particolarmente interessante», ha sottolineato Chen. «Sembra esserci un sottogruppo di questa popolazione che ha ottenuto un beneficio a lungo termine da questa combinazione farmacologica. Ora è necessario identificare i biomarcatori che ci permetteranno di determinare quali pazienti con GIST abbiano maggiori probabilità di rispondere a un inibitore dei checkpoint immunitari».

Lo studio IMMUNOSARC II
Risultati incoraggianti provengono anche dallo studio di fase 2 IMMUNOSARC II, in cui si è testata la combinazione del TKI sunitinib con l’anti-PD-1 nivolumab in 26 pazienti con sarcomi vascolari (abstract 1922P).

Considerando i 15 pazienti con angiosarcomi valutabili per l’efficacia, la PFS mediana è risultata di 3,9 mesi, mentre il tasso di PFS a 6 mesi è risultato del 36%. Cinque pazienti (33%) hanno ottenuto una risposta parziale, sette pazienti (47%) una stabilizzazione della malattia e tre (20%) sono andati in progressione. La mediana di OS è risultata pari a 15,7 mesi.

Nel commentare questi risultati, Chen ha affermato che «La combinazione di inibitori dei checkpoint immunitari con TKI ad azione anti-angiogenica ha sicuramente un ruolo nel trattamento dell’angiosarcoma. I dati riportati da questo studio sono complementari ai risultati molto incoraggianti precedentemente riportati dallo studio Alliance A091902 su cabozantinib più nivolumab in pazienti con angiosarcoma avanzato».

Considerando l’eterogeneità degli angiosarcomi, ha aggiunto l’esperto, «sarà interessante vedere se c’è una risposta differente a questa combinazione per gli angiosarcomi originatisi da siti primari diversi quali, per esempio, pelle, testa e collo o gli angiosarcomi viscerali».

Lo studio MEDISARC
Infine i risultati dello studio di fase 2 MEDISARC hanno documentato un’attività clinica simile per la combinazione dell’anti-PD-L1 durvalumab più l’anti-CTLA-4 tremelimumab rispetto alla doxorubicina in 103 pazienti con sarcomi dei tessuti molli avanzati o metastatici confermati istologicamente, naïve al trattamento (LBA90).

I sarcomi dei tessuti molli più rappresentati in questo studio erano il leiomiosarcoma (34% nel braccio durvalumab più tremelimumab e 18% nel braccio doxorubicina), il sarcoma non classificato (rispettivamente 25% e 13%) e il sarcoma adipocitico (11% e 26%).

La mediana di PFS è risultata pari a 2,7 mesi con durvalumab più tremelimumab contro 2,8 mesi con la doxorubicina (HR 1,22; IC al 95% 0,9-1,64; P = 0,405), mentre il tasso di PFS a 6 mesi è risultato rispettivamente dell’11,4% contro 33,6%.
La mediana di OS, che era l’endpoint primario dello studio, è risultata, invece, di 17,4 mesi con durvalumab più tremelimumab e 12,5 mesi con doxorubicina (HR 0,73; IC al 95% 0,54-0,99; P = 0,185), mentre il tasso di OS a 2 anni è risultato rispettivamente del 35,7% contro 29%.

La frequenza agli eventi avversi è risultata simile con durvalumab più tremelimumab e doxorubicina (90,6% e 89,7%), ma gli eventi avversi di grado ≥3 sono risultati più comuni con la combinazione (52,8% contro 41%).

«Sebbene i dati di ORR e PFS osservati con durvalumab più tremelimumab siano risultati un po’ deludenti, la tendenza verso un’OS migliore osservata nel braccio trattato con la combinazione rispetto alla doxorubicina suggerisce che potrebbe esserci un effetto di carry-over della combinazione dei due farmaci immunoterapici o o potrebbero esserci una specifica istologia o sottogruppi specifici di pazienti in grado di trarre beneficio dal trattamento con gli inibitori dei checkpoint immunitari in prima linea», ha detto Chen.

Necessari studi randomizzati e controllati
In conclusione, ha affermato l’esperto, questi quattro studi forniscono dati a supporto di un ruolo degli inibitori dei checkpoint immunitari nel trattamento del sarcoma, in combinazione con altre immunoterapie o con i TKI.
Guardando al futuro, il ricercatore ha osservato che «saranno necessari trial randomizzati e controllati per confermare l’efficacia dimostrata in questi studi. Sarà utile, inoltre, identificare biomarcatori predittivi che ci permettano di determinare quali sottogruppi di pazienti possano trarre il massimo beneficio da queste combinazioni di agenti».

Da ultimo, ha concluso Chen, «…c’è ancora un gap di conoscenze sulla dose ottimale degli agenti anti-angiogenici quando vengono utilizzati in combinazione con gli inibitori dei checkpoint immunitari. Di qui la necessità di identificare il dosaggio che permetta di massimizzare la tollerabilità del trattamento combinato, senza compromettere l’efficacia».

Bibliografia
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