I porti italiani tremano per gli attacchi Houthi e il blocco nel Canale di Suez


Tensioni nel Canale di Suez, i porti italiani in allarme: “Il Veneto può perdere 15 miliardi”. I cambi di rotta, dopo gli attacchi degli Houthi, determinano considerevoli aumenti dei costi

canale di suez

Le tensioni nel Mar Rosso fanno paura anche ai porti italiani. I problemi sono iniziati in novembre, quando gli houthi hanno attaccato navi mercantili per fermare l’operazione militare che Israele sta conducendo nella Striscia di Gaza. Adesso i primi conti parlano chiaro: il Veneto può rimetterci miliardi di euro, Trieste e Ravenna non sono serene.

CALO NAVI NEL CANALE DI SUEZ PUÒ COSTARE 15,2 MLD AL VENETO

Il Veneto rischia di pagare caro l’impatto delle tensioni in Medio Oriente. L’Ufficio studi e statistica della Camera di commercio di Treviso-Belluno ha elaborato una stima che, per effetto della riduzione del transito di navi per il Canale di Suez, porta a un conto di 15,2 miliardi di euro di approvvigionamenti ed esportazioni a rischio. L’impatto maggiore, si spiega in una nota, sul flusso delle importazioni: nel 2022 il Veneto ha importato merci per 11,8 miliardi di euro da Asia Orientale, Cina e India, l’81% delle quali si stima transitino per la via più breve attraverso il Canale di Suez, per un valore di 9,5 miliardi di euro di approvvigionamenti esposti alle attuali criticità logistiche: macchinari industriali e suoi componenti, calzature, altre apparecchiature elettriche. Meno esposto è il fronte delle esportazioni dal Veneto verso quest’area (al netto dei flussi estero su estero): 5,7 miliardi di euro di merci macchinari, concia e pelli, occhialeria- dirette verso Asia Orientale e India, poco sotto il 7% dell’export regionale.
Il cambio di rotta rispetto a Suez rischia così di provocare ritardi o blocchi negli approvvigionamenti e un conseguente aumento dei costi. Il possibile impatto sull’interscambio commerciale della nostra regione è evidente”, avverte la Cciaa.

“Molte delle nostre imprese, alla luce del quadro geopolitico degli ultimi anni, dalla crisi pandemica ai conflitti in atto, hanno già dovuto ripensare il proprio inserimento nelle catene globali del valore- commenta il presidente di Unioncamere del Veneto Mario Pozza– non c’è evidenza che quest’ennesima crisi e l’allargamento del conflitto in Medio Oriente possano risolversi in tempi brevi. E sicuramente la criticità e l’incertezza degli scenari internazionali sono destinati a durare, anche alla luce delle ultime tensioni sorte tra Stati Uniti e Cina dopo l’esito delle elezioni a Taiwan. Quindi bisogna pensare di riportare la produzione all’interno del Mediterraneo e di riavvicinare impianti e produzione, creando una nuova filiera per non farsi travolgere”.

Il nearshoring, dice ancora Pozza, “può essere una soluzione e il sistema camerale c’è per accompagnare il Made in Italy e sostenere le nostre imprese. Su questo aspetto gli imprenditori possono sfruttare anche la rete delle 86 Camere di Commercio italiane all’estero, che sono un altro elemento a supporto per individuare nuovi mercati, opportunità di insediamento e aree produttive. Proprio in queste ore Assocamere Estero ha firmato una convenzione con la Conferenza delle Regioni italiane e delle province autonome per sostenere l’internazionalizzazione e l’attrazione degli investimenti esteri per sostenere lo sviluppo economico dei territori”.

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TRIESTE DA 2 SETTIMANE SENZA PORTACONTAINER TRANSOCEANICA

Sono due settimane che non vediamo le nave transoceanica che viene ogni settimana al Molo Settimo (terminal container, Ndr). Intanto è arrivata la nave che è riuscita a ‘sfuggire’ all’attacco degli Houthi, e tra qualche giorno ci aspettiamo che arrivi la prima nave che ha fatto il periplo dell’Africa”. Questo è lo stato delle cose per quanto riguarda il Porto di Trieste, fa sapere alla Dire il presidente dell’Autorità di sistema portuale del mare Adriatico orientale, Zeno D’Agostino, in merito alla situazione di crisi nel Mar Rosso.
“Da adesso in poi è chiaro che l’armatore, con un tragitto più lungo due settimane, dovrà mettere più navi per mantenere la frequenza. E quindi ogni settimana torneremo a vedere una nave, come quando si passava per Suez”, spiega D’Agostino. In sostanza con due navi in più la frequenza è mantenuta, aggiunge, è chiaro però che i costi aumentano.

“Adesso bisogna vedere il mercato cosa ne penserà, dall’altra parte i noli sono cresciuti- evidenzia il presidente-. E’ vero che eravamo tornati a noli bassissimi, ai livelli del periodo pre-Covid. Però adesso siamo a 3-4 volte tanto, e ogni giorno c’è un adeguamento”. I noli delle navi sono cresciuti però sia per le navi che fanno il periplo dell’Africa, spiega D’Agostino, sia per quelle che ancora attraversano il canale di Suez, a causa dei costi delle assicurazioni. Tra queste sembra vi siano le petroliere che, per un ‘tacito accordo’ probabilmente tra Iran e paesi arabi, sarebbero risparmiate dagli attacchi della milizia yemenita: il terminal petrolifero Siot mantiene Trieste al primo posto nazionale per merce complessiva movimentata.

‘Risparmiate’ anche le navi cargo di alcune compagnie, osserva il presidente, che hanno comunicato pubblicamente o non pubblicamente che non fanno servizio su Israele. Se il sistema logistico portuale ha già trovato un nuovo equilibrio, ciò che preoccupa l’Authority Triestina sono le scelte dei clienti degli operatori portuali.

“I porti che stanno sulla sponda occidentale dell’Italia, se vengono serviti da Suez o da Gibilterra, non cambiano di molto la loro competitività- continua D’Agostino-. Ma per i porti anche non italiani che stanno nel Mediterraneo orientale o nell’Adriatico la situazione si fa molto più complessa. Tra l’altro, a differenza dei porti dell’Italia occidentale, noi abbiamo un mercato internazionale. Quindi posso ipotizzare che i nostri clienti tedeschi, austriaci, ungheresi, slovacchi, cechi e altri, di fronte a una nave che arriva da Gibilterra possano pensare di dialogare, dal punto di vista logistico, con i porti del Nord Europa, nuovamente”.

Proprio la vicinanza del canale di Suez, tanto importante per l’Europa mediterranea, centrale e orientale, assieme alla fiscalità legata all’impatto ambientale, sono la chiave della competitività del Porto di Trieste e del Mediterraneo orientale, sottolinea D’Agostino: questo vantaggio potrebbe svanire nelle prossime settimane se la situazione nel Mar Rosso non si stabilizza e se Suez non tornerà a lavorare normalmente. “Al momento non vediamo segnali di cambiamento”, precisa.

Per il futuro, che cosa si aspetta il Porto di Trieste? “Se uno pensa che le cose andranno sempre allo stesso modo, non potrà che andare peggio- sentenzia D’Agostino-. Siccome noi da sempre pensiamo che le cose non andranno mai nello stesso modo, ci siamo dati da fare. Non sapevamo degli Houti, ma intanto a fine novembre abbiamo fatto l’accordo con l’Egitto, e con il Marocco a fine settembre, per il ‘reshoring’. Ci stiamo attrezzando già da tempo per creare una forte connettività del Porto di Trieste con i porti che stanno nel Mediterraneo, anche perché abbiamo visto che dopo il Covid più di qualche azienda ha deciso di investire nel Mediterraneo e mollare la dipendenza dalla Cina e dall’Asia per la produzione industriale”.

Non solo, D’Agostino, il cui secondo mandato a capo dello scalo triestino scade quest’anno, lascia al suo successore una visione innovativa della portualità stessa. “Non aspettiamo che arrivi lo shock, investiamo sempre fuori dal porto, sulla ferrovia: più semini, e più di trovi pronto quando qualcosa succede. Se qualcuno pensa che nei prossimi anni non succederà più nulla ‘perché abbiamo già dato’, dispiace per lui, ma deve scordarsi questo tipo di logica”. Il riferimento è ad alcuni suoi colleghi degli altri porti italiani e fuori dall’Italia, “che continuano a fare investimenti sulle solite cose, e che pensano che il mondo andrà avanti sempre con gli stessi settori”, osserva. “Mi sono stufato di correggerli. Meglio che noi continuiamo con la nostra strategia, anche se a volte facciamo sorridere, investendo sull’agricoltura verticale, sull’idrogeno, sui cavi sottomarini e traffico dati, per citare alcuni settori. Li lascio sorridere, ride bene chi ride ultimo”, commenta.

“Abbiamo tante possibilità a Trieste, le sfruttiamo tutte, perché questo è un mondo che ci impone di comportarci così”, prosegue, aggiungendo che tutti i progetti di investimento, “sono accomunati da un elemento fondamentale, cioè che non è la presenza della nave l’elemento che crea valore. Adesso lo stiamo vedendo: è la nave il problema, se la blocchi blocchi l’economia- spiega ancora-. Quindi l’idea di un porto che riesca a creare valore e occupazione senza la presenza della nave è uno dei nostri grandi obiettivi”. Non è semplice, ammette, “penso che siamo gli unici al mondo a pensare a un porto senza navi, può anche far sorridere, ma è invece una delle tante cose che studiamo. Poi a seconda delle condizioni in cui ci troviamo, acceleriamo su alcuni progetti invece che su altri. Importante è che siamo pronti nel momento in cui vedremo entrare in crisi elementi che oggi pensiamo ‘intoccabili’”, conclude D’Agostino.

PER ORA SUEZ NON PREOCCUPA RAVENNA, MA ISRAELE OSSERVATO SPECIALE

Le turbolenze che agitano in questi giorni il Canale di Suez, con le scorribande dei ribelli Houthi dello Yemen contrastate dagli eserciti di Stati uniti d’America, Gran Bretagna e non solo, fanno “suonare le sirene” nei porti italiani. E anche sul Candiano, a Ravenna, si guarda con attenzione allo sviluppo della situazione, ben consci che non solo ogni scalo, ma anche ogni merce ha le sue peculiarità e le sue rotte. In questo momento ci sono “poche certezze”, su quali compagnie non attraversano il Canale di Suez, su quali lo bypassano allungando la rotta e passando attraverso Gibilterra e su quali scelgono direttamente di attraccare nei porti del Nord Europa, spiega il direttore operativo dell’Autorità di sistema portuale di Ravenna Mario Petrosino. E Ravenna, oltre a non essere principalmente un porto di container ma di importazione, è legata ai traffici con Medio ed Estremo Oriente per il 18% del totale delle merci, mentre il 57% viene da Mediterraneo e Mar Nero. Dunque, argomenta Petrosino, “situazioni esplosive in Egitto, Libano e Mar Nero sono quelle che ci mettono maggiormente in difficoltà”.

Certo, non nega il direttore operativo, ci fosse poi un cambiamento di strategia repentino di tutte le shipping lines, con un blocco del Canale di Suez come avvenuto quando si è girata nel marzo 2021 la nave Ever given, allora le ripercussioni si sentirebbero eccome anche sulle banchine del Candiano. Per questo la situazione è costantemente monitorata, anche se le sirene suonano ancora a basso volume. “Nei prossimi giorni e settimane sarà più chiaro cosa succede”, ma di certo, continua Petrosino, è una situazione che “si somma a una serie di problemi che hanno influito negativamente su Ravenna nel 2023”.

L’anno dovrebbe chiudersi con una movimentazione delle merci “in leggero calo” a 26 milioni di tonnellate, e i Teus, unità di misura dei container, ammontano a 230.000 circa. Pesano la guerra in Ucraina, con il volume di argille ridotto a un terzo, cosi come quella che coinvolge Israele, “mercato diretto soprattutto proprio per i container”. Senza dimenticare le sofferenze del Pil di Germania ed Europa che “sentiamo tantissimo- conclude Petrosino- le industrie tirano meno” e per certe merci, linfa per il porto ravennate, sono dolori: se la produzione di ceramica è calata del 20%, per Ravenna il calo delle argille è del 22%; anche il ferro è in calo, così come l’agroalimentare e i mangimi. Stesso sentiment per il direttore generale di Terminal container Ravenna, Giovanni Gommellini, compagnia che ha già messo a bilancio “una importante riduzione di fatturato a livello prudenziale” per il primo trimestre. Al momento, precisa, “non ci sono grossi effetti negativi” da quanto accade nel Canale di Suez. “Ma li vedremo a febbraio, c’è sempre uno slittamento temporale”. Inoltre, conferma, “i nostri traffici gravitano sul Mediterraneo”, anche se ci possono essere “effetti indiretti” per i servizi che toccano Trieste e per altri. Comunque “siamo più preoccupati per Israele, se il conflitto si allarga” le conseguenze possono essere devastanti, in particolare per i prodotti refrigerati. Ma vanno anche tenute sotto controllo, termina Gommellini, le speculazioni, a partire da quelle sui noli che sono in rialzo.

FONTE: AGENZIA DI STAMPA DIRE (WWW.DIRE.IT).