Tumore al polmone non a piccole cellule: tarlatamab promosso


Tumore del polmone a piccole cellule in stadio avanzato: nuove speranze di cura con l’impiego del tarlatamab

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Il tumore del polmone a piccole cellule (small cell lung cancer o microcitoma) rappresenta circa il 15% di tutte le diagnosi di tumore al polmone e colpisce ogni anno, in Italia, oltre 6000 persone.

Lo studio globale di fase 2 DeLLphi-301 appena pubblicato sul New England Journal of Medicine, ha valutato l’impiego di tarlatamab nei pazienti con tumore del polmone a piccole cellule (SCLC) in stadio avanzato che hanno fallito una o più precedenti linee di trattamento. Tarlatamab è una molecola bispecifica ad emivita estesa (HLE BiTE), capostipite della sua classe, che ha come bersaglio la proteina Delta-like 3 ligand (DLL3), presente in oltre l’85% dei casi di SCLC.

Con un follow up mediano di 10,6 mesi l’analisi dei dati che ha incluso 100 pazienti trattati con 10mg di tarlatamab, ha evidenziato un tasso di risposta (ORR, endpoint primario) del 40,0% (IC al 97,5%: 29,1-51,7): un risultato molto importante se si considera che, nello studio di fase 1 DeLLphi 300, il tasso di risposta è stato del 23,0% (NCT03319940).

Rispetto agli endpoint secondari, la sopravvivenza mediana libera da progressione (mPFS) è stata di 4,9 mesi, mentre la mediana di sopravvivenza complessiva (mOS) è stata di 14,3 mesi (IC al 95%: 10,8 -NS).

“Questo studio di fase 2 ha dimostrato risultati mai visti in precedenza – afferma Marcello Tiseo Direttore dell’UOC di Oncologia Medica dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma e Professore Associato di Oncologia Medica dell’Università di Parma. – L’elemento di novità è il meccanismo d’azione di tarlatamab, perché è la prima molecola di una categoria di anticorpi bispecifici, impiegata per il trattamento dei tumori solidi. Lo studio ha arruolato 220 pazienti, un numero rilevante. Sono tutti pazienti che avevano ricevuto la terapia standard con platino e almeno un’altra linea di terapia. Un setting estremamente sfavorevole e sfidante con l’urgenza di individuare nuove opportunità terapeutiche.  I risultati ottenuti nel 40% dei pazienti, con una mediana di sopravvivenza intorno ai 14 mesi, rappresentano un grande beneficio in un contesto di terza linea di trattamento.”

Per quanto riguarda la sicurezza, non sono state osservate differenze rispetto allo studio di fase 1.

Le interruzioni dovute ad eventi avversi correlati al trattamento (TRAE), sono state poco frequenti (3,0%). Gli eventi avversi più comunemente riportati tra i pazienti nel gruppo trattato con tarlatamab alla dose di 10 mg sono stati: sindrome da rilascio di citochine (CRS; 51,1%), piressia (31,6%), disgeusia (25,6%) e diminuzione dell’appetito (23,3%). La sindrome da rilascio di citochine è stata in gran parte limitata alla prima e alla seconda somministrazione di tarlatamab, manifestandosi prevalentemente di grado lieve o moderato, ed è stata generalmente gestita con terapie di supporto. Alla dose di 10mg di tarlatamab, la sindrome da rilascio di citochine di grado 3 è stata minima (0,8%).

“L’impiego di tarlatamab ha aspetti peculiari, perché circa metà dei pazienti può avere una sindrome da rilascio citochinico, cioè un evento avverso, che richiede, soprattutto nel primo ciclo di terapia, che il paziente sia ricoverato.” Conclude il Prof. Tiseo “L’aspetto positivo è che la maggior parte di queste sindromi da rilascio citochinico sono di grado 1 o 2, quindi non di grado rilevante e pertanto gestibili, che non mettono a rischio il paziente.”

Amgen sta attualmente valutando l’efficacia clinica di tarlatamab in diversi studi. Uno studio di fase 3 DeLLphi-304 confronta tarlatamab con la chemioterapia standard nel trattamento di seconda linea dello SCLC. Inoltre, stanno per essere avviati altri due studi di fase 3 per pazienti con SCLC in diversi stadi di avanzamento di malattia e in un setting di trattamento più precoce.