Malattia di Huntington: un anno di novità terapeutiche negli USA


Il 2023 è stato un anno importante nella ricerca e sviluppo nel settore della malattia di Huntington: nuovi farmaci sono stati approvati dall’FDA

L'Fda ha ampliato le indicazioni delle capsule di valbenazina (Ingrezza) per includere la corea associata alla malattia di Huntington.

Il 2023 è stato un anno importante nella ricerca & sviluppo nel settore della malattia di Huntington: nuovi farmaci per la corea di Huntington sono stati approvati dall’ente regolatorio statunitense per la corea e la discinesia tardiva, mentre da uno studio sono emerse rilevanti conoscenze che potrebbero portare in futuro, se confermate, allo sviluppo di strategie mirate a obiettivi finora non identificati, gli alterati livelli di vari metalli nel tessuto cerebrale dei pazienti.

FDA, estesa l’indicazione di valbenazina per la corea 
Nel mese di agosto, la FDA ha ampliato le indicazioni per la valbenazina, estendendole alla corea associata alla malattia di Huntington. La valbenazina è un nuovo inibitore del trasportatore vescicolare delle monoamine 2 (VMAT2), con somministrazione una volta al giorno e un periodo di titolazione relativamente breve. Si stima che il 90% dei pazienti con malattia di Huntington soffra di corea.

«I risultati clinici che hanno portato a questa importante approvazione hanno mostrato una riduzione della gravità della corea già 2 settimane dopo l’inizio di del trattamento con valbenazina a una dose da 40 mg, con miglioramenti costantemente maggiori rispetto al placebo osservati in tutte le visite successive» ha detto in una nota la ricercatrice Erin Furr Stimming, della McGovern Medical School di UTHealth a Houston.

«I dati hanno anche dimostrato che valbenazina è stata generalmente ben tollerata e ha mostrato un miglioramento clinicamente significativo negli adulti con corea associata alla malattia di Huntington» ha aggiunto Stimming.

Lo studio di fase 3 KINECT-HD su 128 persone con malattia di Huntington ha supportato la decisione della FDA. Nello studio di 12 settimane, i punteggi della Unified Huntington’s Disease Rating Scale Total Maximal Chorea (UHDRS-TMC) sono diminuito di 4,6 punti con valbenazina e di 1,4 punti con placebo, una differenza di 3,2 punti sulla scala a 28 punti (P<0,0001), hanno scritto Furr Stimming e coautori su “The Lancet Neurology”.

Gli eventi avversi più comuni emersi dal trattamento (TEAE) con valbenazina sono stati sonnolenza, affaticamento e cadute. Nove partecipanti (14%) nel gruppo valbenazina hanno richiesto una riduzione della dose a causa di TEAE. Tre partecipanti, di cui uno nel gruppo valbenazina, hanno manifestato eventi avversi gravi durante lo studio, ma nessuno è stato giudicato correlato al trattamento.

Tetrabenazina e deutetrabenazina approvate anche per la discinesia tardiva

Altri due inibitori di VMAT2, tetrabenazina e deutetrabenazina, sono stati approvati per il trattamento della corea correlata alla malattia di Huntington. Sono anche approvati per il trattamento della discinesia tardiva. La tetrabenazina e la deutetrabenazina sono metabolizzate in quattro stereoisomeri di diidrotetrabenazina con vari gradi di affinità per VMAT2. La valbenazina produce solo lo stereoisomero con la più forte affinità per VMAT2, hanno osservato Furr Stimming e coautori.

«Con il completamento dello studio KINECT-HD ci sono ora prove solide che tutti e tre gli inibitori di VMAT2 possono alleviare la corea negli individui con malattia di Huntington« hanno scritto Beatrice Heim e Klaus Seppi, entrambi dell’Università di Medicina di Innsbruck (Austria), in un editoriale di commento.

«Senza studi testa-a-testa, non è possibile trarre conclusioni sull’efficacia e la sicurezza della valbenazina rispetto agli altri due inibitori VMAT2, ma gli studi di fase 3 suggeriscono un profilo favorevole degli effetti collaterali dei derivati della tetrabenazina rispetto al farmaco originale, presumibilmente correlato ai loro profili farmacocinetici» hanno aggiunto.

In sperimentazione pripopidina, farmaco selettivo per il recettore Sigma-1
Al meeting 2023 dell’American Academy of Neurology, un gruppo di ricercatori ha dimostrato che i pazienti con malattia di Huntington che hanno ricevuto pridopidina, un farmaco sperimentale che ha come bersaglio il recettore Sigma-1, non hanno ottenuto punteggi migliori di capacità funzionale totale UHDRS-TFC dopo 65 settimane rispetto al placebo.

Con punteggi nello studio PROOF-HD in media di circa 9,9 all’arruolamento nei due bracci, entrambi i gruppi hanno visto un calo di 1 punto durante lo studio, ha riferito Andrew Feigin, della New York University di New York City. La variazione rispetto al basale del punteggio UHDRS-TFC era l’endpoint primario dello studio.

Ma Feigin è stato incoraggiato dai risultati su un’altra misura di efficacia, il punteggio Q-Motor, in cui la pridopidina era significativamente migliore del placebo alla 26ma settimana  ed è rimasta numericamente superiore alla 65ma settimana. Quando i partecipanti che assumevano neurolettici o farmaci anticorea sono stati esclusi, la pridopidina ha superato significativamente il placebo durante l’intero studio.

Tuttavia, i benefici della pridopidina sembravano raggiungere il picco nei primi 6 mesi, per poi svanire. I punteggi Q-Motor con i consumatori di farmaci neurolettici o anticoreici esclusi sono aumentati inizialmente di circa 20 punti, mentre quelli nel gruppo placebo sono diminuiti e il divario si è ridotto con un ulteriore trattamento. Altre misure secondarie di efficacia relative alla cognizione hanno mostrato lo stesso modello. Ulteriori analisi sono in arrivo, ha detto Feigin. È in corso anche un’estensione in aperto, che include quasi tutti i 437 pazienti che erano ancora nello studio alla 65ma settimana.

Rilevata post mortem una carenza diffusa di selenio nel cervello dei pazienti
Dati autoptici hanno evidenziato nel cervello di pazienti deceduti con malattia di Huntington differenze diffuse nei livelli di metalli rispetto ai controlli. In particolare, diminuzioni dei livelli di selenio sono state osservate in 11 su 11 regioni cerebrali studiate nella malattia di Huntington, hanno riferito Melissa Scholefield, dell’Università di Manchester (UK) e coautori in “eBioMedicine”.

È stato osservato anche un aumento del rapporto sodio/potassio in tutte le regioni cerebrali studiate, ad eccezione della substantia nigra. Inoltre, in diverse regioni cerebrali erano aumentati i livelli di calcio o zinco. Diminuzioni localizzate di ferro, rame e manganese sono state osservate rispettivamente nel globo pallido, nel cervelletto e nella substantia nigra.

«Nonostante tutte le ricerche condotte finora sulla malattia di Huntington, attualmente non abbiamo ancora trattamenti che possano fermare, rallentare o far regreditei suoi sintomi» ha riferito il gruppo di Scholefield. «Speriamo che questa nuova scoperta, con ulteriori ricerche, possa portare in futuro a un nuovo bersaglio farmacologico». Prove precedenti hanno suggerito che i livelli di selenio nel sangue nella malattia di Huntington sono aumentati, e questo è uno dei motivi per cui i pazienti non dovrebbero automedicarsi con integratori, ha sottolineato.

I ricercatori hanno ottenuto tessuti cerebrali da nove deceduti con malattia di Huntington e nove controlli, concentrandosi su 11 regioni cerebrali: il cervelletto, la substantia nigra, la corteccia motoria, il giro frontale medio, il giro temporale medio, la corteccia sensoriale, il giro cingolato, l’ippocampo, la corteccia entorinale, il globo pallido e il putamen. Hanno misurato le concentrazioni di otto metalli essenziali – sodio, potassio, magnesio, calcio, ferro, zinco, rame e manganese – e il selenio metalloide nei tessuti cerebrali, utilizzando la spettrometria di massa al plasma accoppiato induttivamente.

I risultati devono essere convalidati in uno studio più ampio e in un ulteriore lavoro per determinare come il selenio contribuisca ai sintomi della malattia di Huntington, hanno osservato Scholefield e coautori. Non è chiaro se l’integrazione di selenio possa avere qualche effetto sullo sviluppo dei sintomi, hanno aggiunto.

«A questo punto, siamo in una fase molto iniziale» hanno concluso i ricercatori. «Non conosceremo le risposte ad alcuna di queste domande fino a quando non saranno stati eseguiti ulteriori studi».