Durvalumab e olaparib cura ottimale per il tumore dell’endometrio


Tumore dell’endometrio: la combinazione di durvalumab più olaparib quasi dimezza il rischio di progressione o morte rispetto alla chemioterapia

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L’aggiunta dell’immunoterapia con durvalumab alla chemioterapia di prima linea a base di platino, seguiti da un trattamento di mantenimento con durvalumab più il PARP-inibitore olaparib oppure durvalumab in monoterapia migliora in modo statisticamente significativo e clinicamente rilevante la sopravvivenza libera da progressione (PFS) rispetto alla sola chemioterapia nelle pazienti con tumore dell’endometrio avanzato di nuova diagnosi o ricorrente. Lo dimostrano i risultati dello studio di fase 3 DUO-E/GOG-3041/ENGOT-EN10 presentati di recente a Madrid durante il congresso dell’ESMO, la Società europea di oncologia medica, in una sessione orale Proffered Paper.

Nella popolazione globale dello studio (Intention-To-Treat, ITT), il trattamento con durvalumab più la chemioterapia seguito da durvalumab più olaparib (braccio durvalumab più olaparib) e quello con durvalumab più la chemioterapia seguito da durvalumab in monoterapia (braccio durvalumab) si sono associati a una riduzione del rischio di progressione di malattia o di morte rispettivamente del 45% (HR 0,55; IC al 95% 0,43-0,69; P < 0,0001) e del 29% (HR 0,71; IC al 95% 0,57-0,89; P = 0,003) in confronto alla sola chemioterapia (braccio di controllo).

Lo stato del meccanismo di riparazione del mismatch (MMR, uno dei meccanismi di riparazione degli errori nel DNA) è un biomarcatore di particolare interesse nel tumore dell’endometrio, perciò nello studio DUO-E è stata condotta un’analisi esplorativa predefinita di sottogruppo per valutare i risultati nelle pazienti con capacità di riparazione del mismatch (pMMR) e in quelle con deficit di questo meccanismo (dMMR).

Il beneficio di PFS associato al trattamento con durvalumab (con o senza olaparib) si è dimostrato più marcato nel sottogruppo di pazienti con dMMR, ma è risultato consistente anche nel sottogruppo con pMMR e pure nel sottogruppo di pazienti positive per il biomarcatore PD-L1.

In particolare, nel sottogruppo con dMMR la combinazione di durvalumab e olaparib più la chemioterapia ha ridotto il rischio di progressione o morte del 59% rispetto alla sola chemioterapia; inoltre, nel sottogruppo con pMMR il trattamento con durvalumab e olaparib più la chemio si è associato a una riduzione del rischio di progressione o morte del 43% rispetto alla sola chemioterapia e ha prodotto una PFS mediana di 15 mesi, la più lunga mai osservata in questa popolazione di pazienti.

I dati relativi alla sopravvivenza globale (OS) non sono ancora maturi, ma mostrano già un andamento favorevole sia per il braccio durvalumab più olaparib sia per il braccio durvalumab nella popolazione ITT.

Prima dimostrazione del potenziale della combinazione immunoterapia più PARP-inibitore
«DUO-E è il primo studio di fase 3 a dimostrare che durvalumab più olaparib conferisce un beneficio di PFS e fornisce nuove opzioni terapeutiche per le pazienti con cancro dell’endometrio avanzato o ricorrente», ha dichiarato l’autrice che ha presentato i dati, Shannon N. Westin, della Divisione di Chirurgia dell’MD Anderson Cancer Center dell’Università del Texas di Houston.

«Il tumore dell’endometrio rappresenta il più comune tra i tumori ginecologici», ha spiegato Domenica Lorusso, Responsabile dell’UOC Programmazione Ricerca Clinica della Fondazione Policlinico Universitario ‘A. Gemelli’ IRCCS di Roma e Professore Ordinario di Ginecologia e Ostetricia presso l’Humanitas University di Milano. «La prognosi per i casi di recidiva non è buona e la mortalità rimane alta, per questo servono terapie efficaci. I nuovi risultati presentati al congresso ESMO mostrano, per la prima volta, il potenziale della combinazione dell’immunoterapia con un PARP-inibitore nel fornire un miglioramento clinico significativo. Va inoltre sottolineato che i benefici dell’immunoterapia tendono a durare nel tempo. I dati dello studio DUO-E possono offrire, agli oncologi e alle pazienti, nuove opportunità terapeutiche contro il carcinoma dell’endometrio, un tumore che negli anni abbiamo un po’ sottovalutato e che oggi è l’unico tra i tumori ginecologici con incidenza e mortalità in aumento», ha sottolineato l’esperta italiana, invitata dall’ESMO come discussant dello studio.

Lo studio DUO-E/GOG-3041/ENGOT-EN10
Lo studio DUO-E/GOG-3041/ENGOT-EN10 (NCT04269200) è un trial multicentrico internazionale randomizzato, in doppio cieco e controllato con placebo, che ha coinvolto 718 pazienti con carcinoma endometriale ricorrente o di nuova diagnosi in stadio III/IV della classificazione FIGO, per le quali era noto lo stato dell’MMR.

Per essere idonee all’arruolamento, le partecipanti non dovevano essere state ancora sottoposte a una terapia sistemica di prima linea per la malattia avanzata e dovevano essere naïve sia ai PARP-inibitori sia all’immunoterapia. Inoltre, potevano aver effettuato una chemioterapia adiuvante solo se erano passati almeno 12 mesi fra l’ultimo trattamento e la ricaduta.

Le pazienti sono state assegnate secondo un rapporto 1:1:1 al trattamento con uno dei seguenti regimi: carboplatino/paclitaxel più durvalumab 1120 mg ogni 3 settimane, seguiti da una terapia di mantenimento con durvalumab 1500 mg ogni 4 settimane più olaparib 300 mg/bid (braccio durvalumab più olaparib; 239 pazienti); carboplatino/paclitaxel più durvalumab 1120 mg ogni 3 settimane, seguiti da una terapia di mantenimento con durvalumab 1500 mg ogni 4 settimane più un placebo (braccio durvalumab; 238 pazienti); carboplatino/paclitaxel più un placebo ogni 3 settimane, seguito da una terapia di mantenimento con un doppio placebo (braccio di controllo; 241 pazienti). Il trattamento è proseguito fino alla progressione della malattia o al manifestarsi di una tossicità inaccettabile o di altri criteri di interruzione.

Gli endpoint primari dello studio erano la PFS per il braccio durvalumab più olaparib e la PFS per il braccio durvalumab, mentre gli endpoint secondari chiave comprendevano l’OS e la sicurezza. La PFS nel braccio durvalumab più olaparib rispetto a durvalumab da solo e le analisi di sottogruppo della PFS erano, invece, endpoint esplorativi.

Al meeting di Madrid, la Westin ha presentato l’analisi primaria della PFS e la prima analisi intermedia pre-pianificata dell’OS.

Complessivamente, 192 pazienti (l’80%) nel braccio durvalumab più olaparib, 183 (il 77%) nel braccio durvalumab e 169 pazienti (il 70%) nel braccio di controllo hanno iniziato la terapia di mantenimento; inoltre, 170 (il 71%), 159 (il 67%) e 147 (il 61%) erano ancora nello studio alla data limite dei dati, il 12 aprile 2023.

Le pazienti sono state seguite per una mediana di 17,5 mesi (range: 0,2-33,4) nel braccio durvalumab più olaparib, 17,1 mesi (range: 0,2-33,0) nel braccio durvalumab e 16,4 mesi (range: 0,2-32,9) nel braccio di controllo.

Miglioramento significativo della PFS con durvalumab
Nella popolazione ITT, il trattamento con durvalumab, con o senza olaparib nella fase di mantenimento, ha prodotto un miglioramento significativo della PFS rispetto alla chemioterapia standard. Infatti, la mediana di PFS è risultata di 15,1 mesi nel braccio durvalumab più olaparib (Hazard Ratio [HR] 0,55; IC al 95% 0,43-0,69; P < 0,0001) e 10,2 mesi nel braccio durvalumab (HR 0,71; IC al 95% 0,57-0,89; P = 0,003), a fronte di 9,6 mesi nel braccio di controllo.

Nel confronto fra il braccio durvalumab più olaparib e il braccio durvalumab, il trattamento con la combinazione ha mostrato di ridurre il rischio di progressione della malattia o di morte del 22% (HR 0,78; IC al 95% 0,61-0,99).

Inoltre, i tassi di PFS a 18 mesi sono risultati pari al 46,3% nel braccio durvalumab più olaparib e 37,8% nel braccio durvalumab contro 21,7% nel braccio di controllo. Il trattamento con la combinazione ha, dunque, più che raddoppiato il tasso di PFS a 18 mesi rispetto alla sola chemioterapia.

Nella prima analisi ad interim dell’OS, la mediana non è stata raggiunta né nel braccio durvalumab più olaparib (HR 0,59; IC al 95% 0,42-0,83), né nel braccio durvalumab (HR 0,77; IC al 95% 0,56-1,07), mentre è risultata di 25,9 mesi nel braccio di controllo. Inoltre, il tasso di OS a 18 mesi è risultato rispettivamente del 79,4% e 74,6% contro 69%.

Beneficio di PFS con durvalumab anche nei sottogruppi
Nell’analisi dei sottogruppi, tutti gli HR erano sono risultati a favore del braccio durvalumab più olaparib e del braccio durvalumab rispetto al braccio di controllo. Come previsto, ha osservato la Westin, si sono osservati HR più bassi, e quindi più favorevoli, nel sottogruppo con dMMR rispetto al sottogruppo con pMMR e nel sottogruppo positivo per PD-L1 rispetto al sottogruppo PD-L1-negativo. In tutti i casi, comunque, i risultati nei due bracci trattati con durvalumab sono stati migliori rispetto al braccio di controllo.

In un’analisi esplorativa pre-specificata della PFS in base allo stato MMR, sia nel braccio durvalumab più olaparib sia nel braccio durvalumab i risultati si sono rivelati superiori rispetto al braccio di controllo sia nel sottogruppo con dMMR (20% delle pazienti) sia in quello con pMMR, che costituiva la maggioranza della popolazione (80% delle pazienti).

In particolare, nel sottogruppo con dMMR la PFS mediana è risultata di 31,8 mesi con durvalumab più olaparib (HR 0,41; IC al 95% 0,21-0,75), non è stata raggiunta con durvalumab in monoterapia (HR 0,42; IC al 95% 0,22-080), mentre è risultata di soli 7 mesi con il trattamento di controllo e la PFS a 18 mesi è risultata rispettivamente del 62,7% e 67,9% contro 31,7%. Nel sottogruppo con pMMR, invece, la PFS mediana è risultata rispettivamente di 15 mesi (HR 0,57; IC al 95% 0,44-0,73) e 9,9 mesi (HR 0,77; IC al 95% 0,60-0,97) contro 9,7 mesi e il tasso di PFS a 18 mesi è risultato rispettivamente del 42% e 31,3% contro 20%.

Allo stesso modo, in un’analisi esplorativa pre-specificata della PFS in base allo stato PD-L1, i risultati dei due bracci trattati con durvalumab sono stati migliori rispetto al braccio di controllo sia nel sottogruppo di pazienti PDL1-positive (il 69%) sia in quello delle pazienti PD-L1-negative (il 31%), anche se in questo caso il beneficio del trattamento con durvalumab (con o senza olaparib) è risultato nettamente più marcato nel sottogruppo positivo per il biomarcatore. In particolare, in questo sottogruppo la PFS mediana è risultata di 20,8 mesi nel braccio durvalumab più olaparib (HR 0,42; IC al 95% 0,31-0,57) e 11,3 mesi nel braccio durvalumab (HR 0,63; IC al 95% 0,48-0,83) contro 9,5 mesi nel braccio di controllo e il tasso di PFS a 18 mesi è risultato rispettivamente del 54,9% e 40,2% contro 21,5%.

Profili di sicurezza coerenti con quelli già noti
I profili di sicurezza e tollerabilità di entrambi i regimi (braccio durvalumab più olaparib e braccio durvalumab) sono risultati ampiamente coerenti con quelli osservati nei precedenti studi clinici e con i profili già noti dei singoli farmaci.

Gli eventi avversi più comuni (che interessano circa il 20% delle pazienti) riportati nel braccio durvalumab più olaparib durante tutto lo studio sono stati anemia (62%), nausea (55%), fatigue e astenia (54%), alopecia (51%), neutropenia (42%), stipsi (33%), trombocitopenia (30%), diarrea (28%), vomito (26%), neuropatia periferica (25%), neuropatia sensoriale periferica (25%), artralgia (24%), diminuzione dell’appetito (23%), leucopenia (20%) e infezione delle vie urinarie (20%).

Nel braccio durvalumab gli eventi avversi più comuni riportati durante tutto lo studio sono stati alopecia (50%), anemia (48%), fatigue e astenia (43%), nausea (41%), neutropenia (36%), diarrea (31%), artralgia (30%), trombocitopenia (28%), stipsi (27%), neuropatia periferica (26%), neuropatia sensoriale periferica (26%) e vomito (21%).

Gli eventi avversi di grado 3 o superiore hanno avuto un’incidenza del 67,2% nel braccio durvalumab più olaparib, 54,9% nel braccio durvalumab e 56,4% nel braccio di controllo. Complessivamente, eventi avversi che hanno richiesto l’interruzione del trattamento si sono verificati rispettivamente nel 24,4%, 20,9%, 18,6% delle pazienti, mentre sospensioni della somministrazione del trattamento sono state necessarie rispettivamente nel 68,9%, 54,5% e 50,0% dei casi.

Bibliografia
S.N. Westin, et al. Durvalumab (durva) plus carboplatin/paclitaxel (CP) followed by maintenance (mtx) durva ± olaparib (ola) as a first-line (1L) treatment for newly diagnosed advanced or recurrent endometrial cancer (EC): Results from the phase III DUO-E/GOG-3041/ENGOT-EN10 trial. Ann Onc. 2023;34(S2):LBA41. doi:10.1016/j.annonc.2023.10.035. https://www.annalsofoncology.org/article/S0923-7534(23)04179-0/fulltext