Stenosi aortica: statine promosse dopo sostituzione chirurgica valvolare


Stenosi aortica: da un ampio studio di registro svedese emergono benefici dall’uso di statine dopo sostituzione chirurgica valvolare

Un nuovo studio dimostra che lo scompenso cardiaco può essere prevenuto grazie ad un algoritmo che combina i trend rilevati dal monitoraggio remoto

I pazienti sottoposti a sostituzione chirurgica della valvola per stenosi aortica (SAVR) sembrano trarre un sostanziale beneficio clinico se vengono trattati con statine dopo la procedura, secondo i nuovi risultati di un ampio studio svedese presentati a Vienna nel corso del congresso annuale dell’European Association for Cardio-Thoracic Surgery (EACTS). Il dato emerso appare particolarmente vero quando vengono utilizzate statine di intensità intermedia o alta.

Dopo più di 5 anni di follow-up, il rischio relativo di eventi avversi cardiovascolari maggiori (MACE) – un composito di mortalità per tutte le cause, ictus o infarto miocardico – era significativamente più basso nei pazienti SAVR con trattamento con statine in corso rispetto ai pazienti non trattati con statine (HR 0,76; IC 95% 0,71-0,82), e questo beneficio è stato guidato da una significativa riduzione della mortalità per tutte le cause (HR 0,69; 95% CI 0,64-0,75).

Emily Pan, dell’Università di Turku (Finlandia) e del Brigham and Women’s Hospital di Boston, che ha presentato i risultati all’EACTS, ha affermato che – mentre ci sono dati che mostrano come le statine riducano il rischio di eventi cardiovascolari nei pazienti trattati con sostituzione transcatetere della valvola aortica (TAVI) – ci sono ancora informazioni limitate in campo chirurgico.

«Per questo motivo, attualmente, sia le linee guida europee che quelle americane non hanno raccomandazioni specifiche per quanto riguarda l’uso di farmaci dopo SAVR, a parte il trattamento di altre comorbilità» ha affermato Pan.

Il ricercatore senior Anders Jeppsson, del Sahlgrenska University Hospital di Göteborg (Svezia), ha dichiarato che la task force congiunta dell’European Society of Cardiology (ESC) e dell’EACTS aggiornerà presto le proprie linee guida. Ritiene, infatti, che questi nuovi dati dovranno essere presi in considerazione nel loro aggiornamento.

«La migliore prova dovrebbe derivare da uno studio randomizzato, ma dubito che sarà mai fatto» ha aggiunto. «Le statine sono poco costose e i brevetti sono scaduti. Quindi, l’industria farmaceutica probabilmente non inizierà una sperimentazione che dovrebbe durare molti anni e includere migliaia di pazienti. Dovremo fare affidamento su dati osservazionali».

Esiti positivi guidati dalla ridotta mortalità per tutte le cause
Lo studio ha incluso pazienti iscritti al Registro svedese di cardiochirurgia, che fa parte del più ampio registro SWEDEHEART. I dati sono stati collegati al registro nazionale dei pazienti, che include informazioni su tutti i codici ICD, e ad altri due registri che tracciano la causa di morte e le prescrizioni di farmaci.

In totale, l’analisi ha incluso 11.893 pazienti sottoposti a SAVR tra il 2006 e il 2020. Di questi, al 50,5% sono state prescritte statine al basale, definito come ‘entro 6 mesi dalla dimissione dall’ospedale’. A più di un quarto è stata prescritta una statina ad alta intensità, al 68,4% una statina a intensità intermedia e al 3,5% un farmaco a bassa intensità.

Dopo un follow-up mediano di 5,4 anni, la riduzione relativa del 24% dei MACE, come è stato fatto notare, è stata il risultato di una riduzione statisticamente significativa della mortalità per tutte le cause. L’infarto miocardico non era significativamente ridotto nel modello di regressione di Cox né nel modello abbinato al punteggio di propensione, mentre il rischio di ictus era significativamente più basso in quest’ultimo.

La mortalità cardiovascolare, un endpoint secondario, era inferiore del 26% nei pazienti trattati con statine, ma non vi era alcun effetto sugli endpoint dell’arteriopatia periferica o di un intervento ripetuto sulla valvola aortica.

I pazienti trattati con statine erano significativamente più anziani al basale, erano più spesso maschi, avevano un indice di massa corporea più elevato e avevano più comorbilità rispetto a quelli che non erano in trattamento, ma Jeppsson ha detto che l’analisi è stata aggiustata per le differenze in termini di caratteristiche basali e dati aggiornati nel tempo sui farmaci.

Il beneficio è stato osservato in tutti i sottogruppi studiati, compresi uomini e donne, giovani e anziani, pazienti con diverse comorbilità e con valvole biologiche e meccaniche. Nel complesso, l’effetto del trattamento è apparso più forte nei pazienti con ipertensione e iperlipidemia al basale.

Quando stratificata per intensità di statine e aggiustata per fattori confondenti, la riduzione dei MACE è stata statisticamente significativa nei pazienti trattati con statine di intensità intermedia (HR 0,74; 95% CI 0,68-0,80) e statine ad alta intensità (HR 0,86; 95% CI 0,77-0,97), ma non in quelli ai quali erano stati prescritti agenti più deboli (HR 0,83; 95% CI 0,65-1,05).

Discussione dei risultati tra cardiochirurghi
Questi nuovi dati aiuteranno a trattare meglio i pazienti con terapia medica dopo SAVR, ha affermato il moderatore della sessione Patrick Myers, dell’Ospedale universitario di Losanna (Svizzera) e segretario generale dell’EACTS, il quale tuttavia ha messo in discussione il modo in cui le statine esercitano il loro effetto benefico, osservando che, mentre c’era una riduzione della mortalità, non c’era alcun effetto sull’infarto miocardico o sugli interventi ripetuti sulla valvola aortica.

Pan ha detto che era una domanda che si era posta anche il suo gruppo, ma ha suggerito che ciò potrebbe essere il risultato dei noti effetti pleiotropici delle statine che includono, tra gli altri benefici sistemici, la riduzione dell’infiammazione e dello stress ossidativo.

Cristian Baeza, degli University Hospitals di Cleveland, ha affermato che, se si sottrae la sostituzione della valvola aortica dall’equazione, non sorprende che i pazienti trattati con statine siano andati significativamente meglio data la comprovata esperienza dei farmaci in prevenzione secondaria.

Come chirurgo che esegue anche TAVI, Baeza ha affermato che una delle principali domande rimaste senza risposta dopo la presentazione è se la terapia con statine prolunghi la durata della valvola, un aspetto che non può essere affrontato nell’analisi attuale.

Tom Nguyen, della University of California di San Francisco, si è chiesto se fosse possibile escludere l’impatto di altri fattori di «compliance socioeconomica» sui risultati. Ha osservato, cioè, che i pazienti che assumono una statina potrebbero anche essere più aderenti ad altri farmaci, come l’aspirina, il clopidogrel o i regimi anticoagulanti, mentre il fatto di non usare statine potrebbe riflettere l’incapacità o la riluttanza ad assumere questi trattamenti di prevenzione secondaria.

Pan ha sottolineato che il follow-up dopo l’intervento chirurgico per stenosi aortica inizia con la cardiologia medica, seguita dalle cure primarie. «Quindi, l’uso di molti dei farmaci di prevenzione secondaria sarà avviato da questi medici» ha detto.

In generale, ha aggiunto, i pazienti che assumevano più farmaci avranno avuto probabilmente un maggior numero di visite con i loro curanti, il che potrebbe aver influito sulla qualità delle cure che hanno ricevuto. Pan non pensa però che i fattori socioeconomici abbiano avuto un impatto sulla compliance e sugli esiti. L’accesso all’assistenza sanitaria e le disparità socioeconomiche sono meno pronunciati in Svezia e in altri paesi scandinavi rispetto ad altri Paesi, ha dichiarato.

Fonte:
Pan E, et al. Statin treatment after surgical aortic valve replacement due to aortic stenosis is associated with better long-term outcome. Presented at: EACTS 2023. October 5, 2023. Vienna, Austria.