La morte in carcere di Stefano Dal Corso diventa un caso


La politica si mobilita per chiedere che si faccia luce sul caso di Stefano Dal Corso, la cui morte in carcere nell’ottobre di un anno fa potrebbe non essere un suicidio

stefano dal corso

Archiviata abbastanza rapidamente come suicidio, la morte di Stefano Dal Corso potrebbe in realtà nascondere una storia molto diversa. E gravissima. Nei giorni scorsi, ha scritto Repubblica, una persona si è fatta avanti, in modo anonimo, per dire che Dal Corso il 12 ottobre 2022 sarebbe stato ucciso (picchiato in modo violentissimo con spranghe e manganelli) perché avrebbe visto una cosa che non doveva vedere: un rapporto sessuale in carcere tra due operatori giudiziari, in infermeria. Questo super testimone, che ha detto di essere un ufficiale esterno della Polizia penitenziaria, avrebbe scritto una mail (contattando anche la sorella di Dal Corso) e avrebbe detto: “Hanno modificato la relazione, cambiato medico legale, e lo hanno vestito con altri indumenti“. E sostiene di avere prove anche video che dimostrano che al detenuto vennero cambiati i vestiti.

QUELLO STRANO SUICIDIO

Il suicidio, che sarebbe avvenuto per impiccagione mentre si trovava nel carcere di Oristano, destò subito stupore nella sorella e nei familiari, che dissero di non credere che le cose fossero andate così. L’uomo, a cui mancava poco per finire di scontare la pena, aveva detto a moglie e figlia che avrebbe voluto ricominciare la vita con loro. Inoltre, non fu mai ritrovato il taglierino con cui sarebbe stato tagliato il lenzuolo e poi, fu osservato, l’inferriata era bassa per permettere di impiccarsi. Il caso venne però rapidamente catalogato come suicidio e non venne fatta l’autopsia. Le indagini, poi, furono riaperte ai primi di ottobre scorso. Ora, dopo le novità di questi giorni, si è scatenato un tam tam nella politica, con la richiesta di riprendere in mano il caso.

IL PD: “NORDIO FACCIA PIENA LUCE SU MORTE DAL CORSO”

“Chiediamo al ministro della Giustizia, ovviamente nel pieno rispetto dell’azione della magistratura, se non ritenga, per quanto di sua competenza, di dovere con immediatezza fare piena luce sui fatti esposti relativi alla morte di Stefano Dal Corso, i quali, laddove dovessero rispondere al vero, rappresenterebbe un vulnus di incredibile gravità al sistema di gestione dell’esecuzione della pena da parte dello Stato, rispetto alla quale è necessario individuare ogni singolo passaggio nella catena delle responsabilità”. Questa la domanda rivolta a Carlo Nordio contenuta nell’interrogazione depositata alla Camera a firma dei deputati Pd della commissione Giustizia, Debora Serracchiani, Federico Gianassi, Michela Di Biase, Marco Lacarra e Alessandro Zan.

“Il 12 ottobre del 2022- si legge nel testo dell’interrogazione- Stefano Dal Corso, romano di 42 anni, fu trovato morto nella sua cella nel carcere di Oristano. La prima ipotesi della Procura fu suicidio, e il caso venne archiviato. Le indagini, però, sono state riaperte, anche in seguito alle denunce della sorella di Stefano Dal Corso, a cui mancava poco per uscire dal carcere. Adesso, apprendiamo dalla stampa, sarebbero emersi nuovi, gravissimi, elementi che potrebbero, qualora accertati e verificati, stravolgere la ricostruzione riguardante la morte di Del Corso su cui non risulta sia stata effettuata un’autopsia. Un testimone anonimo, che dice di essere un ‘ufficiale esterno della Polizia penitenziaria’ dichiara di avere video e prove in grado di dimostrare che Stefano Dal Corso sia stato pestato con spranghe e manganelli e ucciso”.

BLASI: “RIAPRIRE INDAGINI SU MORTE STEFANO DAL CORSO”

“È il 12 ottobre del 2022 quando nel carcere di Oristano viene trovato senza vita Stefano Dal Corso. Si trova in Sardegna per un’udienza, è in transito da Rebibbia dove sta scontando un residuo di pena. La morte di Stefano è subito liquidata come suicidio e sul corpo non viene fatta l’autopsia, nonostante le foto che abbiamo mostrato in Senato insieme alla sorella Marisa Dal Corso e alla legale Armida Decina lascino molti dubbi sulla vera dinamica”. Lo dichiara Luca Blasi, assessore alle Politiche abitative del III Municipio di Roma.

“Ora, dopo mesi di appelli, manifestazioni di solidarietà (in particolare dobbiamo ringraziare i cittadini e le cittadine del Tufello che si sono mobilitati) e momenti di denuncia- prosegue Blasi- vediamo uno spiraglio per la riapertura del processo, grazie a una testimonianza resa pubblica nella giornata di ieri: Stefano sarebbe stato ucciso e poi il suo suicidio simulato perché avrebbe assistito a un rapporto sessuale tra agenti della Polizia penitenziaria, circostanza che non avrebbe dovuto vedere. Speriamo che gli organi inquirenti facciano piena luce su quanto accaduto, perché di carcere non si può morire, perché di carcere non vogliamo che si viva più”.

FONTE: AGENZIA DI STAMPA DIRE (WWW.DIRE.IT)