Melanoma avanzato: benefici da doppia inibizione di BRAF e MEK


Nei pazienti con melanoma avanzato non resecabile BRAF-mutato, la doppia inibizione di BRAF e MEK migliora in modo significativo la sopravvivenza libera da progressione

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Nei pazienti con melanoma avanzato non resecabile BRAF-mutato, la doppia inibizione di BRAF e MEK migliora in modo significativo la sopravvivenza libera da progressione (PFS) rispetto alla monoterapia con un inibitore di BRAF. Lo dimostrano i risultati della seconda parte dello studio di fase 3 COLUMBUS pubblicati di recente sul Journal of Clinical Oncology.

I pazienti trattati con l’inibitore di BRAF encorafenib più l’inibitore di MEK binimetinib hanno mostrato una PFS mediana di 12,9 mesi, a fronte di 9,2 mesi osservati in due coorti di pazienti trattati con encorafenib in monoterapia, differenza corrispondente a una riduzione del 26% del rischio di progressione della malattia o di morte (P = 0,003).

Questo risultato si va ad aggiungere a quelli già riportati che hanno dimostrato la superiorità della combinazione rispetto al solo vemurafenib e un vantaggio numerico rispetto a encorafenib come agente singolo.

Inoltre, la combinazione è risultata più tollerata e associata a una intensità di dose relativa maggiore rispetto al solo encorafenib.

«Assieme ai risultati della prima parte dello studio, questi dati confermano e rafforzano l’evidenza del contributo dato da binimetinib nel trattamento del melanoma avanzato e non resecabile, BRAF-mutato», scrivono Paolo Antonio Ascierto, direttore del Dipartimento di Melanoma e Terapie Innovative dell’Istituto Nazionale Tumori IRCCS Fondazione ‘G. Pascale’ di Napoli, e gli altri autori. «Questi risultati suggeriscono che sulla base delle evidenze disponibili dello studio COLUMBUS si dovrebbe utilizzare la massimizzazione dell’inibizione di BRAF con l’inibizione combinata di BRAF/MEK al dosaggio più alto approvato».

Nell’articolo, Ascierto e i colleghi riportano i risultati della seconda parte dello studio, effettuata per rispondere alla richiesta di dati aggiuntivi avanzata dalla Food and drug administration (Fda) e confermare il contributo specifico di binimetinib all’efficacia della combinazione rispetto al solo encorafenib.

Lo studio COLUMBUS
COLUMBUS (NCT01909453) è uno studio di fase 3 in due parti, randomizzato, in aperto, con controllo attivo, disegnato per valutare la combinazione encorafenib più binimetinib in pazienti con melanoma avanzato non resecabile portatori di mutazioni del codone V600 del gene BRAF.

Nella prima parte dello studio, i pazienti sono stati trattati con encorafenib 450 mg una volta al giorno più binimetinib 45 mg due volte al giorno (regime COMBO450) o encorafenib a una dose giornaliera di 300 mg (regime ENCO300) o vemurafenib 960 mg due volte al giorno. Con la combinazione si era ottenuta una PFS mediana migliore rispetto a vemurafenib, mentre la differenza tra la combinazione e la monoterapia con encorafenib non aveva raggiunto la significatività statistica (P = 0,051).

Nella seconda parte dello studio, per isolare il contributo dato da binimetinib alla terapia di combinazione, nel braccio di associazione e in quello di confronto i pazienti sono stati trattati con lo stesso dosaggio di encorafenib (300 mg, ENCO300) e nel braccio della combinazione binimetinib è stato somministrato alla dose di 45 mg due volte al giorno (regime COMBO300).

In questa seconda parte, i pazienti sono stati assegnati in rapporto 3:1 al regime COMBO300 o alla monoterapia con ENCO300. I dati di ENCO300 della prima e seconda parte sono stati poi accorpati, come da protocollo, per misurare l’endpoint secondario chiave, rappresentato dalla PFS valutata da un comitato di revisori indipendente in cieco (BIRC). Altre analisi hanno incluso il tasso di risposta obiettiva (ORR), la sopravvivenza complessiva (OS) e la sicurezza.

La seconda parte del trial è stata avviata dopo una modifica del protocollo mentre era ancora in corso la prima parte.

L’analisi presentata sul Journal of Clinical Oncology è stata effettuata sui dati di 258 pazienti assegnati al trattamento con COMBO300 e 280 pazienti trattati con il solo encorafenib (194 trattati nella prima parte e 86 nella seconda parte).

Il follow-up mediano è stato di 54,4 mesi per i pazienti trattati con COMBO300, 40,8 mesi per quelli trattati con ENCO300 nella prima parte e 57,1 mesi per quelli trattati con ENCO300 nella seconda parte dello studio.

In merito alla PFS, in un’analisi separata dei dati raccolti nel braccio trattato con encorafenib in monoterapia nella seconda parte dello studio è stata raggiunta una PFS mediana di 7,4 mesi.

Inoltre, l’OS mediana valutata dal BIRC è risultata di 27,1 mesi con il regime COMBO300 contro 22,7 mesi con encorafenib (dati accorpati della prima e seconda parte), differenza corrispondente a una riduzione del rischio di progressione o morte del 10% (IC al 95% 0,73-1,11), non significativa.

Infine, l’ORR valutato dal BIRC è risultato del 68% per i pazienti trattati con COMBO300 e 51% per quelli trattati con ENCO300.

Sicurezza e tollerabilità migliori
L’intensità di dose relativa è risultata maggiore per COMBO300, ma con un numero di eventi avversi di grado 3/4 complessivamente minore rispetto alla monoterapia con encorafenib.

Gli eventi avversi di grado 3/4 più comuni riportati nel braccio trattato con COMBO300 sono stati aumento della creatinfosfochinasi (7,4%), ipertensione (6,6%), aumento della gamma-glutamil transferasi (GGT, 5,8%), aumento dell’alanina aminotransferasi (ALT, 5,1%) e anemia (4,3%). Gli eventi avversi di grado 3/4 più comuni osservati nei pazienti trattati con il solo encorafenib sono stati sindrome mano-piede (11,2%), artralgia (9,1%), mialgia (8,3%), aumento della GGT (4,35) e vomito (4%).

La percentuale di partecipanti che hanno raggiunto un’intensità di dose relativa almeno dell’80% nel braccio assegnato alla combinazione è risultata dell’87% per encorafenib e dell’80,6% per binimetinib, contro 51,8% per il solo encorafenib in entrambe le parti dello studio.

Commento nell’editoriale
I dati coerenti ottenuti in quattro studi randomizzati di fase 3, che hanno valutato tre diverse combinazioni di anti-BRAF e anti-MEK hanno definito il «dogma centrale dell’ottimizzazione della terapia mirata contro BRAF» per il melanoma avanzato con l’aggiunta di un inibitore di MEK, osserva Ryan J. Sullivan, del Massachusetts General Hospital Cancer Center di Boston, nell’editoriale di accompagnamento.

«Tuttavia, i dati acquisiti e quelli emergenti sembrano supportare l’impiego dell’immunoterapia in prima linea invece della terapia target anti-BRAF, e perciò sono in corso numerosi sforzi per ottimizzare la terapia target anti-BRAF nei pazienti con melanoma avanzato» si legge nell’editoriale.

«La seconda parte dello studio COLUMBUS ha confermato che l’inibizione di MEK è fondamentale per l’efficacia e la sicurezza dell’inibizione di BRAF nei pazienti con melanoma avanzato portatori di mutazioni del codone V600 del gene BRAF», aggiunge. «Le prossime domande a cui si dovrà rispondere – Quando si dovrebbe utilizzare una terapia target anti-BRAF? Che effetto ha la terapia adiuvante sulla tempistica ottimale dell’impiego terapia target anti-BRAF? I regimi a base di triplette o quadruplette possono migliorare l’efficacia dell’inibizione combinata di BRAF/MEK senza aggiungere una tossicità limitante? – sono numerose e impegnative», conclude Sullivan.

Bibliografia
P.A. Ascierto, et al. Contribution of MEK inhibition to BRAF/MEK inhibitor combination treatment of BRAF-mutant melanoma: Part 2 of the randomized, open-label, phase III COLUMBUS trial. J Clin Oncol 2023; doi: 10.1200/JCO.22.02322. Link

R.J. Sullivan. To inhibit or not to inhibit MEK with BRAF inhibitors: Is that the question? J Clin Oncol 2023; doi: 10.1200/JCO.23.01380. Link