Scompenso cardiaco: broncopneumopatia non influisce su dapagliflozin


Secondo nuovi studi, nei pazienti con scompenso cardiaco la comorbilità per broncopneumopatia cronica ostruttiva non influisce sull’efficacia di dapagliflozin

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La broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) è comune nell’insufficienza cardiaca con una frazione di eiezione lievemente ridotta o conservata (HFmrEF/HFpEF) ed è associata a esiti peggiori. In un’analisi pre-specificata di DELIVER, è stata studiata la relazione tra lo stato e gli esiti della BPCO e l’efficacia e la sicurezza di dapagliflozin, rispetto al placebo, secondo lo stato della BPCO. Dai risultati dell’analisi – presentati al Congresso dell’European Society of Cardiology (ESC), ad Amsterdam, e pubblicati contemporaneamente sull’”European Journal of Heart Failure” – è emerso che gli effetti benefici di dapagliflozin rispetto al placebo sugli eventi clinici e sui sintomi sono stati coerenti, indipendentemente dallo stato della BPCO.

«La compresenza di HFmrEF/HFpEF e BPCO è frequente e questa comorbilità risulta in una prognosi peggiore rispetto a ognuna delle due condizioni isolate» ha ricordato il ricercatore principale, Jawad H. Butt, del British Heart Foundation Cardiovascular Research Centre, University of Glasgow. «Pertanto vi è la necessità di terapie efficaci in questi soggetti ad alto rischio».

Nello studio DELIVER, l’inibitore SGLT2 dapagliflozin, rispetto al placebo, ha ridotto il rischio di peggioramento di eventi HF o morte CV e ha migliorato i sintomi in 6.263 pazienti con HFmrEF/HFpEF.

Le modalità di analisi
«In questa analisi prespecificata» ha spiegato Butt «abbiamo confrontato gli esiti clinici, incluse l’ospedalizzazione per tutte le cause, tra pazienti con e senza storia di BPCO alla randomizzazione. Inoltre, abbiamo esaminato le cause di morte e ospedalizzazione in questi due gruppi di pazienti».

È stata infine valutata l’efficacia e sicurezza di dapagliflozin rispetto a placebo in base al fatto che i pazienti avessero o meno una storia di BPCO. Per confrontare gli effetti di dapagliflozin rispetto al placebo sugli esiti clinici, i dati tempo-a-evento e gli eventi totali sono stati valutati rispettivamente con modelli di rischio proporzionale di Cox e modelli proporzionali semiparametrici, e questi modelli sono stati stratificati in base allo stato del diabete di tipo 2.

La differenza tra i gruppi di trattamento nella variazione dei punteggi KCCQ (Kansas City Cardiomyopathy Questionnaire) dal basale a 8 mesi è stata analizzata utilizzando modelli a effetto misto per misurazioni ripetute, aggiustate per valore basale, visita (mese 1, 4 e 8), assegnazione del trattamento e interazione tra trattamento e visita. Sono state riportate differenze medie dei minimi quadrati con IC al 95% tra i gruppi di trattamento.

Le caratteristiche della popolazione in studio
I pazienti con grave malattia polmonare (compresa la BPCO) sono stati esclusi dallo studio. L’esito primario era un composito di morte cardiovascolare o peggioramento dell’insufficienza cardiaca. Dei 6261 pazienti con dati sullo stato basale della BPCO, 694 (11,1%) avevano una storia nota di questa condizione.

I pazienti con BPCO erano più anziani, più spesso uomini, e con più probabilità di essere fumatori attuali e avere un BMI più alto rispetto ai pazienti senza BPCO. Avevano anche maggiori probabilità di avere una storia di fibrillazione atriale, malattia aterosclerotica, cardiopatia valvolare e ipertensione.

Sebbene i pazienti con e senza BPCO avessero una distribuzione simile di LVEF e NT-proBNP, i primi avevano una durata più lunga di HF, una peggiore classe funzionale NYHA e punteggi inferiori KCCQ e un tasso più elevato di precedente ospedalizzazione per HF.

Per quanto riguarda la terapia farmacologica, i pazienti con BPCO sono stati trattati più frequentemente con un diuretico dell’ansa e un anticoagulante, ma meno spesso con un ACEi/ARB. La percentuale di pazienti trattati con un beta-bloccante era simile nei due gruppi, sebbene i pazienti con BPCO avessero maggiori probabilità di essere trattati con nebivololo (un antagonista del recettore beta-1-selettivo) e meno spesso con carvedilolo (non selettivo), rispetto a quelli senza BPCO.

Tra i pazienti con BPCO, il 28,2% è stato trattato con un agonista beta-2-adrenorecettore a lunga durata d’azione (19,6% con un agente a breve durata d’azione in questa classe), il 28,0% con un antagonista muscarinico, il 23,8% con un corticosteroide per via inalatoria, il 4,3% con un derivato della xantina (per es. teofillina) e il 3,2% con un antagonista del recettore dei leucotrieni.

Risultati positivi e coerenti in ciascun sottogruppo
I pazienti con BPCO avevano un rischio non aggiustato più elevato dell’esito composito primario, insieme alla morte cardiovascolare e per tutte le cause, nonché per ospedalizzazione cardiovascolare e per tutte le cause (sia i primi eventi che i ricoveri totali) rispetto agli individui senza BPCO. Il tasso (IC 95%) dell’esito primario (morte CV o peggioramento dell’evento HF) è stato di 8,1 (7,6-8,7) tra i partecipanti senza BPCO rispetto a 13,3 (11,6-15,4) per 100 anni-persona in quelli con BPCO.

Il rischio dell’endpoint primario era più elevato nei pazienti con BPCO da lieve a moderata rispetto a quelli senza BPCO ( hazard ratio aggiustato [HR] 1,28, intervallo di confidenza al 95% [CI] 1,08-1,51).

Dapagliflozin, rispetto al placebo, ha ridotto il rischio di peggioramento dell’HF o di morte cardiovascolare nella stessa misura nei pazienti con (HR 0,82 [IC 95%, 0,62-1,10]) e senza BPCO (0,82 [0,72-0,93]), senza interazione tra BPCO ed effetto del trattamento (p di interazione=0,98).

L’effetto di dapagliflozin è stato coerente anche per tutti gli altri esiti clinici esaminati, indipendentemente dalla storia di BPCO. In particolare, la RR per il composito di decessi per tutte le cause e ricoveri totali per tutte le cause era 0,90 (IC 95%, 0,82-0,98) nei partecipanti senza BPCO e 0,91 (0,73-1,14) nei pazienti con BPCO (p di interazione= 0,83). Poiché il rischio assoluto di esiti clinici era più elevato nei pazienti con BPCO, il beneficio assoluto era anche maggiore in questi pazienti.

Assumendo una dimensione costante dell’effetto del trattamento in ciascun sottogruppo, il numero di pazienti necessari per trattare (NNT, number needed-to-treat) con dapagliflozin nel corso della durata dello studio per evitare che un individuo manifestasse l’endpoint primario è stato di 19 (IC 95%, 13-43) per i pazienti con BPCO e 30 (20-68) per i pazienti senza BPCO.

Anche l’aumento medio dei punteggi KCCQ dal basale a 8 mesi è stato maggiore con dapagliflozin rispetto al placebo in entrambi i pazienti con e senza BPCO (P di interazione>0,63). Gli eventi avversi e l’interruzione del trattamento non sono stati più frequenti con dapagliflozin che con placebo, indipendentemente dallo stato della BPCO.

I messaggi-chiave
«Nella presente analisi di DELIVER, abbiamo dimostrato che l’efficacia di dapagliflozin su una serie di esiti clinici non è stata modificata da una storia di BPCO» ha detto Butt. «In particolare, dapagliflozin ha ridotto il rischio di tempo a morte cardiovascolare o a peggioramento dell’evento HF, nonché i decessi cardiovascolari e gli eventi HF totali (primi e ricorrenti) in misura simile nei pazienti con e senza BPCO».

«A causa della predominanza di decessi cardiovascolari e ricoveri ospedalieri tra gli eventi complessivi in entrambi i sottogruppi di pazienti» ha precisato «anche i decessi totali per tutte le cause e i ricoveri per tutte le cause sono stati ridotti da dapagliflozin. Tuttavia, poiché i pazienti con BPCO erano a rischio assoluto più elevato, il loro beneficio assoluto era maggiore, riflesso in un NNT più piccolo per l’esito primario».

Il miglioramento dello stato di salute è un obiettivo importante nella gestione dei pazienti con HF. «Questo è ancora più importante nei pazienti con BPCO che hanno un carico di sintomi maggiore e una peggiore funzione fisica e qualità della vita correlata alla salute rispetto a quelli senza BPCO, come confermato dai valori di NYHA e KCCQ rilevati in questo studio» ha aggiunto Butt.

Nel complesso, l’interruzione del farmaco in studio e gli eventi avversi gravi sono stati generalmente non comuni, senza differenze in base allo stato della BPCO. «È importante sottolineare che l’interruzione del farmaco in studio e gli eventi avversi gravi non sono stati riportati più frequentemente nel gruppo dapagliflozin rispetto al gruppo placebo, indipendentemente dallo stato della BPCO» ha ribadito il ricercatore.

«Nel complesso, questi dati evidenziano i benefici sostanziali e clinicamente significativi, e il profilo di sicurezza favorevole, di dapagliflozin nell’HFmrEF/HFpEF, indipendentemente dallo stato della BPCO e forniscono ulteriori evidenze per dapagliflozin come nuova opzione di trattamento per i pazienti con HF e BPCO» ha concluso Butt.

Fonte:
Butt JH, Lu H, Kondo T, et al. Heart failure, chronic obstructive pulmonary disease and efficacy and safety of dapagliflozin in heart failure with mildly reduced or preserved ejection fraction: Insights from DELIVER. Eur J Heart Fail. 2023 Aug 26. doi: 10.1002/ejhf.3000. [Epub ahead of print] leggi