Nuovi studi sulla gestione della colite da inibitori del checkpoint immunitario


Studio ha avuto l’obiettivo di riassumere il meccanismo patogenetico alla base della colite dovuta a inibitori del checkpoint immunitario e discutere l’attuale gestione

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Una recente revisione di esperti dell’Humanitas di Milano, tra cui il prof. Alessandro Armuzzi del Centro IBD dell’ IRCCS Humanitas Research Hospital,, pubblicata sull’International Journal of Molecular Sciences ha avuto l’obiettivo di riassumere il meccanismo patogenetico alla base della colite dovuta a inibitori del checkpoint immunitario e discutere l’attuale gestione basata sull’evidenza, compreso il ruolo della terapia biologica, sottolineando il rilevante impatto clinico di questo evento avverso e la necessità di un tempestivo riconoscimento e trattamento.

L’avvento dell’immunoterapia, in particolare degli inibitori del checkpoint immunitario (ICI), per il trattamento dei tumori solidi ha profondamente trasformato gli algoritmi terapeutici in oncologia medica. Circa un terzo dei pazienti trattati con ICI può sviluppare eventi avversi immuno-correlati, e il tratto gastrointestinale è spesso interessato da diversi gradi di infiammazione della mucosa. Tra questi eventi avversi vi è anche la colite da inibitori del checkpoint (CIC) che si presenta con diarrea acquosa o sanguinolenta e, in caso di gravi sintomi, richiede l’interruzione degli ICI.

La patogenesi della CIC è multifattoriale e ancora parzialmente sconosciuta: sono principalmente coinvolte l’attività antitumorale che colpisce collateralmente il tessuto del colon e la sovraregolazione di specifiche vie infiammatorie sistemiche (cioè, linfociti CD8+ citotossici e CD4+ T).
Rimangono molte domande riguardo ai tempi e alle opzioni del trattamento e al trattamento biologico, soprattutto con anti-TNF alfa, che può essere offerto a questi pazienti con l’obiettivo di riprendere rapidamente le terapie oncologiche.

CIC condivide patogenesi e aspetti simili con la malattia infiammatoria intestinale (IBD) e l’uso di ICI nei pazienti con IBD è in fase di valutazione. Questa revisione ha avuto l’obiettivo di riassumere il meccanismo patogenetico alla base del CIC e discutere l’attuale gestione basata sull’evidenza, compreso il ruolo della terapia biologica, sottolineando il rilevante impatto clinico sulla CIC e la necessità di un tempestivo riconoscimento e trattamento.

Attualmente, gli ICI approvati sono diretti contro la proteina 4 associata ai linfociti T citotossici ( (CTLA-4) (ovvero ipilimumab), anti-PD-1 (ovvero nivolumab, Pembrolizumab, Cemiplimab) e anti-PD-L1 (cioè Atezolizumab, Durvalumab, Avelumab). PD-1 e PD-L1 sono proteine co-inibitrici espresse dai linfociti e cellule presentanti l’antigene (APC) che inducono auto-tolleranza e controllo dell’autoimmunità, mentre CTLA-4 è espresso sulle cellule T e B e funziona per regolare negativamente l’attivazione dei linfociti.

D’altra parte, i checkpoint immunitari sono rilevanti nel bilanciare le risposte pro e antinfiammatorie e la loro inibizione può portare a una risposta immunitaria iperattiva e l’autoimmunità umorale, che può portare a un ampio spettro di effetti avversi immuno-correlati (irAEs). Questa tossicità infiammatoria può colpire qualsiasi organo, più frequentemente la pelle; il sistema gastrointestinale, endocrino e respiratorio; e più raramente, i nervi e il cuore. Le irAE cutanee e gastrointestinali rappresentano le principali cause principali di interruzione degli ICI, presente nel 50% dei pazienti.

L’evidenza di colite, definita come presenza di infiammazione della mucosa, non è molto comune. Recenti revisioni sistematiche hanno riportato un’incidenza dell’8,6% di colite, superiore a quella valutata durante gli studi clinici. Nessuno studio ha riportato una correlazione statisticamente significativa tra sesso, tipo di tumore e la gravità della colite immuno-mediata.

La colite potrebbe verificarsi in qualsiasi momento dopo l’inizio degli ICI, con un’occorrenza precedente con gli inibitori PD-1 [24], ma maggiore gravità con anti-CTLA-4 e, in particolare, con la terapia di combinazione. La manifestazione clinica include la diarrea come sintomo principale, associato a dolore addominale, feci sanguinolente e febbre. Sono stati segnalati nausea, perdita di peso e ulcere aftose orali con una frequenza inferiore.

Nella revisione gli autori spiegano in dettaglio quale potrebbe essere la patogenesi di questo evento avverso con over attivazione dei linfociti T e loro diversificazione, forte aumento delle citochine infiammatorie, up regolazione dei recettori delle integrine etc.

Gli autori concludono che la colite da inibitori del checkpoint immunitario è uno degli eventi avversi immuno-correlati più frequenti con diversa epidemiologia a seconda del tipo di ICI somministrato e il tipo di tumore sottostante trattato. La CIC rappresenta una delle principali cause di interruzione dell’ICI, richiedendo un tempestivo riconoscimento e trattamento. Questa nuova malattia è caratterizzata da una patogenesi complessa e poco chiara, che comprende molteplici vie infiammatorie, molecole e il microbioma intestinale.

La CIC manca di caratteristiche patognomoniche e criteri diagnostici standardizzati (istologico ed endoscopico); pertanto, la diagnosi è generalmente basata sull’esclusione di altre eziologie. L’endoscopia precoce sembra svolgere un importante ruolo prognostico, selezionando pazienti ad alto rischio con un tasso inferiore di risposta agli steroidi. Un approccio multidisciplinare tra gastroenterologi e oncologi è fondamentale per selezionare rapidamente i pazienti con CIC refrattario/complicato. La gestione condivisa dei medici coinvolti dovrebbe bilanciare attentamente i rischi e i benefici dell’introduzione di un trattamento biologico e/o del suo proseguimento

Sebbene la CIC possa avere gravi conseguenze, la mortalità è bassa; pertanto, secondo gli autori il processo decisionale dovrebbe sempre porre la prognosi oncologica al centro della scelta terapeutica.

Terrin M. et al., Checkpoint Inhibitor-Induced Colitis: From Pathogenesis to Management
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