Malattie reumatiche e salute delle ossa: nuova analisi sul cortisone


Nelle pazienti affetti da malattie muscoloscheletriche reumatiche infiammatorie, non sembra esistere una dose di cortisone al riparo da problemi di salute ossea

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Nelle pazienti affetti da malattie muscoloscheletriche reumatiche infiammatorie, non sembra esistere una dose di cortisone al riparo da problemi di salute ossea (perdita densità minerale ossea, rischio fratture), pur essendo stata verificata l’esistenza di una relazione tra gli effetti negativi dei glucocorticoidi (GC) e la dose e la durata del trattamento.

Ciò detto, il trattamento con bisfosfonati (BSF), tuttavia, per quanto dipendente da dose e durata del trattamento con GC, si è dimostrato estremamente efficace nel prevenire sia le fratture che la perdita di massa ossea nella stragrande maggioranza delle pazienti considerate. Questi i messaggi principali provenienti da uno studio italiano dell’Università di Verona, presentato al congresso EULAR.

Razionale e obiettivi dello studio
Nonostante i progressi delle cure, il cortisone resta ancora oggi un caposaldo fondamentale per la terapia di molte patologie reumatologiche, a partire dall’artrite reumatoide (soprattutto per le fasi iniziali di questa patologia).
Tuttavia questo farmaco non è affatto scevro da effetti collaterali, soprattutto se consideriamo la salute ossea.

Ad oggi, nonostante si sia compreso che gli effetti negativi dei GC sull’osso dipendono dalla dose e dalla durata del trattamento, non si sa ancora con certezza se esista un dosaggio d’impiego sicuro per la salute ossea dei pazienti affetti da malattie reumatologiche.

Sempre rimanendo, come esempio, sull’artrite reumatoide, la riduzione della posologia di GC alla dose più bassa possibile è, come noto, fortemente incoraggiata dalle raccomandazioni dalle raccomandazioni EULAR del 2019 per la gestione dell’AR. Inoltre, il recente update di queste raccomandazioni sottolinea la necessità di ridurre rapidamente la posologia dei GC, fino ad interromperne eventualmente la loro somministrazione.

Ciò premesso, le strategie di riduzione della posologia di questi farmaci sono per lo più basate sull’opinione di esperti o su convinzioni personali e non è chiaro se il trattamento cronico con glucocorticoidi a basso dosaggio possa fornire benefici sostanziali che superino i danni legati a tale approccio.

A ciò si aggiunga il fatto che la definizione dell’EULAR per i GC a basso dosaggio (cioè ≤7,5 mg/die) è arbitraria e si basa su presupposti discutibili, che non sono legati all’efficacia sull’attività della malattia, ma soprattutto al buon senso e alla frequenza degli eventi avversi.

Alla luce di tutti questi presupposti, è stato concepito il nuovo studio che si è proposto gli obiettivi seguenti:
– Determinare il rischio di fratture da fragilità associato con la dose utilizzata di GC in diverse patologie reumatologiche (obiettivo primario)
– Valutare l’efficacia dei bisfosfonati (BSF) sulla densità minerale ossea e il rischio di fratture in relazione all’impiego di GC

Disegno dello studio
Lo studio è stato condotto su una coorte longitudinale di donne affette da malattie reumatologiche (AR in primis, ma anche polimialgia reumatica, vasculiti, connettiviti). A tal scopo sono stati estrapolati i dati relativi a queste donne dal database DeFRA (2012-2020) – DeFRA è uno strumento di valutazione del rischio di fratture simile al FRAX.

I ricercatori hanno valutato i dati sulla densità minerale ossea e le fratture in modo prospettico, incrociando i dati con quelli di una popolazione controllo mediante la tecnica del propensity score matching.
In questo modo i ricercatori hanno valutato i dati relativi a 884 donne affette da malattie reumatologiche e 1.766 controllo, dopo un follow-up durato 6 anni.

Risultati principali
Dai dati è emerso che i livelli di BMD si erano ridotti in modo statisticamente significativo in tutte le pazienti che assumevano GC ma non assumevano un trattamento con BSF (-4,26%, p 0,0011; -4,23%, p=0,0422; -2,66%, p= 0,0006 per ≥5 mg/die, da 2,5 mg a 5 mg e da 0 a 2,5 mg/die di prednisolone, risperrivamente).

Per quanto riguarda le pazienti che trattate con farmaci anti-osteoporosi, i livelli di BMD si sono ridotti significativamente solo in quelle trattate con ≥5 mg/die di prednisolone (-3,01%, 0,5 mg/die) e non in quelle trattate con dosaggi di GC compresi tra 2,5 e 5 mg e tra 0 e 2,5 mg/die.

L’incidenza di fratture è risultata maggiore nelle pazienti con malattie reumatologiche rispetto ai controlli, ma solo le dosi di GC superiori a 5 mg/die sono state associate ad un rischio significativamente più elevato di fratture.

Da ultimo, i ricercatori hanno anche valutato anche gli effetti del GC su alcuni marker di metabolismo osseo – telopeptide C-terminale del collagene di tipo 1 (CTX), collagene di tipo 1 (CTX) – in un sottogruppo di pazienti con dati disponibili (n=335), osservando come la proporzione di pazienti con turnover ossei ridotto fosse numericamente maggiore in quelle trattate con dosaggi di GC ≥5 mg/die rispetto ad altre dosi e ai controlli (p NS).

Riassumendo
Nel commentare i risultati, il dott.Giovanni Adami (co-autore dello studio) ha voluto sottolineare come, alla luce dei dati ottenuti, “…non sembra esistere una dose innocua tout court di GC per la salute ossea. Se esiste una dose innocua, questa è comunque estremamente bassa (tra 0 e 2,5 mg/die). Tale osservazione è in linea con le recentissime raccomandazioni ACR relative all’osteoporosi cortisonica, secondo le quali è sufficiente utilizzare 2,5 mg/die di cortisone per più di 3 mesi per suggerire il ricorso a screening e a trattamento dell’osteoporosi nelle pazienti affetti da malattie reumatologiche”.

Quanto al trattamento con BSF, inoltre, “…i dati suggeriscono che, nella maggior parte delle pazienti reumatologiche trattate con GC, ha senso utilizzare questi farmaci anti-osteoporosi in quanto si sono dimostrati efficaci nel prevenire sia le fratture che la perdita di massa ossea (…) Dopo soli 3 mesi di terapia, il loro impiego non solo non è risultato associato ad un calo di BMD ma, al contrario, è stato accompagnato da un incremento di questo parametro al follow-up. Questo è un risultato molto importante – ha concluso – in quanto va contro a quello che si pensava precedentemente (cioè che il BSF non funzionasse sulla densità ossea nei pazienti con osteoporosi cortisonica) (…) La loro efficacia, ovviamente, è risultata inferiore nelle donne utilizzatrici di dosi più elevate di cortisone (>5 mg/die, ben più elevate in alcuni casi)”.

Bibliografia
Adami G et al. Impact of glucocorticoids and antiosteoporotic treatment on bone health in patients with inflammatory rheumatic musculoskeletal diseases (iRMD): a longitudinal study. POS0388; EULAR2023