Alzheimer: biomarcatore del sangue prevede progressione di malattia


Un biomarcatore del sangue che misura la reattività degli astrociti può aiutare a determinare chi continuerà a sviluppare la malattia di Alzheimer

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Un biomarcatore del sangue che misura la reattività degli astrociti può aiutare a determinare chi, tra gli anziani cognitivamente non compromessi con reperto radiologico di placche di beta-amiloide, continuerà a sviluppare la malattia di Alzheimer (AD), secondo una nuova ricerca pubblicata online su “Nature Medicine”.

I ricercatori hanno testato il sangue di 1.000 individui cognitivamente sani con e senza patologia beta-amiloide e hanno scoperto che solo quelli con una combinazione di beta-amiloide e attivazione anormale degli astrociti sono successivamente progrediti verso l’AD.

Compresenza di beta-amiloidosi cerebrale e reattività astrocitaria
«Il nostro studio sostiene che il test per la presenza di amiloide cerebrale insieme ai biomarcatori plasmatici della reattività degli astrociti rappresenta lo screening ottimale per identificare i pazienti che sono più a rischio di progredire verso l’Alzheimer» scrivono il ricercatore senior Tharick A. Pascoal, professore associato di Psichiatria e Neurologia della University of Pittsburgh, Pennsylvania (USA), e colleghi. Allo stato delle cose, il biomarcatore è solo uno strumento di ricerca, ma la sua applicazione nella pratica clinica «non è molto lontana» aggiungono gli autori della ricerca.

Nell’AD, l’accumulo di beta-amiloide nel cervello precede la patologia tau, ma non tutti i pazienti con amiloide-beta sviluppano i grovigli neurofibrillari di proteina tau e, di conseguenza, i sintomi clinici. Circa il 30% degli anziani presenta amiloide cerebrale, ma molti non progrediscono mai verso l’AD, specificano Pascoal e colleghi. Ciò suggerisce che altri processi biologici possono innescare gli effetti deleteri della beta-amiloide nelle prime fasi dell’AD.

Trovare marcatori predittivi della patologia tau correlata alla beta-amiloide aiuterebbe a identificare individui cognitivamente normali che hanno maggiori probabilità di sviluppare AD. Studi post-mortem mostrano che la reattività degli astrociti – cambiamenti nelle cellule gliali nel cervello e nel midollo spinale a causa di un insulto nel cervello – è un’anomalia precoce nell’AD. Anche altre ricerche suggeriscono uno stretto legame tra beta-amiloide, reattività degli astrociti e patologia tau.

Inoltre, varie evidenze suggeriscono che le misure plasmatiche della proteina fibrillare acida della glia (GFAP) potrebbero essere un forte ‘proxy’ della reattività degli astrociti nel cervello. Pascoal e colleghi spiegano che, quando gli astrociti vengono modificati o diventano più grandi, viene rilasciato più GFAP.

Tre importanti centri di ricerca coinvolti nello studio
Lo studio ha incluso 1.016 individui cognitivamente normali provenienti da tre centri (Translational Biomarkers in Aging and Dementia [TRIAD], McGill University, Canada; University of Pittsburgh; Monongahela-Youghiogheny Healthy Aging Team [MYHAT], Pittsburgh [il solo team, quest’ultimo, con dati basati sulla popolazione]).

Alcuni soggetti presentavano patologia amiloide, altri no. L’età media dei partecipanti era di 69,6 anni e tutti sono stati valutati come negativi o positivi per la reattività degli astrociti sulla base dei livelli plasmatici di GFAP.

I risultati hanno mostrato che l’amiloide-beta era associata a un aumento plasmatico della tau fosforilata (p-tau 181, p-tau231 e p-tau217) solo in individui positivi alla reattività degli astrociti. Inoltre, le analisi che utilizzavano scansioni PET hanno mostrato un pattern simile all’AD di accumulo di grovigli tau in funzione dell’amiloide-beta esclusivamente negli stessi individui.

Potenziali interventi a monte nello sviluppo del declino cognitivo
I risultati suggeriscono che le anomalie nella reattività degli astrociti sono un evento precoce a monte che probabilmente si verifica prima della patologia tau, la quale è strettamente correlata allo sviluppo della neurodegenerazione e del declino cognitivo. È probabile che molti tipi di insulti o processi possano portare alla reattività degli astrociti, forse incluso il COVID, ma sono necessarie ulteriori ricerche in questo settore, dichiarano gli autori.

«Il nostro studio ha esaminato solo le conseguenze della positività contestuale sia alla beta-amiloide che alla reattività degli astrociti. Non ha chiarito cosa stiano causando nessuno dei due reperti» precisano. Sebbene «si sia stati in grado di avere ottimi risultati» nella presente ricerca, sono necessari ulteriori studi per stabilire meglio il cut-off per i livelli di GFAP che segnalano la progressione, sostengono Pascoal e coautori.

L’effetto della reattività degli astrociti sull’associazione tra beta-amiloide e fosforilazione tau era maggiore negli uomini rispetto alle donne. I ricercatori, in particolare, hanno osservato che le terapie anti-amiloide, che potrebbero modificare la via beta-amiloide/astrocita/tau, tendono ad avere un effetto molto più grande negli uomini rispetto alle donne. Sono inoltre necessari ulteriori studi che misurino i biomarcatori di beta-amiloide, proteina tau e GFAP in più punti temporali e con un follow-up prolungato, fanno notare Pascoal e colleghi.

I risultati possono avere implicazioni per gli studi clinici, che si sono sempre più concentrati sugli individui nelle fasi precoci precliniche dell’AD. Gli studi, in futuro, dovrebbero includere pazienti cognitivamente normali che siano positivi sia per la patologia amiloide che per la reattività degli astrociti ma non abbiano anomalie evidenti di p-tau, affermano i ricercatori. Ciò potrebbe permettere di identificare una finestra temporale per gli interventi in una fase molto precoce del processo di malattia e per i pazienti ad aumentato rischio di progressione correlato all’AD.

Lo studio non ha determinato se i partecipanti con positività sia alla beta-amiloide che alla reattività astrocitaria avrebbero sviluppato inevitabilmente l’AD; per fare questo sarebbe necessario un follow-up più lungo. «Il nostro outcome è stato l’aver stabilito la correlazione di questi biomarcatori con la proteina tau nel cervello, che peraltro rappresenta un fattore che, come è noto, porterà all’AD».

Sebbene la coorte rispecchi una significativa differenziazione socioeconomica, una delle principali limitazioni dello studio risiede nel fatto che i pazienti inclusi erano principalmente caucasici, il che limita la generalizzabilità dei risultati a una popolazione più diversificata in riferimento alle principali etnie.

Fonte: 
Bellaver B, Povala G, Ferreira PCL, et al. Astrocyte reactivity influences amyloid-β effects on tau pathology in preclinical Alzheimer’s disease. Nat Med. 2023 May 29. doi: 10.1038/s41591-023-02380-x. [Epub ahead of print] leggi