Sindrome coronarica acuta: statine, ezetimibe e anti-PCSK9 terapia ottimizzata


Statine, ezetimibe e anti-PCSK9: un metodo per fornire ai pazienti con sindrome coronarica acuta una terapia ottimizzata in grado di ridurre i tassi di mortalità e morbilità

Nove pazienti ospedalizzati su 10 che hanno insufficienza cardiaca con frazione di eiezione ridotta (HFrEF) possono essere potenziali candidati per vericiguat

Vi è una crescente evidenza di sicurezza ed efficacia per un approccio intensivo e precoce alla riduzione dei livelli sierici di lipidi post-sindrome coronarica acuta (ACS). Occorre “colpire precocemente e con forza”, con una combinazione di statine ed ezetimibe come primo passo terapeutico, ed eventualmente con la prescrizione di inibitori di PCSK9 già alla dimissione ospedaliera: un metodo per fornire ai pazienti una terapia ottimizzata in grado di ridurre i tassi di mortalità e morbilità attraverso trattamenti sempre più efficaci, mantenendo profili di sicurezza assoluti anche con valori di colesterolo-LDL (LDL-C) molto bassi. È la conclusione di un recente studio italiano, pubblicato sull’”European Heart Journal”.

«La malattia cardiovascolare aterosclerotica (ASCVD), nelle sue innumerevoli manifestazioni cliniche, è nei paesi industrializzati la causa più frequente di morte e, negli ultimi anni, un ruolo di primo piano nella prevenzione dell’ASCVD è stato attribuito al trattamento delle dislipidemie» premettono Giuseppe Musumeci, Gianmarco Annibali e Fabrizio Delnevo, della Divisione di Cardiologia, AO Ordine Mauriziano Umberto I di Torino.

«Se le statine e l’ezetimibe rimangono il cardine del trattamento farmacologico, un ruolo sempre più rilevante viene attribuito agli inibitori della proproteina convertasi subtilisina/kexina di tipo 9 (PCSK9), a seguito degli ottimi risultati ottenuti nei rispettivi studi, non solo sulla riduzione delle lipoproteine a bassa densità (LDL) o delle LDL-C, ma anche in termini di stabilizzazione e regressione della placca».

L’aggiunta di inibitori di PCSK9 porta a un’ulteriore riduzione dei livelli di LDL e a un conseguente miglioramento della prognosi ed è raccomandata nella somministrazione “fast-track” (accelerata, intraospedaliera/alla dimissione) in pazienti con ACS o eventi cardiovascolari multipli già in terapia con statine e LDL >70 mg/dL e in pazienti con ACS naïve alle statine e LDL >140 mg/dL.
Applicando le linee guida e ricorrendo al fast-track, circa il 25% dei pazienti con ACS dovrebbe ricevere inibitori di PCSK9 alla dimissione, ma sfortunatamente i pazienti sono attualmente sottotrattati.

Razionale dell’approccio
Sebbene le statine e l’ezetimibe rimangano i capisaldi della terapia, la riduzione attesa di LDL con i suddetti farmaci non supera il 50%, ricordano gli autori. Invece, gli inibitori di PCSK9, come gli anticorpi monoclonali alirocumab ed evolocumab, hanno dimostrato di ridurre il colesterolo LDL del 43-76% in più rispetto al placebo e del 30% in più rispetto all’ezetimibe.

«Questa riduzione dei valori di LDL-C si è tradotta in una significativa riduzione degli eventi cardiovascolari: nello studio FOURIER (Further Cardiovascular Outcomes Research with PCSK9 Inhibition in Subjects with Elevated Risk), evolocumab ha determinato una riduzione del 27% del rischio relativo di infarto miocardico, del 21% di ictus e del 22% di rivascolarizzazione coronarica e risultati simili sono stati osservati nel verificarsi di eventi cardiovascolari in pazienti che hanno manifestato una recente ACS (ODYSSEY OUTCOME) per alirocumab» specificano Musumeci e colleghi.

Studi più recenti (come HUGENS con evolocumab e PACMAN-AMI con alirocumab), hanno dimostrato la capacità degli inibitori di PCSK9 di ridurre la progressione della malattia aterosclerotica con un effetto stabilizzante sulla placca ateromatosa, documentato da un aumento dello spessore del cappuccio fibroso e da una riduzione del suo core lipidico, riportano gli autori.

L’esperienza dell’AO Ordine Mauriziano Umberto I di Torino
«Da aprile 2020, il nostro Centro ha adottato l’approccio terapeutico del position paper della Società Italiana di Cardiologia Interventistica (GISE) identificando i pazienti che potrebbero beneficiare della prescrizione ospedaliera o di dimissione di PCSK9» scrivono Musumeci e colleghi. «Successivamente, è stata inoltre delineata una procedura di prescrizione in relazione al rischio del paziente e ai valori basali di LDL-C garantendo la prescrizione dell’associazione fissa rosuvastatina/ezetimibe a tutti i pazienti SCA e di I-PCSK9 alla dimissione ai pazienti con SCA e valori di LDL > 100 mg/dl (da Giugno 2022 LDL > 70 in linea con i nuovi criteri di rimborsabilità) se già in terapia con statine e maggiori di 140 mg/dl se naive da terapia ipolipemizzante».

«Nel luglio 2022» proseguono «la nostra esperienza si è tradotta in uno studio su una popolazione reale di pazienti dimessi dopo una sindrome coronarica acuta (ACS) tra gennaio 2020 e giugno 2021, per valutare come sono cambiate le prescrizioni di farmaci ipolipemizzanti in risposta alle nuove raccomandazioni e l’efficacia della terapia in termini di raggiungimento degli obiettivi raccomandati dalle linee guida».

«Tra gli inibitori PCSK9 disponibili, evolocumab aveva caratteristiche in termini di dosaggio e prescrizione che ci hanno portato a selezionarlo come farmaco di scelta durante il periodo di studio» scrivono gli autori. «Il dosaggio è unico e pertanto non richiede una rivalutazione a breve termine del paziente con esami del sangue per un’eventuale titolazione della dose».

Questo aspetto, fanno notare Musumeci e coautori «si è rivelato fondamentale nel fornire ai nostri pazienti una terapia medica ottimizzata anche durante un periodo complesso come la pandemia, durante il quale la gestione dei follow-up a breve termine era molto complessa e spesso logisticamente impossibile». Inoltre, erano disponibili solidi dati di letteratura in termini di sicurezza dallo studio FOURIER.

«Nella nostra popolazione di pazienti ACS ospedalizzati consecutivamente nel mondo reale, al basale, la maggior parte dei pazienti stava ricevendo una terapia ipolipemizzante (62%), ma solo il 17% aveva raggiunto il proprio profilo di rischio target» sottolineano.
Sulla scia di queste indicazioni, la prescrizione di statine monoterapia ad alta intensità è diminuita dal 63% al 12%, mentre la combinazione di evolocumab è aumentata dal 3% al 27% dei pazienti dimessi.

«Mentre la prescrizione nel periodo antecedente era in linea con un approccio graduale, la necessità di agire intensamente sui pazienti ad alto rischio ha portato all’istituzione di un processo di prescrizione con terapia combinata statine + ezetimibe come primo passo» scrivono Musumeci, Annibali e Delnevo.
«Nella maggior parte dei casi, la terapia con statine singole non sarebbe stata sufficiente per raggiungere l’obiettivo. I pazienti con un rischio cardiovascolare molto elevato e valori di LDL tali da non poter raggiungere il target terapeutico, né con la sola terapia con statine né in combinazione, erano quindi candidati alla prescrizione di Evolocumab alla dimissione» sottolineano.

Gli esiti del fast-tracking
Su un totale di 621 pazienti trattati da aprile 2020 a giugno 2021, 496 pazienti, 104 dei quali trattati con evolocumab (20%), sono stati dimessi dalla Divisione di Cardiologia dell’A. O. Mauriziano di Torino, arrivando al trimestre aprile-giugno 2021, avendo interessato il 27% dei pazienti ricoverati per ACS. I pazienti candidati per inibitori di PCSK9 erano già stati istruiti durante il ricovero in ospedale a gestire correttamente la somministrazione sottocutanea del farmaco.

«Questo approccio, attraverso uno specifico diagramma di flusso, identifica inoltre ulteriori elementi di rischio che dovrebbero guidare il cardiologo clinico verso la prescrizione immediata della tripla terapia ipolipemizzante, quali eventi cardiovascolari multipli, malattia polivascolare e malattia coronarica multivasale, parametri che nel nostro studio erano infatti correlati con la prescrizione di inibitori di PCSK9, identificando i pazienti a rischio proibitivo, nei quali la riduzione dell’LDL-C dovrebbe avvenire il più rapidamente possibile» aggiungono gli autori.
«Inoltre», proseguono, «nel nostro studio, durante il periodo da aprile 2020 a giugno 2021, l’uso della tripla terapia alla dimissione nel 20% dei pazienti ha assicurato che l’obiettivo LDL a 6 mesi fosse raggiunto nel 92% dei pazienti».

Profilo di sicurezza e grado di compliance
Quanto agli effetti indesiderati riportati al follow-up a 6 mesi, riferiscono gli autori, nella popolazione esaminata questi «erano rari e non hanno portato a tassi significativi di interruzione della terapia. Ciò, a nostro avviso, è correlato all’uso preponderante di statine di nuova generazione, in particolare di rosuvastatina, associato a una minore incidenza di effetti collaterali 6 mesi dopo la dimissione».

Anche un’adeguata aderenza terapeutica svolge un ruolo chiave nel raggiungimento degli obiettivi terapeutici, specificano Musumeci e colleghi. «Il basso status sociale, la presenza di comorbilità e la polifarmacoterapia sono i fattori che più frequentemente portano all’interruzione della terapia» riportano.
Le visite di follow-up sono state eseguite con l’ausilio della telemedicina. Tra quelli dimessi con inibitori PCSK9, grazie alle corrette informazioni, la compliance terapeutica è stata ottimale e tutti i pazienti dimessi con evolocumab hanno assunto correttamente il farmaco con risultati eccellenti in termini di obiettivi terapeutici, scrivono i clinici.

«Infatti», sottolineano, «i pazienti in terapia con inibitori PCSK9, prevalentemente ad altissimo rischio cardiovascolare [età <80 anni, LDL-C >130 mg/dL, ospedalizzazione per infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI), malattia coronarica multivasale, precedenti eventi cardiovascolari] hanno raggiunto l’obiettivo di LDL-C < 55 mg/dL, con una riduzione significativamente maggiore dei valori di colesterolo rispetto ad altre opzioni di trattamento».

I risultati ottenuti – fanno notare infine Musumeci e colleghi – sono in linea con quanto osservato nello studio EVOPACS (EVOlocumab for Early Reduction of LDL-cholesterol Levels in Patients with Acute Coronary Syndromes), che ha dimostrato una chiara riduzione dell’LDL-C con introduzione precoce di evolocumab, durante la fase acuta di un’ACS.

Più recentemente, il FOURIER Open-label Extension (FOURIER-OLE) ha confermato i benefici incrementali dell’uso precoce di evolocumab negli eventi cardiovascolari, inclusa la mortalità cardiovascolare, portando così a raccomandare l’inizio precoce di una marcata e sostenuta riduzione dell’LDL-C per massimizzare il beneficio clinico con tassi persistentemente bassi di eventi avversi nell’arco di 8 anni, concludono gli autori.

Prospettive future
«Dopo la fine dello studio, aggiunge il Dott. Musumeci, abbiamo continuato a trattare i nostri pazienti e raccogliere i dati aggiungendo al nostro armamentario terapeutico anche alirocumab ma solo al dosaggio più alto (150 mg) in modo da ottenere la più rapida ed efficace riduzione possibile dei valori di LDL».

Presso la cardiologia dell’Ospedale Mauriziano è ancora in essere questo protocollo di fast track dei pazienti ACS che prevede la prescrizione dell’associazione fissa rosuvastatina/ezetimibe a tutti i pazienti SCA e di I-PCSK9 (evolocumab 140 mg o alirocumab 150 mg) alla dimissione ai pazienti con SCA e valori di LDL > 70 mg/dl (in linea con i nuovi criteri di rimborsabilità) se già in terapia con statine e maggiori di 140 mg/dl se naive da terapia ipolipemizzante.»

«Attualmente sono in trattamento con I-PCSK9 alla dimissione 236 pazienti (su 1024 pazienti dimessi da Aprile 2020) e i pazienti trattati con I-PCSK9 hanno un’aderenza terapeutica del 97% e sono a target nel 98% dei casi; questi dati saranno presentati al prossimo congresso della Società Europea di Aterosclerosi.

Musumeci conclude che «il trattamento precoce con I-PCSK9 già alla dimissione nei pazienti con SCA in linea con gli attuali criteri di rimborsabilità AIFA e con le raccomandazioni dei più recenti documenti di consenso europeo ci porta a dimettere il 25% dei nostri pazienti in triplice terapia (statine/ezetimibe/I-PCSK9) e i restanti in associazione statine/ezetimibe; questo tipo di strategia si associa a un raggiungimento del target terapeutico in più del 90% di tutti pazienti SCA e conseguentemente garantirà una riduzione del 20% almeno degli eventi avversi cardiovascolari maggiori: morte cardiaca, infarto e stroke.»

Fonti:
Musumeci G, Annibali G, Delnevo F. Acute coronary syndromes: hospital management of dyslipidaemia with proprotein convertase subtilisin/kexin 9 inhibitors: time to act. Eur Heart J. Suppl 2023;25(Suppl B):B114-8. doi: 10.1093/eurheartjsupp/suad086. leggi

Muccioli S, Giglio C, Annibali G, et al. L’importanza di una terapia ipolipemizzante intensiva dopo sindrome coronarica acuta: cambiare il paradigma per migliorare il raggiungimento dei target [The importance of intensive lipid-lowering therapy after acute coronary syndrome: changing the paradigm to improve the achievement of targets]. G Ital Cardiol (Rome). 2022, 23:553-61. Italian. doi: 10.1714/3831.38173. leggi