Linfoma diffuso a grandi cellule: remissioni durature con tafasitamab


Linfoma diffuso a grandi cellule B ricaduto/ refrattario: con tafasitamab conferma di remissioni durature a lungo termine

Linfoma a grandi cellule B: via libera dell'agenzia Fda ad axi-cel, le CAR-T di Gilead, per il trattamento di seconda linea

Nei pazienti con linfoma diffuso a grandi cellule B ricaduto/refrattario non idonei al trapianto autologo di cellule staminali emopoietiche, il trattamento con l’anticorpo monoclonale anti-CD19 tafasitamab combinato con lenalidomide, seguito da un mantenimento con il solo tafasitamab, conferma di produrre remissioni prolungate e durature.

Lo dimostra l’analisi finale dello studio registrativo L-MIND, con un follow-up di 5 anni, presentata in occasione del congresso annuale dell’American Association of Cancer Research (AACR) a Orlando, in Florida.

Complessivamente, il tasso di risposta globale (ORR) è risultato del 57,5% (IC al 95% 45,9%-68,5%), con un tasso di risposta completa del 41,3% e un tasso di risposta parziale del 16,3%. Questi dati sono risultati generalmente coerenti con quelli dell’analisi primaria, con un follow-up di 3 anni

«L’analisi a 5 anni dello studio di fase 2 L-MIND mostra risposte durature nei pazienti con linfoma diffuso a grandi cellule B recidivato/refrattario non eleggibili per il trapianto autologo di cellule staminali», ha dichiarato Nagesh Kalakonda, dell’Università di Liverpool, nel Regno Unito.

Risultati precedenti dello studio L-MIND, che ha portato all’approvazione negli Stati Uniti, nell’Unione europea, nel Regno Unito e in Canada di tafasitamab più lenalidomide nel setting della terapia di seconda linea in pazienti con linfoma diffuso a grandi cellule B recidivato/refrattario, avevano mostrato un ORR del 55%, con un tasso di risposta completa del 37% e un tasso di risposta parziale del 18%.

I dati a un follow-up di 3 anni, inoltre, avevano sostanzialmente confermato i risultati sopra riportati, con un ORR del 57,5% (IC al 95% 45,9%-68,5%), un 40% di risposte complete e un 17,5% di risposte parziali.

Lo studio L-MIND 
Lo studio L-MIND (NCT02399085) è un trial multicentrico internazionale di fase 2, a singolo braccio, in aperto, che ha coinvolto pazienti di almeno 18 anni con linfoma diffuso a grandi cellule B ricaduto/refrattario, già trattati con da una a tre terapie sistemiche, compresa una terapia anti-CD20 (per esempio, rituximab) e non idonei alla chemioterapia ad alte dosi o al trapianto autologo di cellule staminali.

I partecipanti dovevano avere un performance status ECOG da 0 a 2 e non potevano essere arruolati pazienti con linfoma diffuso a grandi cellule B primariamente refrattario.

I partecipanti sono stati trattati con tafasitamab 12 mg/kg endovena in cicli di 28 giorni, una volta alla settimana durante i primi tre cicli, con una dose di carico il giorno 4 del primo ciclo, e successivamente ogni 2 settimane, per un totale di 12 cicli, più lenalidomide 25 mg/die per via orale somministrata nei primi 21 giorni di ogni ciclo, sempre per 12 cicli. Dopo il ciclo 12, i pazienti che non erano in progressione sono stati trattati con tafasitamab ogni 2 settimane, come trattamento di mantenimento, fino alla progressione della malattia.

L’endpoint primario dello studio era l’ORR, valutato centralmente, mentre fra gli endpoint secondari vi erano la durata della risposta (DoR), la sopravvivenza libera da progressione (PFS), la sopravvivenza globale (OS) e la sicurezza.

80 pazienti trattati
Al momento del cut-off dei dati (14 novembre 2022), degli 81 pazienti arruolati, 80 erano stati sottoposti al trattamento in studio.

Complessivamente, otto pazienti hanno interrotto il trattamento con tafasitamab e lenalidomide, a causa di un evento avverso, due per il decesso, 32 a causa di una recidiva o della progressione della malattia, due per decisione stessa del paziente, uno per decisione dello sperimentatore e uno per lo scadimento delle condizioni generali del paziente.

In totale, 30 pazienti hanno completato 12 cicli di tafasitamab più lenalidomide, mentre quattro hanno interrotto l’assunzione della lenalidomide a causa di un evento avverso. Dopo il dodicesimo ciclo, 34 pazienti hanno proseguito con il trattamento con tafasitamab in monoterapia, come mantenimento. Di questi, sei hanno interrotto il farmaco a causa di un evento avverso, 10 a causa di una recidiva o della progressione della malattia, sei per decisione del paziente e quattro per decisione dello sperimentatore. Il trattamento con tafasitamab è stato completato come da protocollo in otto pazienti.

Nella popolazione complessiva dello studio, l’età mediana al basale era di 72,0 anni (range: 41,0-86,0), e oltre la metà dei pazienti aveva un’età superiore a 70 anni. Inoltre, più della metà era di sesso maschile. Tre quarti dei partecipanti avevano una malattia in stadio da III a IV secondo la calssificazione di Ann Arbor, e la metà aveva un punteggio dell’Indice Prognostico Internazionale compreso fra 3 e 5. Il 55% dei pazienti al basale presentava un valore di lattato deidrogenasi elevata e l’11,2% in precedenza era stato sottoposto a un trapianto autologo di cellule staminali.

Beneficio maggiore nei pazienti trattati in seconda linea e risposte durature
Gli autori hanno analizzato i risultati di risposta anche in funzione del numero di linee di terapia effettuate in precedenza dai pazienti, osservando un beneficio maggiore nel gruppo di quelli trattati in seconda linea.

Infatti, nei 40 pazienti trattati in precedenza con una linea di terapia, l’ORR è risultato del 67,5% (IC al 95% 45,9%-79,4%), con tassi di risposta completa e parziale rispettivamente del 52,5% e 15%. Nei 40 pazienti trattati con almeno due linee, l’ORR è risultato complessivamente del 47,5% (IC al 95% 31,5%-63,9%), con tassi di risposta completa e parziale rispettivamente del 30% e 17,5%.

Complessivamente, con un follow-up mediano di 44,0 mesi, la mediana della DoR non è stata raggiunta (NR) (IC al 95% 33,8%-NR), a testimonianza delle risposte di lunga durata ottenibili con tafasitamab.

Inoltre, la DoR non è stata raggiunta né nel sottogruppo di pazienti che avevano effettuato in precedenza una linea di terapia (IC al 95% 9,1-NR; follow-up mediano di 53,8 mesi), né in quello dei pazienti che ne avevano già effettuate almeno due (IC al 95% 26,1-NR; follow-up mediano di 38,9 mesi), un risultato indice dell’efficacia a lungo termine del trattamento in entrambi i sottogruppi.

I risultati di sopravvivenza
La mediana di PFS nella popolazione complessiva è risultata di 11,6 mesi (range: 5,7-45,7), con un follow-up mediano di 45,6 mesi.

Anche in questo caso, il trattamento in studio ha mostrato di offrire un beneficio maggiore nei pazienti meno pretrattati. Infatti, nei pazienti già trattati con una sola linea di terapia la mediana di PFS è risultata di 23,5 mesi (IC al 95% 7,4-NR), con un follow-up mediano di 57,6 mesi (95% CI, 26,5-60,7), mentre nei pazienti trattati precedentemente con due o più linee di terapia tale mediana è risultata di 7,6 mesi (IC al 95% 2,7-45,5), con un follow-up mediano di 33,9 mesi (IC al 95% 10,9-46,8).

Nel complesso, l’OS mediana è risultata di 33,5 mesi (IC al 95% 18,3-NR), con un follow-up mediano di 45,6 mesi. Tuttavia, nei pazienti trattati in precedenza con una sola linea di terapia, tale mediana non è stata raggiunta (IC al 95% 24,6-NR; follow-up mediano di 57,6 mesi), mentre è risultata di 15,5 mesi (IC al 95% 8,6-45,5; follow-up mediano di 33,9 mesi) nei pazienti già trattati con almeno due linee di terapia.

Dei 26 pazienti che hanno completato il trattamento ottenendo una risposta, 23 hanno raggiunto una risposta completa e tre una risposta parziale. Due di questi pazienti, che avevano ottenuto entrambi una risposta completa, sono poi deceduti a causa della progressione di malattia, mentre altri tre (di cui uno aveva raggiunto una risposta completa e due una risposta parziale) sono deceduti per motivi diversi dal linfoma diffuso a grandi cellule B. Inoltre, quattro pazienti, che avevano tutti risposto in modo completo, sono stati trattati con una successiva terapia anti-linfoma e due di essi sono deceduti a causa della progressione della malattia.

Sicurezza della combinazione confermata
Per quanto riguarda la sicurezza del trattamento in studio, dai nuovi dati non emergono particolari novità rispetto al profilo emerso nelle analisi precedenti, che risulta sostanzialmente confermato da questo aggiornamento.

Nei pazienti trattati con lenalidomide con o senza tafasitamab, gli eventi avversi manifestati durante il trattamento sono stati 345 di tipo ematologico e 851 di tipo non ematologico.

Tra i 52 pazienti trattati con tafasitamab in monoterapia per un massimo di 2 anni, sono stati segnalati 76 eventi ematologici e 383 eventi non ematologici, mentre nei 27 trattati con tafasitamab in monoterapia per più di 2 anni si sono verificati 46 eventi ematologici e 347 e eventi non ematologici.

Tra gli eventi avversi di tipo ematologico che si sono manifestati durante il trattamento con la terapia di combinazione o la sola lenalidomide, il più frequente è stato la neutropenia (167 eventi) seguita da trombocitopenia (67), anemia (54), leucopenia (35), neutropenia febbrile (10), linfopenia (7), agranulocitosi (2), linfoadenopatia (2) e ipoglobulinemia (1).

La neutropenia è risultata l’evento avverso di tipo ematologico più frequente, con 39 casi, anche nei pazienti trattati con tafasitamab in monoterapia per un periodo fino a 2 anni, seguita da trombocitopenia (6), anemia (15), leucopenia (9), neutropenia febbrile (tre), linfopenia (due), ipoglobulinemia (uno) e trombocitosi (uno). Nei pazienti trattati con tafasitamab in monoterapia per più di 2 anni, invece, sono stati riportati 18 casi di neutropenia, cinque di trombocitopenia, 13 di anemia, tre di leucopenia, due di linfopenia, uno di agranulocitosi, uno di ipoglobulinemia, uno di trombocitosi, umo di leucocitosi e uno di anemia da carenza di ferro.

Quanto agli eventi avversi non ematologici emersi durante il trattamento, i più comuni nei pazienti trattati con la combinazione dei due farmaci o con la sola lenalidomide sono stati diarrea (40 eventi), edema periferico (28), astenia (24), ipopotassiemia (23), piressia (21), nausea (19), affaticamento (18), tosse (17), aumento della creatininemia (17), stipsi (16), dispnea (16), ipocalcemia (16), diminuzione dell’appetito (14), spasmi muscolari (14), ipomagnesiemia (12), bronchite (12), lombalgia (10), vomito (10), infezione del tratto urinario (10) e aumento della proteina C-reattiva (10).

Nei pazienti trattati con tafasitamab in monoterapia per un periodo fino a 2 anni, gli eventi avversi non ematologici più comuni sono stati diarrea (20), astenia (10), piressia (12), nausea (19), affaticamento (11), tosse (11) e diminuzione dell’appetito (10), mentre nei pazienti trattati con tafasitamab in monoterapia per più di 2 anni sono stati diarrea (13), piressia (10), tosse (10), ipomagnesiemia (11) e iperglicemia (10).

In generale, ha spiegato Kalakonda, l’incidenza degli eventi avversi è diminuita dopo il passaggio dalla terapia con la combinazione alla monoterapia con tafasitamab, con una diminuzione ulteriore nei pazienti che hanno proseguito il trattamento con il solo tafasitamab per oltre 2 anni.

«Questi dati a lungo termine suggeriscono che questa immunoterapia ha potenzialità curative che saranno indagate in studi futuri», ha concluso Kalakonda.

Bibliografia 
J. Duell, et al. Five-year efficacy and safety of tafasitamab in patients with relapsed or refractory DLBCL: results from the phase II L-MIND study. AACR 2023; abstract CT022. leggi