Il “Cristo Risorto” di Niccolò Betti arricchisce la collezione degli Uffizi


Il “Cristo Risorto” del manierista Niccolò Betti donato agli Uffizi dal segretario generale della Biennale Internazionale dell’Antiquariato di Firenze, Fabrizio Moretti

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Le Gallerie degli Uffizi accolgono una nuova, rara opera grazie alla donazione dell’antiquario, collezionista e segretario generale della Biennale Internazionale dell’Antiquariato di Firenze Fabrizio Moretti.

Si tratta di uno dei pochi dipinti noti di Niccolò Betti, allievo di Giorgio Vasari e di Michele di Ridolfo del Ghirlandaio.

La tavola raffigura la Resurrezione di Cristo. La figura divina sembra quasi riprendere l’iconografia bizantina del Cristo nella mandorla, perché a questa forma si richiama la luce retrostante, delimitata da alcune nuvole. Il Cristo tiene in mano una bandiera con la croce a sottolineare il suo ruolo di pastore e di portatore del verbo divino.

Nell’opera si riconoscono elementi comuni con la Resurrezione di Giorgio Vasari e Raffaellino del Colle a Capodimonte: il panneggio è arricciato e aderente al corpo, i soldati sono appoggiati diagonalmente al sepolcro per dare l’idea di profondità.

Betti si ispira agli schemi figurativi e compositivi del suo maestro Vasari, riadattandoli in una soluzione più asciutta e meno solenne: scompare la nuvola su cui poggia Cristo, diminuisce il numero delle figure. Sulla sinistra uno dei soldati appare spaventato e tenta di coprirsi con lo scudo, mentre nell’altra mano tiene ben stretta la spada; il suo compagno sulla destra continua invece a dormire, non rendendosi contro della vicenda in corso. L’unico personaggio che appare felice, anche se sorpreso, è l’uomo in secondo piano sulla destra che si pensa rappresenti uno degli apostoli.

La tavolozza dell’artista è più chiara che nel passato, con colori accesi e con un chiaroscuro più deciso e meno sfumato.

Il direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike Schmidt: “L’attività degli antiquari è storicamente uno dei pilastri su cui si fonda la ricerca storico artistica e in molti casi anche la salvaguardia del nostro patrimonio, spesso da loro riportato in patria. Questa donazione di Fabrizio Moretti in ricordo del padre, che si aggiunge ad altri gesti generosi da parte della categoria nei confronti dei musei, è un gesto importante per gli Uffizi e aggiunge un tassello mancante nelle nostre collezioni”.

Il donatore e segretario generale della Biennale Internazionale dell’Antiquariato di Firenze Fabrizio Moretti: “Credo che sia doveroso da parte di noi mercanti d’arte, che tanto abbiamo avuto dell’Arte, restituire alla comunità. Poter collocare un’opera nel più importante Museo del mondo, gli Uffizi, è una grande soddisfazione intellettuale. Questa donazione sarà in ricordo del mio amato padre Alfredo, a cui devo tutto. Grazie al Direttore Eike Schmidt per aver reso questo possibile”.

CENNI BIOGRAFICI SULL’ARTISTA

Niccolò Betti (1550 circa – 1618 circa) fu prima allievo di Michele di Ridolfo del Ghirlandaio e successivamente di Giorgio Vasari. Il suo stile si avvicina a quello di altri giovani collaboratori del maestro come Naldini e Poppi, che vivacizzano la pittura manierista con una pennellata più sciolta e dai colori accesi.

Tra il 1570 e il 1572 prese parte al cantiere della decorazione dello studiolo di Francesco I in Palazzo Vecchio, unico episodio ben documentato della carriera dell’artista, dipingendo il riquadro con il Saccheggio di un villaggio. Dal 1576 al 1578 lavorò a Pisa nel restauro, e decorazione del Duomo. A Montepulciano gli sono attribuite le pale d’altare raffiguranti l’Adorazione dei pastori (1581) nella chiesa di Sant’ Agnese, e la Madonna tra i santi Giovanni Battista e Girolamo in Santa Maria delle Grazie, firmata. Nella sua attività tarda il Betti mostra di aderire a formule più solenni e semplificate, in linea con i dettami della Controriforma. A questa fase appartengono due dipinti (Santa Coletta di Corbie e Miracolo di San Diego di Alcalà) commissionatigli dalla Granduchessa Maria Maddalena d’Austria nel 1610 per il convento delle Descalzas Reales a Valladolid, dove sono ancora oggi conservati.