Neoplasia a cellule dendritiche: ottimi risultati con tagraxofusp


Neoplasia a cellule dendritiche plasmacitoidi blastiche: con il farmaco sperimentale tagraxofusp tasso di risposte vicino al 90% in prima linea

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Tagraxofusp, un nuovo farmaco sviluppato per il trattamento della neoplasia a cellule dendritiche plasmacitoidi blastiche (indicata con l’acronimo BPDCN), una rara e aggressiva neoplasia ematologica, mostra anche nella ‘real life’ un favorevole profilo rischio-beneficio, con un’efficacia che appare addirittura superiore a quella riportata nello studio registrativo. Un’importante conferma, che arriva da uno studio retrospettivo europeo, al quale ha partecipato anche l’Italia, di cui sono stati presentati i risultati preliminari all’ultimo congresso dell’American Society of Hematology (ASH), terminato da poco a New Orleans.

Infatti, nei pazienti trattati col farmaco in prima linea, si è registrato un tasso di risposte obiettive (ORR) quasi del 90% e un tasso di risposte complete superiore al 70%, inoltre quasi la metà dei pazienti ha potuto procedere al trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche.

Nei pazienti già trattati in precedenza con altre terapie, i tassi di risposta sono stati inferiori, come atteso, ma comunque soddisfacenti data la tipologia di pazienti: un ORR del 67%, con un 40% di risposte complete e quasi il 40% di pazienti che ha potuto eseguire il trapianto di cellule staminali.

La neoplasia a cellule dendritiche plasmacitoidi blastiche
La neoplasia a cellule dendritiche plasmacitoidi blastiche è una neoplasia mieloide molto rara e invasiva che coinvolge pelle, midollo osseo, linfonodi e/o siti extranodali, caratterizzata da una cattiva prognosi e da una sopravvivenza globale (OS) mediana di circa un anno.

Il tumore si origina dalla trasformazione tumorale di precursori delle cellule dendritiche plasmacitoidi che esprimono l’antigene CD123 (la subunità alfa del recettore dell’interleuchina 3, o IL-3Rα), che è sovraespresso in tutti i casi di BPDCN.

«La malattia ha un’incidenza molto bassa, poche decine di casi all’anno in Italia e nell’Unione europea. È talmente rara che solo di recente ha trovato una definizione adeguata e oggi viene classificata all’interno delle neoplasie mieloide aggressive», ha spiegato Angelucci.

Nonostante i notevoli progressi nella diagnosi e nella comprensione biologica della patologia, fino al 2018 non vi è stato un netto consenso sul suo trattamento e i pazienti venivano trattati per lo più con i regimi chemioterapici utilizzati per i linfomi, la leucemia linfoblastica acuta o la leucemia mieloide acuta. L’unico trattamento associato a remissioni durevoli e a un beneficio di sopravvivenza è il trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche, ma non tutti i pazienti possono sottoporvisi.

Tagraxofusp
Tagraxofusp è un farmaco ‘first-in-class’ diretto contro l’antigene CD123 e  costituito da un interleuchina (IL)-3 umana ricombinante, fusa con payload costituto da una tossina difterica troncata.

Il farmaco è stato approvato dalla Food and drug administraton (Fda) nel 2018 per il trattamento di pazienti adulti e pediatrici di almeno 2 anni, alla prima linea di terapia o ricaduti/refrattari, mentre nel gennaio 2021 ha avuto il via libera della European medicines agency (Ema) come terapia di prima linea per i pazienti adulti. «È attesa nei prossimi mesi anche la rimborsabilità da parte dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa)», ha riferito Angelucci.

L’approvazione di tagraxofusp da parte delle agenzie regolatorie è il frutto dei risultati positivi dello studio registrativo 0114 BPDCN (NCT02113982). In questo trial, il trattamento con tagraxofusp 12 mcg/kg ha mostrato un profilo di sicurezza gestibile e nei pazienti alla prima linea di trattamento ha prodotto un ORR del 75%, con un tasso di risposta completa e risposta completa clinica (cioè una risposta completa con anomalie cutanee residue, ma non indicative di una malattia attiva) del 57% e una percentuale di pazienti che ha potuto effettuare il trapianto del 51%, mentre nei pazienti ricaduti/refrattari l’ORR è risultato del 58%, con un tasso di risposta completa e risposta completa clinica del 16% e un 5% di pazienti che ha potuto sottoporsi al trapianto.

Lo studio europeo
Nell’agosto 2019, l’azienda produttrice ha avviato in Europa un Expanded Access Program (EAP) per poter garantire ai pazienti l’accesso a tagraxofusp prima della sua approvazione da parte dell’Ema e, nel contempo, raccogliere dati sulla sua efficacia e sicurezza nella pratica clinica di tutti i giorni.

L’EAP europeo è uno studio multicentrico osservazionale di tipo retrospettivo, a singolo braccio, che ha coinvolto pazienti con BPDCN sia naïve al trattamento sia ricaduti/refrattari dopo altre terapie, trattati con tagraxofusp nella ‘real life’, in sei Paesi europei (Francia, Germania, Italia, Svizzera, Austria e Spagna).

I partecipanti sono stati trattati con tagraxofusp 12 mcg/kg somministrato mediante infusione endovenosa una volta al giorno, per un totale di cinque somministrazioni nei primi 5 giorni di cicli di 21 giorni. Per il primo ciclo la somministrazione avveniva in regime di ricovero, mentre per i cicli successivi in ambito ambulatoriale.

Al congresso dell’ASH sono stati riportati i dati di un’analisi preliminare dei dati di 40 pazienti (raccolti e analizzati fino al 15 settembre 2022), di cui 22 (il 55%) trattati con tagraxofusp come terapia di prima linea e 18 (il 45%) in linee di terapia successive.

Alti tassi di risposta
L’età mediana dei pazienti era pari a 68 anni (range: 21-82) nel gruppo trattato in prima linea e 66 anni (range: 29-83) in quello dei pazienti ricaduti/refrattari. In questo secondo gruppo, il 67% era già stato sottoposto a una linea di terapia, il 28% ne aveva effettuate due e il 6% tre.

Nel gruppo di pazienti naïve, con un follow-up mediano di 10,1 mesi l’ORR è risultato dell’88% (15 pazienti su 17) e il tasso di risposta completa del 71% (12 pazienti su 17); inoltre, il 45% dei pazienti ha potuto effettuare un trapianto come consolidamento.

Nel gruppo di pazienti ricaduti/refrattari, invece, con un follow-up mediano di 8,4 mesi l’ORR è risultato del 67% (10 pazienti su 15) e il tasso di risposta completa del 40% (6 pazienti su 15), mentre i pazienti che hanno potuto sottoporsi al trapianto sono stati il 39%.

«Sono dati che riteniamo estremamente soddisfacenti, data l’aggressività della patologia», ha sottolineato Angelucci.

I dati di sopravvivenza
Per quanto riguarda la sopravvivenza, nei pazienti trattati con tagraxofusp in prima linea si è registrata un’OS mediana di 16,7 mesi, mentre in quelli ricaduti/refrattari l’OS mediana è risultata di 10,5 mesi.

Gli autori hanno valutato i risultati di OS stratificando i pazienti non solo in base al numero di linee di terapia precedenti, ma anche in base all’aver effettuato o meno il trapianto di cellule staminali emopoietiche. Dall’analisi emerge chiaramente come i pazienti trapiantati abbiano outcome migliori.

Infatti, tra i pazienti naïve, quelli sottoposti al trapianto hanno mostrato un’OS mediana di 16,7 mesi, mentre quelli non trapiantati un’OS mediana di 9,5 mesi. Tra i pazienti ricaduti/refrattari, invece, l’OS mediana non è stata raggiunta fra i trapiantati, mentre è risultata di 6,2 mesi fra coloro che non hanno potuto fare il trapianto.

Il profilo di sicurezza e tollerabilità
Per quanto riguarda la sicurezza e tollerabilità del farmaco, gli eventi avversi più frequenti correlati al trattamento (cioè quelli verificatisi in almeno il 10% dei pazienti) di grado 3/4 o severi sono stati la trombocitopenia (23%), l’anemia (18%) e la neutropenia (13%).

Nei pazienti trattati in prima linea, il più frequente evento avverso di grado 3/4 correlato a tagraxofusp è stato la trombocitopenia (23%), mentre in quelli ricaduti/refrattari è stato l’anemia (28%).

Da notare che tutti gli eventi avversi di grado 3/4 o severi si sono manifestati solo durante il primo ciclo di trattamento.

Casi di sindrome da perdita capillare tutti di grado lieve
Un evento averso noto e peculiare di tagraxofusp e la sindrome da perdita capillare (CLS), associata a sintomi come aumento ponderale, edema, ipotensione e ipoalbuminemia. Tuttavia, in questo studio di ‘real life’ nella maggior parte dei casi l’evento è stato di grado 1/2 e non ci sono stati casi di grado 5.

Nei pazienti naïve, 9 su 22 hanno avuto in totale 12 episodi, 9 dei quali di grado 1/2 e 8 dei quali manifestatisi durante il primo ciclo di trattamento. Nei pazienti ricaduti/refrattari, invece, 11 su 18 hanno avuto in totale 13 episodi, 8 dei quali di grado 2 e 11 verificatisi nel primo ciclo di trattamento.

L’evento avverso è stato gestito con sospensioni della somministrazione e iniezioni endovena di albumina, e tutti gli episodi si sono risolti.

«Questa sindrome si è verificata in forma severa in un numero limitato di pazienti, ma in tutti i casi è stata trattata e nessun paziente è deceduto a causa di questo evento avverso, a dimostrazione che c’è stata una curva di apprendimento della comunità ematologica europea, che oggi è in grado di diagnosticare precocemente e trattare prontamente questa complicanza», ha concluso Angelucci.

Bibliografia
E. Deconinck, et al. Preliminary Results from an Observational Multicenter Study of Patients with Blastic Plasmacytoid Dendritic Cell Neoplasm Treated with Tagraxofusp in the European Expanded Access Program. ASH 2022; abstract 3623. Link