Polimialgia reumatica: bene sarilumab in aggiunta


Polimialgia reumatica: sarilumab, aggiunto a dosi decrescenti di steroidi, migliora gli outcome nelle forme steroido-resistenti di malattia

sarilumab colestasi intraepatica sincrotone progetti di ricerca

I pazienti con polimialgia reumatica steroido-resistente, trattati con sarilumab in aggiunta a glucocorticoidi a posologia ridotta, vanno incontro a tassi di remissione di malattia più elevati rispetto alla riduzione ottenuta con i soli glucocorticoidi.

Lo dimostrano i risultati di un trial clinico randomizzato di fase III, presentato nel corso del Congresso annuale ACR.

Razionale e obiettivi dello studio
La polimialgia reumatica (PMR) è una tra le più comuni malattie infiammatorie degli anziani – ricordano i ricercatori nella presentazione del lavoro al Congresso -. È relativamente facile da trattare con i glucocorticoidi anche se, purtroppo, le recidive di malattia sono comuni e comportano i ricorso a lunghi cicli di terapia con i glucocorticoidi, con tutto il corollario di morbilità relative conseguenti al loro impiego nel lungo termine”.

Sarilumab, un anticorpo monoclonale umano diretto contro il recettore α di IL-6, è stato approvato per l’AR ed è attualmente in fase di studio per la PMR. Lo studio SAPHYR, presentato nel corso del congresso EULAR di quest’anno, relativo all’impiego di sarilumab in pazienti con PMR resistente ai glucocorticoidi (GC) che hanno avuto una riacutizzazione con ≥7,5 mg/die di prednisone o equivalente, ha raggiunto l’endpoint primario: una percentuale significativamente maggiore di pazienti trattati con sarilumab + GC a dosi decrescenti per 14 settimane, ha raggiunto lo stato di remissione sostenuta a 52 settimane, rispetto a placebo + GC a dosi decrescenti.
Nel corso del Congresso ACR sono stati presentati i dati relativi ai pazienti senza segni e sintomi di PMR nel tempo e ai pazienti che hanno necessitato del ricorso ad una terapia di salvataggio.

Disegno dello studio e risultati principali
Entrando nei dettagli sul disegno del trial SAPHYR, questo studi aveva reclutato tra il mese di ottobre del 2018 e quello di luglio del 2020 pazienti con PMR e li ha randomizzati, secondo uno schema 1:1, a trattamento con sarilumab 200 mg ogni 2 settimane (Q2W) + un regime di GC a dosi decrescenti della durata pari a 14 settimane (braccio sarilumab) oppure a trattamento con placebo Q2W + un regime di GC a dosi decrescenti più lungo (52 settimane; braccio di confronto); la durata del trattamento era di 52 settimane.

Dopo la visita iniziale, i pazienti sono stati seguiti alle settimane 2 e 4, e poi ogni 4 settimane fino alla 24a settimana, e quindi alle settimane 32, 40 e 52. I pazienti che avevano manifestato una riacutizzazione della malattia o che non erano stati in grado di aderire al regime terapeutico basato su dosi decrescenti di GC previsto dal protocollo, hanno interrotto questo regime di trattamento e iniziato una terapia di salvataggio con GC.

Il protocollo del trial prevedeva inizialmente il reclutamento di 280 pazienti, randomizzati nei due gruppi di trattamento sopra indicati. La pandemia Covid-19, tuttavia, ha rallentato notevolmente i tempi di reclutamento per cui, dei 280 pazienti inizialmente previsti, ne sono stati reclutati 118 (59 nel braccio sarilumab e 58 nel braccio di controllo).

Passando ai risultati, la percentuale di pazienti senza segni e sintomi di PMR nel braccio sarilumab  è aumentata alla settimana 2 e ha continuato a crescere nel tempo fino alla settimana 52.
Ad ogni visita successiva a quella iniziale, è emerso che la percentuale di pazienti senza segni e sintomi di PMR era più alta nel braccio sarilumab rispetto al braccio di confronto.
Non solo: una tendenza simile è stata osservata quando sono stati esclusi dall’analisi i pazienti che, per necessità, avevano fatto ricorso alla terapia di salvataggio.

Lo studio ha mostrato anche che i pazienti del braccio sarilumab avevano meno probabilità di andare incontro ad una riacutizzazione di malattia dopo aver raggiunto la remissione clinica rispetto al braccio di confronto (16,7% vs 29,3%; HR: 0,56; IC95%: 0,35-0,90; P=0,0158).

Una percentuale maggiore di pazienti del braccio di confronto, rispetto al braccio sarilumab, ha avuto bisogno di ricorrere alla terapia di salvataggio con GC durante il periodo di studio (58,6% vs 32,2% P=0,0053).
La percentuale cumulativa di pazienti che hanno necessitato del ricorso alla terapia di salvataggio è risultata più elevata per ciascun timepoint previsto dal protocollo dello studio, dopo il basale e fino alla 52a settimana, nel braccio di confronto rispetto al braccio sarilumab. In questi pazienti, la dose cumulativa mediana (range) di GC di salvataggio nelle 52 settimane è stata di 1076,1 mg (8-2108) nel braccio sarilumab vs 1326,5 mg (20-2484) nel braccio di confronto (P=0,5078).

Da ultimo, non sono stati rilevati nuovi segnali di sicurezza e gli eventi avversi sono stati coerenti con il profilo di sicurezza già noto di sarilumab.

Riassumendo
In conclusione, lo studio ha dimostrato il raggiungimento dell’endpoint primario della remissione sostenuta alla settimana 52 in una percentuale maggiore di pazienti trattati con sarilumab e un regime di GC a dosi decrescenti di 14 settimane rispetto a quelli trattati con placebo e un regime a dosi decrescenti di GC di 52 settimane. L’endpoint secondario della dose cumulativa di glucocorticoidi, inoltre, è risultato statisticamente significativo nei pazienti trattati con sarilumab.

Sarilumab, pertanto, si è dimostrato efficace nei pazienti difficili da trattare con PMR refrattaria agli steroidi, in linea con i risultati osservati per un altro inibitore recettoriale di IL-6 nei pazienti con PMR di nuova insorgenza.

Bibliografia
Spiera R et al. Resolution of PMR Signs and Symptoms in Patients Treated with Sarilumab: A Phase 3, Multicenter, Randomized, Double Blind, Placebo Controlled Trial (SAPHYR) in Relapsing PMR [abstract]. Arthritis Rheumatol. 2022; 74 (suppl 9).
Leggi