Neuroscienze e scienze umane: un dialogo è possibile


Gli strumenti tecnologici hanno permesso alle neuroscienze di fare passi da gigante: l’approfondimento a firma del Prof. Paolo Calabresi

neuroscienze

Gli strumenti tecnologici hanno permesso alle neuroscienze di fare passi da gigante, e oggi siamo in grado di curare prima e meglio numerose patologie legate al cervello e al suo invecchiamento. Ma se la tecnologia va avanti, non bisogna lasciare indietro altri importanti aspetti sui quali lavorare: la condivisione di informazioni ed approcci tra ricerca traslazionale e ricerca clinica; un nuovo dialogo tra discipline scientifiche e umanistiche; il tema antico, ma sempre attuale, dell’educazione al dialogo medico-paziente. In questi tre scenari l’enorme sviluppo delle neuroscienze ha necessità di ritrovare la cultura del dialogo con le scienze umanistiche. Se tale necessità verrà soddisfatta, sicuramente la nostra società avrà un tangibile beneficio, aprendo nuove prospettive per un uso adeguato del progresso scientifico, finanche diventare il motore di un nuovo umanesimo, come auspicato da Eric Kandel. L’approfondimento a firma del Prof. Paolo Calabresi, Professore Ordinario di Neurologia Dipartimento di Neuroscienze Università Cattolica del Sacro Cuore, Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli, IRCCS, Roma.

L’evoluzione tecnologica ed il progresso delle conoscenze genetiche e molecolari hanno di fatto trasformato la medicina tradizionale in una “medicina di precisione”. Questo cambiamento ha interessato tutte le aree della medicina, ma ha avuto un impatto ancora più rilevante nelle neuroscienze cliniche quali la neurologia. Con le moderne tecniche di “imaging” possiamo tracciare mappe del cervello e definire reti di neuroni che si attivano in funzione dei compiti che questo organo deve governare. Questi studi possono essere applicati al cervello “sano” per comprenderne il funzionamento nei comuni atti della vita quotidiana, ma è evidente che il principale campo di applicazione è quello della diagnosi e della cura delle malattie neurologiche, sia acute come l’ictus cerebrale e l’epilessia che quelle croniche quali la malattia di Alzheimer, la malattia di Parkinson e tutte le affezioni infiammatorie del cervello. Grazie a questi strumenti tecnologici oggi possiamo affrontare prima e meglio le malattie del cervello, fornendo una speranza per un gruppo di patologie legate all’invecchiamento della popolazione.

Grazie alla tecnologia possiamo affrontare prima e meglio le malattie del cervello legate all’invecchiamento

Questo nuovo approccio alle malattie del cervello richiede per neurologi, neurochirurghi, psichiatri e neuro-riabilitatori una conoscenza sempre più specifica ed approfondita con la conseguente necessità di saper collaborare dialogando attraverso un linguaggio comune. In sostanza, è necessaria la creazione di un gruppo multidisciplinare che sia rapido ed efficace nelle decisioni non solo in condizioni ordinarie, ma sappia condividere conoscenze anche in condizioni di emergenza. L’uso di questo comune linguaggio tecnologico è sicuramente operativo nei migliori centri clinici ospedalieri ed universitari che si occupano di salute. Questo risultato positivo è frutto di una educazione comune e della condivisione di protocolli clinici che sono stati definiti a livello internazionale.

A mio avviso, tuttavia, ci sono almeno tre altre aree di grande importanza nelle quali il linguaggio e l’educazione ad un dialogo comune, che porti ad una soddisfacente comprensione reciproca, non sono stati ancora completamente aperti e nelle quali una educazione continua potrebbe conseguire risultati importanti: 1) una necessaria condivisione di informazioni ed approcci tra ricerca preclinica traslazionale e ricerca clinica; 2) un nuovo dialogo tra discipline che si occupano del cervello in modo “scientifico” e quelle umanistiche che hanno una visione olistica con la funzione di questo organo; 3) il tema antico, ma sempre attuale, dell’educazione al dialogo medico-paziente che è sicuramente connesso alle prime due criticità.

Condivisione di informazioni ed approcci tra ricerca preclinica traslazionale e ricerca clinica

Riguardo al primo punto, alcune strategie educative sono state già messe in atto con successo. Ad esempio, oggi nelle Università si spiega, ad un futuro giovane ricercatore che si occupa di scienza di base, che per avere finanziato da un’agenzia pubblica o privata il proprio progetto dovrà essere in grado di dimostrare che i risultati dei propri studi saranno traslazionali: in altre parole, potranno migliorare le conoscenze mediche e possibilmente suggerire nuovi approcci terapeutici. Tuttavia, in questo àmbito molto resta da fare. Le Università più accreditate sono quelle che coniugano una ricerca di base avanzata ad un’eccellente ricerca clinica ed un’attenta assistenza ai malati. In Italia abbiamo molte di queste Università. Il vero problema, tuttavia, è che non vi è ancora un quotidiano scambio di informazioni e conoscenze che porti a risultati concreti quali brevetti, adeguati finanziamenti pubblici e privati e sufficienti posizioni per giovani meritevoli, evitando migrazioni irreversibili verso altri paesi.

Dialogo tra neuroscienze e scienze umanistiche

Riguardo al secondo punto ‒ quello del rapporto tra neuroscienze e scienze umanistiche ‒ siamo sicuramente ai primordi di un dialogo. La rivoluzione della genomica e i progressi delle neuroscienze nella comprensione del cervello umano rappresentano due potenti fattori, al fine di realizzare, come afferma il grande neuroscienziato e premio Nobel per la medicina Eric Kandel, l’aspirazione della scienza a un nuovo umanesimo, nell’intento di migliorare non soltanto le cure mediche, ma di mutare «la nostra visione di noi stessi e degli altri», affrontare la crisi della civiltà occidentale e guarire le ferite dell’umanità. Ci stiamo avviando verso un “nuovo tipo di medicina” con diagnosi e trattamenti più “personalizzati”, portandoci a concepire il paziente come una “persona” e non come un “caso patologico”. La nostra “unicità biologica” si riflette nell’unicità della nostra mente, la quale emerge ‒ spiega il premio Nobel per la medicina ‒ dall’unicità del nostro cervello. L’ultima sfida, l’ultimo grande mistero del ventunesimo secolo è la natura della mente umana. Attraverso i moderni metodi di brain imaging stiamo iniziando ad esaminare alcuni aspetti dei nostri comportamenti: il modo in cui impariamo e ricordiamo, percepiamo, agiamo e proviamo emozioni. Potendo inoltre rivelare «quelle differenze presenti nel cervello di ciascuno di noi che ci rendono unici».

L’ultima sfida del ventunesimo secolo è la natura della mente umana

Le neuroscienze stanno apportando un prezioso contributo a trasformare, cambiare e migliorare la società, l’umanità e la civiltà. Altri fenomeni rendono la situazione preoccupante, come la dispersione scolastica, l’analfabetismo funzionale, la riduzione dei servizi sociali e un linguaggio “imbarbarito”. L’impoverimento materiale, sociale e morale è un fattore determinante per l’impoverimento del linguaggio. Altro elemento negativo è la paura di una società “frantumata”, paura che nasce dal vuoto culturale, la paura dell’altro e che genera aggressività. Pertanto, l’aspirazione a un “nuovo umanesimo” potrebbe essere espresso attraverso la cultura per la quale le neuroscienze possono dare un contributo fondamentale. La interazione tra neuroscienze e umanesimo potrebbe rigenerare la società intorno all’educazione, alla conoscenza e alla ricerca di nuovi valori.

Il ruolo della cultura nel dialogo e rapporto medico-paziente

Infine, il terzo punto è quello dell’antico, ma sempre importante ruolo della cultura nel dialogo e rapporto medico-paziente. Con la malattia, il soggetto diventa un essere fragile, indifeso, insicuro, ansioso. Nei confronti del medico assume un ruolo di dipendenza psicologica, di sottomissione e soggezione. La malattia rompe un equilibrio psichico, scardina certezze e stili di vita. Di qui, l’enorme importanza che rivestono l’atteggiamento e le parole del medico per non accrescere la sofferenza e la solitudine interiore. Ci sono atteggiamenti e parole che medici, neurologi, psichiatri e psicologi non dovrebbero mai esprimere. Oltre ad essere rispettoso e gentile e comprensivo, il medico, ed in particolare il neurologo, deve anche “saper comunicare”. Forse la prima necessità è parlare con verità, ma l’altra esigenza è comunicare con tatto e sensibilità, sapendo cogliere le aspettative e le reazioni del paziente e del familiare che ci si trova davanti. In caso contrario, il dialogo e la comunicazione hanno un risultato non solo inefficace, ma soprattutto negativo. Comunicare col paziente in modo positivo per alcuni medici è quasi innato, ma per altri è un processo che si apprende con studio ed esperienza, ma la disponibilità personale ad affrontare questo tipo di formazione è il requisito fondamentale.

Linterazione tra neuroscienze e umanesimo potrebbe rigenerare la società intorno alla ricerca di nuovi valori

In questi tre scenari l’enorme sviluppo delle neuroscienze ha necessità di ritrovare la cultura del dialogo con le scienze umanistiche. Se tale necessità verrà soddisfatta, sicuramente la nostra società avrà un tangibile beneficio, aprendo nuove prospettive per un uso adeguato del progresso scientifico.

Prof. Paolo Calabresi, Professore Ordinario di Neurologia Dipartimento di Neuroscienze Università Cattolica del Sacro Cuore, Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli, IRCCS, Roma.