Tumore al seno metastatico è sempre più curabile


Anche il tumore del seno metastatico è sempre più curabile: si allunga la sopravvivenza, si riduce il tasso di mortalità, è al 20% la percentuale di donne che superano la malattia

Studio americano ha identificato un nuovo punto debole del tumore del seno triplo negativo: è la proteina MAPK4

Dalla cronicizzazione alla guaribilità della malattia. Anche il tumore del seno metastatico è sempre più curabile: si allunga la sopravvivenza, si riduce il tasso di mortalità, aumenta per alcuni sottogruppi di tumore la frazione di guarigione, cioè la percentuale di donne che superano la malattia, passata dal 4.1% del 1975 a quasi l’attuale 20%.

Un importante avanzamento confermato anche da una recente pubblicazione sull’International Journal of Cancer che riporta i dati del registro americano SEER su incidenza e mortalità dei tumori negli Stati Uniti in sensibile miglioramento: ipotizzabile un andamento speculare anche in contesti europei, Italia compresa. Traguardi resi possibili oggi da una pluralità di fattori: anticipazione diagnostica, grazie a esami di imaging sempre più accurati, profilazione del tumore da un punto di vista biologico e molecolare, approccio multidisciplinare alla malattia, dialogo sempre più stretto fra anatomopatologo e clinico, informazioni che si traducono nella scelta di terapie di sempre maggiore ‘precisione’, dunque di maggiore efficacia.

Generalmente migliorata la curabilità della gran parte dei tumori del seno, i maggior benefici in termini di frazione di guaribilità, si registrano soprattutto per i tumori del seno HER2+ e per i tumori con espressione dei recettori ormonali. Restano di più difficile cura i tumori del seno triplo negativo, i più aggressivi, sebbene in caso di malattia mutata per il gene BRCA oggi, rispetto alla sola chemio del passato, si disponga di terapia mirate, quali i PARP inibitori e i nuovissimi farmaci ADC (Antibody Drug Comiugate), super intelligenti. Sono alcuni punti affrontati nel Simposio “2022 Carcinoma mammario metastatico: quali novità”, promosso da ROPI, in corso oggi a Roma in occasione della Giornata Nazionale del tumore mammario metastatico.

“Circa 37.000 donne in Italia vengono curate per un carcinoma mammario metastatico – spiega Stefania Gori, Direttore del Dipartimento Oncologico IRCCS Sacro Cuore Don Calabria di Negrar di Valpolicella e Presidente Rete Oncologica Pazienti Italia (ROPI) –. All’interno di questa malattia sono oggi identificabili diversi sottogruppi di malattia con caratteristiche molecolari differenti (malattia HER2-low, malattia HER2-positiva, malattia triplo-negativa e malattia con recettori ormonali positivi/HER2-negativa, malattia insorta in donne portatrici di mutazioni dei geni BRCA1/2). Le indicazioni terapeutiche sono differenti in ogni sottogruppo e quindi ad ogni singola paziente verrà prescritto il trattamento più adeguato. È pertanto necessario al momento della ricomparsa della malattia effettuare, se possibile, una biopsia per avere informazioni istologiche e molecolari che permettano una terapia efficace; effettuare una valutazione dell’estensione della malattia metastatica per valutare eventuale altri trattamenti antitumorali (radioterapia, per esempio) e eventuali terapie mirate alle metastasi ossee, se presenti; valutare l’eventuale inserimento della paziente in studi clinici”.

“Negli ultimi anni si è assistito a un’importante evoluzione della classificazione anatomopatologica del tumore del seno – dichiara Giuseppe Perrone, Professore Ordinario e Direttore U.O. Anatomia Patologica, Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico, Roma – in cui lo studio della malattia al microscopio, utile a definire l’aspetto morfologico del tumore, si affianca alla valutazione dei dosaggi molecolari che interrogano e indagano il comportamento biologico della neoplasia. Questo approccio permette di individuare informazioni genetiche e genomiche del tumore, particolarmente importanti per identificare specifici trattamenti mirati e personalizzati. Da qui l’importanza del cross-talk, cioè del passaggio incrociato di informazioni fra tutte le figure coinvolte nel percorso di cura della paziente con carcinoma mammario (oncologo, anatomopatologo, biologo molecolare, radiologo, radioterapista, chirurgo, ecc.) secondo un approccio multidisciplinare finalizzato alla scelta delle opzioni terapeutiche più opportune. In questo contesto il ruolo dell’anatomopatologo ha subito una radicale evoluzione, da figura puramente laboratoristica con il ruolo di fornire esclusivamente diagnosi di malattia, attualmente fornisce informazioni genomiche al gruppo multidisciplinare per la definizione della migliore scelta terapeutica per ogni singola paziente. Queste informazioni genomiche del tumore, inoltre, si stanno rivelando fondamentali anche per lo sviluppo di farmaci target, a vantaggio soprattutto di innovative terapie per la malattia metastatica”.

“Il progresso scientifico e l’evoluzione all’approccio del carcinoma mammario metastatico – aggiunge Fabio Puglisi, Professore Ordinario di Oncologia medica all’Università degli studi di Udine e direttore del dipartimento di Oncologia Medica all’Istituto Nazionale Tumori IRCCS CRO di Aviano – si sono tradotti nel corso degli anni in un sensibile beneficio in sopravvivenza e in una riduzione della mortalità e ha favorito per alcuni tumori anche l’aumento della frazione di guarigione, passata nel caso del carcinoma mammario metastatico dal solo 4.1% degli anni ’70 all’attuale quasi 20%, come confermano i dati del registro SEER americano che analizza incidenza e mortalità negli Stai Uniti, estrapolabili anche al contesto europeo. A beneficiare dei nuovi approcci terapeutici e delle informazioni di natura biomolecolare sono stati soprattutto i carcinomi HER2+ e quelli con espressione dei recettori ormonali. Di più difficile cura restano i tumori triplo negativi sebbene per alcuni sottogruppi, ad esempio in presenza di mutazione di BRCA, oggi siano disponibili terapie mirate come gli inibitori di PARP.

Molto promettente e di recente introduzione per uso clinico è la classe di farmaci noti come ADC (Antibody Drug Conjugates). Si tratta di farmaci che vengono agganciati ad anticorpi monoclonali e poi rilasciati in sede tumorale dove è proprio l’anticorpo a intercettare il bersaglio specifico, migliorando in tal modo l’efficacia terapeutica. In altre parole, gli ADC rappresentano una evoluzione recente delle terapie mirate, in grado di riconoscere le cellule tumorali e di far arrivare il chemioterapico nella sede di azione; uno di questi farmaci, il Sacituzumab Govitecan, è stato studiato nelle forme di malattia triplo negativa dove ha mostrato interessanti benefici terapeutici”.