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Granulomatosi eosinofila con poliangite: nuova terapia efficace

Benralizumab, utilizzato con successo nell'asma grave eosinofilico, è efficace e sicuro anche per la granulomatosi eosinofila con poliangioite

Granulomatosi eosinofila con poliangite: ottimi risultati con una terapia sequenziale basata sull’impiego di rituximab e mepolizumab

L’adozione di una terapia sequenziale basata sull’impiego di rituximab e mepolizumab potrebbe essere efficace nell’indurre e mantenere la remissione delle manifestazioni sistemiche e respiratorie della granulomatosi eosinofila con poliangite (EGPA).

Queste le conclusioni di uno studio osservazionale multicentrico europeo che ha coinvolto anche il nostro Paese, pubblicato sotto forma di “comunicazione breve” (Letter) sulla rivista Annals of Rheumatic Diseases.

Razionale e disegno dello studio 
“L’EGPA – spiega il dott. Giacomo Emmi, ricercatore presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi di Firenze e uno degli autori dello studio messo a punto dall’European EGPA Study Group  – è una vasculite sistemica, assieme ad altre due vasculiti ANCA-associate quali la granulomatosi con poliangite e la poliangite microscopica, caratterizzata da manifestazioni eosinofile (es: coinvolgimento respiratorio – vedi asma bronchiale -, cardiomiopatia, gastroenterite) e vasculitiche (es: neuropatia, glomerulonefrite)”.

Rituximab è un trattamento ormai consolidato nella granulomatosi con poliangite e nelle poliangiti microscopiche; un numero crescente di evidenze suggerisce una possibile efficacia di questo farmaco anche nella EGPA, soprattutto con riferimento alla capacità di indurre e mantenere la remissione del coinvolgimento vasculitico, mentre il beneficio sulle manifestazioni respiratorie sembra limitato”.

Mepolizumab, invece, è un anticorpo monoclonale diretto contro IL-5, recentemente approvato anche nel trattamento di EGPA recidivante-refrattaria, ed efficace sulle manifestazioni respiratorie, per quanto, stando ad alcuni dati, potrebbe anche controllare parzialmente quelle sistemiche.

Alla base del nuovo studio implementato vi è stata l’idea di verificare se la combinazione di trattamenti con meccanismi d’azione complementari potesse indurre e mantenere la remissione di entrambe le componenti di malattia (quella sistemica e quella respiratoria).

Lo studio, avente un disegno multicentrico e retrospettivo, condotto in diversi Paesi europei, ha incluso pazienti che soddisfacevano i criteri ACR per EGPA o i criteri di eleggibilità proposti nel trial MIRRA. Sono stati inclusi solo i pazienti trattati con rituximab (a qualunque dosaggio) e, successivamente, con mepolizumab (100-300 mg/4 settimane) nell’arco di 12 mesi dall’ultima somministrazione di rituximab, senza altre terapie di induzione/mantenimento concomitanti.

E’ stata valutata l’efficacia del trattamento considerando l’attività di malattia (mediante il punteggio BVAS – the Birmingham Vasculitis Activity Score), la conta di eosinofili e la posologia dei glucocorticoidi, come pure gli attacchi asmatici e gli eventi avversi (AE).

I pazienti reclutati sono stati 38 (53% di sesso femminile), con età mediana alla diagnosi pari a 52 anni (IQR: 42.61). Diciotto di questi (47%) erano ANCA positivi.

Il trattamento con rituximab (1g ogni 2 settimane in 26 pazienti su 38; 375 mg 2 volte settimana per 4 settimane in 11 pazienti su 38; 500 mg ogni 2 settimane in un paziente) era iniziato prevalentemente allo scopo di controllare la malattia attiva [36/38 pazienti presentavano una mediana di BVAS pari a 10 (IQR: 6-15); una mediana della conta di eosinofili pari a 780 (270-2.150) cellule/μL), con riferimento particolare alla manifestazioni sistemiche (in presenza/assenza di manifestazioni respiratorie – 33/38= 87%).

Il 63% dei pazienti dello studio era andato incontro a uno o a più attacchi asmatici nel mese precedente l’inizio dello studio.

Al momento dell’inizio del trattamento con rituximab, il 97% dei pazienti era già in trattamento con glucocorticoidi (mediana dose prednisone: 25 mg/die – 13,5-50), mentre il 58% era in trattamento con farmaci immunosoppressori.

Il trattamento con mepolizumab, invece, (100 mg ogni 4 settimane in 36 pazienti su 38) era iniziato dopo una mediana di 5 mesi (3-11) dall’ultima somministrazione di rituximab, solitamente per la presenza di manifestazioni attive [32/38: 84%; mediana BVAS: 4 (2–8)], prevalentemente di carattere respiratorio (28/32).

Tutti i pazienti dello studio, con l’eccezione di un caso, erano ancora in trattamento con glucorticoidi [(97%; mediana dose: 10 mg/die 7,5-15), prevalentemente a causa di manifestazioni respiratorie)], mentre il 32% dei pazienti era in trattamento con farmaci immunosoppressori.

Risultati principali
Dopo una mediana di 26 mesi (13-33) dall’inizio del trattamento con mepolizumab, la mediana del punteggio BVAS si è ridotta significativamente, arrivando a 2 (0-4), come pure la mediana della conta di eosinofili (90 cellule/μL (40–110) e l’impiego di glucocorticoidi e di farmaci immunosoppressori [mediana dose prednisone: 5 mg/die; 21% pazienti in trattamento con immunosoppressori).

Solo il 24% dei pazienti ha riportato attacchi asmatici nel mese precedente.

Degna di nota è stata l’osservazione di una negativizzazione agli anticorpi ANCA dopo trattamento sequenziale rituximab-mepolizumab in una proporzione rilevante di pazienti.

Infatti, all’inizio del trattamento con rituximab, erano disponibili i dati sulla sierologia ANCA per 17 pazienti dei 18 ANCA positivi alla diagnosi di EGPA, e 12 di questi sono risultati ancora ANCA positivi (70,6%). All’inizio del trattamento con mepolizumab, invece, 5 pazienti su 16 (per i quali erano disponibili i dati sullo stato ANCA) erano ancora positivi (31,3%).

All’ultimo follow-up disponibile, solo 2 pazienti dei 17 per i quali erano disponibili i dati sulla sierologia degli anticorpi ANCA erano ancora ANCA positivi (p=0,001 rispetto all’inizio del trattamento con rituximab).
Entrambi i farmaci in studio sono risultati ben tollerati. Sei pazienti avevano AE di entità non grave quando erano in trattamento con rituximab, mentre 5 pazienti hanno avuto AE in trattamento con mepolizumab (in un caso polmonite da Covid-19).

Limiti e implicazioni dello studio
Presi nel complesso, i risultati dello studio hanno confermato precedenti evidenze di letteratura sull’efficacia di rituximab nel controllo delle manifestazioni sistemiche di EGPA, mentre ha dimostrato un’efficacia limitata nel controllo delle manifestazioni sistemiche di malattia. Per contro, l’introduzione di mepolizumab ha permesso la riduzione degli attacchi di asma, contribuendo al contempo alla remissione sostenuta delle manifestazioni sistemiche di malattia e al risparmio di glucocorticoidi.

Nel commentare i risultati, il dr. Emmi ha affermato che, alla luce di quanto osservato, “…è possibile ipotizzare il ricorso a questo schema di terapia sequenziale non in tutti i pazienti con EGPA ma in una quota di pazienti che hanno una recidiva di malattia vasculitica (e che, pertanto, necessitano di una terapia a base di rituximab), ma che sappiamo essere pazienti che, inevitabilmente, una volta che hanno messo a controllo l’impegno vasculitico, avranno il problema di mantenere sotto controllo anche l’asma bronchiale e, in parte, l’interessamento delle alte vie aeree respiratorie, in concomitanza con la riduzione della posologia di cortisone”.

“Lo studio – aggiunge Emmi – ha anche mostrato come, nella pratica clinica reale, mepolizumab venisse utilizzato prevalentemente al dosaggio impiegato per il trattamento dell’asma eosinofilo (100 mg/4 settimane), piuttosto che al dosaggio approvato per EGPA (300 mg/4 settimane). Questa osservazione  suggerisce che questo tipo di combinazione sequenziale di trattamento potrebbe avere, effettivamente, un beneficio per i pazienti sopra indicati”.

Bibliografia
Bettiol A, Urban ML, Bello F, et al. Ann Rheum Dis Epub ahead of print: [25 Jul 2022]. doi:10.1136/annrheumdis-2022-222776

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