Covid e leucemia: nuovi dati sulla mortalità


Tra i pazienti con leucemia linfatica cronica si sono registrati tassi di mortalità più bassi durante la diffusione della variante Omicron del Covid

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Tra i pazienti con leucemia linfatica cronica si sono registrati tassi di mortalità più bassi durante la diffusione della variante omicron di SARS-CoV-2 rispetto a quanto osservato in precedenza. Seppure questo dato sia incoraggiante, è consigliabile comunque sottoporre i pazienti a un attento monitoraggio e iniziare, dopo una documentata positività del tampone, una terapia antivirale preventiva in particolare in quei pazienti che hanno contatti frequenti con l’ambiente ospedaliero e in quelli di età superiore ai 70 anni con almeno una comorbidità. Sono le conclusioni di uno studio danese, pubblicato di recente su Blood.

In pratica, i risultati dello studio mostrano che durante il periodo di massima diffusione della sottovariante BA.2 di omicron i tassi di ospedalizzazione e di ricovero in unità di terapia intensiva sono diminuiti in modo significativo, a fronte di un tasso di mortalità a 30 giorni che ha raggiunto il 23% in una coorte di pazienti ospedalizzati. Tuttavia, considerando una coorte di pazienti con leucemia linfatica cronica più ampia, comprendente anche la coorte dei pazienti ospedalizzati, il tasso di mortalità a 30 giorni dal risultato positivo del tampone è risultato del 2%.

«Sappiamo che nella popolazione generale la variante omicron è in grado di provocare una malattia più lieve; mancano però dati sugli outcome dei pazienti immunocompromessi», scrivono nella pubblicazione l’autore principale dello studio, Carsten Niemann, del Rigshospitalet di Copenaghen, e i colleghi. «I dati sugli esiti della leucemia linfatica cronica in seguito a infezione con la variante omicron di SARS-CoV-2, disponibili sia a livello ospedaliero sia nella popolazione generale, in caso di positività del tampone giustificano un attento monitoraggio oltre al trattamento preventivo nei pazienti che hanno contatti frequenti con l’ospedale; gli altri pazienti affetti da leucemia linfatica cronica possono aspettarsi un decorso della COVID-19 meno grave».

Dati precedenti avevano rilevato alti tassi di mortalità nei pazienti con leucemia linfatica cronica con diagnosi di COVID-19. Inoltre, sebbene nella popolazione generale l’infezione da variante omicron sia stata associata a un decorso meno severo della malattia, non erano però stati studiati gli esiti della malattia nei pazienti immunocompromessi.

Lo studio
Per colmare questa lacuna, gli sperimentatori hanno valutato il tempo di ospedalizzazione e di ricovero in terapia intensiva, oltre alla mortalità a 30 giorni dall’infezione da SARS-CoV-2, in una coorte di pazienti affetti da leucemia linfatica cronica, utilizzando le cartelle cliniche elettroniche ospedaliere (EHR) per individuare quelli risultati positivi al test PCR per SARS-CoV-2, tra il marzo 2020 e il gennaio 2022 (coorte EHR).

In aggiunta, gli sperimentatori hanno esaminato una coorte costituita da pazienti inclusi nel Danish National Chronic Lymphocytic Leukemia Registry, per i quali risultava un test PCR positivo nel database del centro di ricerca danese per la Personalized Medicine of Infectious Complications in Immune Deficiency (PERSIMUNE).

Poiché per la maggior parte dei pazienti mancavano i dati relativi alle varianti, gli sperimentatori hanno raggruppato i pazienti in quattro intervalli temporali in base alla data del primo test PCR positivo (considerando che la variante omicron è risultata dominante dal 17 dicembre 2021 e la sottovariante BA.2 è risultata la forma prevalente dall’1 gennaio 202).: da marzo 2020 a dicembre 2020 (periodo 1); dall’1 gennaio 2021 al 25 novembre 2021 (periodo 2, nel quale è stato registrato il primo caso omicron in Danimarca); dal 26 novembre 2021 al 31 dicembre 2021 (periodo 3); dall’1 gennaio 2022 al 28 gennaio 2022 (periodo 4).

Fino al 28 gennaio 2022, in 151 pazienti della coorte EHR sono stati registrati 153 casi di COVID-19 confermati con un test PCR, mentre nella coorte del registro danese la positività al test PCR è stata riscontrata in 640 pazienti.

Nella coorte EHR, è stato registrato un test PCR positivo in 59 pazienti nel periodo 1, 40 nel periodo 2, 32 nel periodo 3 e 22, nel periodo 4, mentre nella coorte del registro danese i pazienti risultati positivi a un test PCR nei periodi 1, 2, 3 e 4 sono stati rispettivamente 24, 66, 73 e 477.

Le caratteristiche dei pazienti
I pazienti nei quattro periodi presentavano caratteristiche al basale simili. Tuttavia, quelli della coorte EHR erano significativamente più anziani rispetto a quelli della coorte del registro (P = 0,0052). Inoltre, nei pazienti della coorte EHR la diagnosi di leucemia linfatica cronica era significativamente più recente (P = 0,024). Nelle due coorti, percentuali simili di pazienti avevano ricevuto una terapia per la patologia oncoematologica prima di risultare positivi al COVID-19: rispettivamente il 39% (43/109) e il 30% (190/640) (P = 0,054).

Inoltre, sulla base delle osservazioni degli sperimentatori, nella coorte EHR il tasso di ricoveri per i pazienti positivi è stato superiore di oltre il 75% durante il secondo periodo rispetto ai periodi 3 e 4, quando, rispettivamente, è comparsa e ha raggiunto il picco la variante omicron. In più, in questi ultimi due periodi i pazienti ospedalizzati sono stati sottoposti a trattamenti preventivi a base di anticorpi monoclonali. Negli stessi periodi, gli anticorpi monoclonali sono stati somministrati anche in occasione di visite ambulatoriali.

Minor numero di ospedalizzazioni con la variante omicron
I tassi di ospedalizzazione a 30 giorni sono risultati del 56% nel periodo 3 e del 60% nel periodo 4 rispetto all’83% del periodo 2. Infine, i tassi di ricovero in terapia intensiva sono risultati più bassi dopo l’avvento di omicron (12-12,5% contro 0-3%), il che potrebbe il riflesso dell’impatto della somministrazione del terzo e quarto vaccino di richiamo, una migliore assistenza ai pazienti con COVID-19 e differenze di gravità tra le varianti.

Nella coorte EHR, il tasso di sopravvivenza globale (OS) a 30 giorni è risultato compreso fra il 77% e il 91% in tutti e quattro i periodi, con un confronto favorevole rispetto al tasso corrispondente riportato nella prima parte della pandemia, risultato compreso fra il 64% e il 73%.

Per quanto riguarda i tipi di variante, cinque dei sei pazienti deceduti nel periodo 3 presentavano un’infezione da variante delta. I cinque pazienti deceduti entro 30 giorni dal test PCR positivo nel periodo 4 avevano più di 71 anni e tutti presentavano comorbidità, tra cui demenza, altri tumori, diabete e comorbidità cardiache e polmonari. Quattro di questi cinque casi presentavano infezione da variante omicron, mentre per l’ultimo caso mancavano i dati sulla variante. Per tre dei cinque pazienti la causa della morte è stata identificata nell’insufficienza respiratoria, mentre per i due pazienti deceduti al domicilio la causa non è nota.
Due di questi pazienti sono stati trattati con anticorpi monoclonali e desametasone e uno con remdesivir, mentre gli altri tre casi fatali non sono stati sottoposti ad alcuna terapia specifica per la COVID-19.

Nella coorte del registro i tassi di sopravvivenza a 30 giorni sono aumentati dal periodo 2 al periodo 4, passando rispettivamente dal 93,9% al 94,5% e poi al 99,2%. Nel periodo 1, durante il quale sono iniziati i test di massa non sono stati segnalati decessi (P < 0,002).

Sia nella coorte EHR sia in quella del registro i tassi di OS a 30 giorni sono aumentati dal periodo 1 al 4, passando rispettivamente dall’88,0% all’89,6%, poi al 93,3% e, infine, al 98,2%, con un’OS significativamente più elevata nell’ultimo periodo in cui è prevalsa la sottovariante omicron BA.2 rispetto ai periodi precedenti (P ≤ 0,0077).

Bibliografia
C.U. Niemann, et al. Patients with CLL have lower risk of death from COVID-19 in the omicron era. Blood 2022; doi:10.1182/blood.2022016147; Link