Tasse: il Tax Freedom Day quest’anno scatta il 7 giugno


Solo il prossimo 7 giugno, un giorno prima di quanto successo nel 2021, gli italiani celebreranno il tanto sospirato giorno di liberazione fiscale o “tax freedom day”

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Se l’anno scorso la pressione fiscale in Italia ha toccato il record storico del 43,5 per cento del Pil1 , nel 2022, invece, è destinata a scendere al  43,1 per cento. In virtù di ciò, solo il prossimo 7 giugno (un giorno prima di quanto successo nel 2021) gli italiani celebreranno il tanto sospirato giorno di liberazione fiscale (o “tax freedom day”).
In altre parole, dopo più di 5 mesi dall’inizio del 2022 (pari a 157 giorni lavorativi inclusi i sabati e le domeniche), il contribuente medio italiano smetterà di lavorare per pagare tutti gli obblighi fiscali dell’anno (Irpef, Imu, Iva, Tari, addizionali varie, Irap, Ires, contributi previdenziali, etc.) e dal 7 giugno inizierà a guadagnare per se stesso e per la propria famiglia2 .
Dall’Ufficio studi della CGIA fanno sapere che l’elaborazione di questo “contatore” è un puro esercizio teorico; tuttavia, questa analisi è interessante perché dà la dimensione, quando la si compara con i risultati degli altri paesi europei, di quanto sia spaventosamente elevato il prelievo fiscale e contributivo in capo ai contribuenti italiani.
Guardando la serie storica che è stata ricostruita fino al 1995,  il giorno di liberazione fiscale  più  “precoce” è stato nel 20053 . In quell’occasione, la pressione fiscale si attestò al 39 per cento e ai contribuenti italiani bastò raggiungere il 23 maggio (142 giorni lavorativi) per scrollarsi di dosso tutte le scadenze fiscali. Osservando sempre il calendario, quello più in “ritardo“, come dicevamo più sopra, si è registrato nel 2021, poichè la pressione fiscale ha raggiunto il record storico del 43,5 per cento e, di conseguenza, il “giorno di liberazione fiscale” è slittato all’8 giugno.
  • Tra i big dell’UE solo la Francia ha un fisco più esoso del nostro
Dal confronto con gli altri Paesi europei non emerge un risultato particolarmente entusiasmante. Nel 2020 (ultimo anno in cui è possibile effettuare una comparazione con i paesi Ue)  i contribuenti italiani hanno lavorato per il fisco fino al 5 giugno (quasi 157 giorni lavorativi), vale a dire 4 giorni in più rispetto alla media registrata nei Paesi dell’area euro e 6 se, invece,  il confronto è realizzato con la media dei 27 Paesi che compongono l’Unione europea.
Se confrontiamo il “tax freedom day” italiano con quello dei nostri principali competitori economici, solo la Francia presenta un numero di giorni di lavoro necessari per pagare le tasse nettamente superiore (+19), mentre tutti gli altri hanno potuto festeggiare la liberazione fiscale in anticipo. In Germania, ad esempio, questo è avvenuto 5 giorni prima che da noi, in Olanda 11 e in Spagna 20. Il paese più virtuoso è l’Irlanda; con una pressione fiscale del 20,7 per cento, i contribuenti irlandesi assolvono gli obblighi fiscali in soli 76 giorni lavorativi, cominciando lavorare per se stessi il 16 marzo: 81 giorni prima rispetto al nostro “tax freedom day”.
  • Nel 2022 lo Stato incasserà quasi 40 miliardi in più: bisogna restituire questi soldi reintroducendo il fiscal drag
Il livello record di carico fiscale raggiunto nel 2021 non è ascrivibile ad un aumento del prelievo imposto l ’anno scorso a famiglie e imprese, ma alla decisa crescita registrata dal Pil (+6,6 per cento) che, dopo la caduta verticale registrata nel 2020 (-9 per cento), ha contribuito ad aumentare notevolmente le entrate. Nel 2022, invece, il peso del fisco, sebbene la crescita economica dovrebbe attestarsi attorno al 3 per cento circa, è destinato a diminuire di 0,4 punti percentuali.   Ciò avverrà anche grazie alla riduzione delle imposte e dei contributi decisa dal Governo Draghi. Le principali misure approvate l’anno scorso sono:
  • riforma dell’Irpef (-6,4 miliardi di euro di risorse);
  • esonero contributivo di 0,8 punti percentuali ai lavoratori dipendenti con una retribuzione mensile lorda inferiore a 2.692 euro (-1,1 miliardi di euro)4 ;
  • esonero pagamento Irap alle persone fisiche (-1 miliardo di euro);
Se teniamo conto anche del miglioramento delle principali variabili economiche che si riflette sull’andamento del gettito, secondo il DEF5 lo Stato nel 2022 incasserà 39,7 miliardi di imposte e contributi in più rispetto al 2021. Segnaliamo che una parte di questo incremento di gettito è sicuramente ascrivibile anche al forte aumento dell’inflazione che, secondo le previsioni, quest’anno potrebbe sfiorare il 6 per cento.  Pertanto, in un momento in cui le famiglie stanno subendo dei rincari spaventosi che rischiano di far crollare i consumi interni, sarebbe auspicabile che il Governo restituisse parte di questo extra gettito con meccanismi di fiscal drag6 . Una misura che rafforzerebbe il potere d’acquisto dei pensionati e dei lavoratori dipendenti, dando un sensibile sollievo soprattutto a coloro che attualmente si trovano in serie difficoltà economiche.
1 In questi 77 anni di Repubblica Italiana mai avevamo registrato una pressione fiscale così elevata come quella raggiunta nel 2021.
2 In che modo si è giunti a individuare il 7 giugno come il “giorno di liberazione fiscale” del 2022   ?  La stima del Pil nazionale del 2022 è stata suddivisa per i 365 giorni dell’anno, ottenendo così un dato medio giornaliero. Successivamente, si sono considerate le previsioni di gettito dei contributi previdenziali, delle imposte e delle tasse che i percettori di reddito verseranno nel 2022 e sono stati rapportati al Pil giornaliero. Il risultato di questa operazione  ha consentito di calcolare il “giorno di liberazione fiscale” di quest’anno.
3 Sino al 23 aprile di quell’anno rimase in carica il Governo Berlusconi II. Fu poi sostituito dal Governo Berlusconi III che concluse la XIV legislatura il 27 maggio 2006.
4 Misura in vigore solo per l’anno 2022.
5 Documento di Economia e Finanza presentato al Consiglio dei Ministri il 6 aprile 2022.
6 E’ un fenomeno che si realizza quando l’inflazione genera un aumento del carico fiscale, anche a parità di aliquote, nel modo che segue. Poniamo che oltre ai prezzi anche i redditi crescano, ma che questa crescita vada solo a compensare l’inflazione mantenendo in questo modo invariato il reddito reale. Se la crescita del reddito monetario dovesse essere tale da portare il contribuente in una fascia di reddito gravata da un’aliquota più alta, questo finirebbe col pagare più tasse su un reddito reale uguale al precedente.