Artrite psoriasica: rimborsabilità per guselkumab


Artrite psoriasica: è rimborsato in classe H guselkumab, primo farmaco biologico completamente umano che inibisce selettivamente la citochina IL-23

Diagnosi di artrite psoriasica, salute, apremilast

Una buona notizia per i circa 254mila italiani malati di artrite psoriasica: è rimborsato dal servizio sanitario nazionale, in classe H, guselkumab, primo farmaco biologico completamente umano che inibisce selettivamente la citochina IL-23, regolatore chiave nella patogenesi della malattia psoriasica. Sviluppato da Janssen, azienda farmaceutica del gruppo Johnson & Johnson, il farmaco, già rimborsato dal 2018 nell’indicazione psoriasi a placche, è soggetto a prescrizione medica limitativa, vendibile al pubblico su prescrizione di centri ospedalieri o di specialisti reumatologo, dermatologo o internista (RRL).

L’artrite psoriasica è una malattia infiammatoria cronica immuno-mediata, con impatto importante sulla qualità della vita. Provoca dolore, rigidità e gonfiore delle articolazioni; insorge comunemente tra i 30 e i 50 anni, ma può svilupparsi a qualsiasi età. Nei pazienti affetti da artrite psoriasica, spesso sono presenti comorbidità come obesità, malattie cardiovascolari, malattie infiammatorie intestinali, ansia e depressione. L’artrite psoriasica è spesso associata alla psoriasi e si stima che circa il 30 per cento dei pazienti affetti da psoriasi sviluppino l’artrite psoriasica nel corso degli anni.

«Le persone che soffrono di artrite psoriasica convivono con diversi disturbi delle articolazioni, dei tessuti molli e della cute, che impattano in modo significativo su funzionalità fisica e benessere sociale e psicologico. L’eterogeneità di manifestazione della malattia e la sua potenziale gravità rendono fondamentale offrire trattamenti efficaci, sicuri e durevoli nel tempo. Ad oggi, con i farmaci in uso, un certo numero di pazienti, non raggiunge i target terapeutici di remissione o ridotta attività di malattia oppure non riesce a mantenerli a lungo nel tempo», commenta il Prof. Roberto Gerli, Professore Ordinario di Reumatologia presso l’Università di Perugia e Presidente della SIR, Società Italiana di Reumatologia.

Sono numerosi i dati provenienti dagli studi clinici a sostegno dell’efficacia di guselkumab nel trattamento dell’artrite psoriasica; in sintesi, tali dati evidenziano come il farmaco 100mg alla settimana 0, 4 ed a seguire ogni 8 settimane permetta di raggiungere, a 6 mesi nel 64 per cento ed a 1 anno nel 75 per cento dei pazienti trattati, la risposta ACR20, che indica il miglioramento di almeno il 20 per cento rispetto al basale del numero di articolazioni dolenti e tumefatte e di tre tra i seguenti cinque criteri relativi a valutazione globale del paziente, valutazione globale del medico, valutazione della funzionalità fisica, scala analogico visiva (VAS) del dolore e velocità di eritrosedimentazione (VES) o proteina C-reattiva. Guselkumab, inoltre, protegge dalla progressione del danno articolare, secondo i risultati dello studio DISCOVER-2 a 2 anni.

I dati completi di efficacia e sicurezza di guselkumab provenienti dallo studio DISCOVER-2 sono stati pubblicati di recente su Arthritis & Rheumatology. Si tratta dei risultati conclusivi del primo studio clinico della durata di 2 anni che abbia valutato una terapia con un inibitore selettivo dell’interleuchina 23 nell’artrite psoriasica attiva. I risultati mostrano che la maggior parte dei pazienti adulti con malattia attiva, naïve ai farmaci biologici, e trattati con guselkumab ottiene miglioramenti significativi nei segni e nei sintomi articolari (risposta ACR20/50/70) e clearance cutanea completa (Investigator’s Global Assessment [IGA] pari a 0, raggiungimento del Psoriasis Area Severity Index [PASI] 100) e che tali percentuali aumentano progressivamente nel tempo, mantenendosi poi fino ai 2 anni di durata dello studio (100 settimane).

In aggiunta, ulteriori dati di guselkumab nel trattamento dell’artrite psoriasica attiva, pubblicati da poco su Annals of the Rheumatic Diseases (studio COSMOS), dimostrano un miglioramento significativo e duraturo dei segni e dei sintomi della malattia psoriasica anche nei pazienti adulti con precedente fallimento agli inibitori del TNF alfa. Quando trattati con guselkumab, il 44,4 per cento di questi pazienti ha ottenuto la risposta ACR20 alla settimana 24, rispetto al 19,8 per cento di chi è stato trattato con placebo. L’efficacia di guselkumab si è manifestata già dalla settimana 4; i tassi di risposta articolare hanno poi continuato a migliorare, con il 57,7 per cento dei pazienti trattati con guselkumab che ha raggiunto la risposta ACR20 ad un anno (settimana 48 – NRI). Analoghi miglioramenti sono stati osservati anche nella funzionalità fisica e nei tassi di risoluzione di entesite e dattilite.

Anche dal punto di vista della sicurezza guselkumab mostra un profilo favorevole, con basse percentuali di eventi avversi che hanno portato all’interruzione del trattamento: a 2 anni la sua tollerabilità è paragonabile a quella riscontrata dopo sei mesi ed in linea con quella rilevata nel trattamento di pazienti con psoriasi a placche da moderata a grave. Ancora in base ai dati dello studio DISCOVER-2, 9 pazienti su 10 che avevano iniziato il trattamento con guselkumab lo utilizzavano ancora dopo 2 anni e, negli studi VOYAGE-1 e VOYAGE-2 per il trattamento della psoriasi a placche, 8 pazienti su 10 erano ancora in trattamento con il farmaco dopo 5 anni.

«Guselkumab rappresenta un trattamento efficace in tutti i domini dell’artrite psoriasica, utile anche per i pazienti “difficult to treat” o con precedente fallimento agli inibitori del TNF alfa, con un profilo di sicurezza favorevole ed un significativo mantenimento della risposta nel tempo, a cui si aggiunge la convenienza di un dispositivo di auto-somministrazione a misura di paziente», sottolinea il Prof. Salvatore D’Angelo, UOC di Reumatologia, Azienda Ospedaliera S. Carlo, Potenza.

Guselkumab è dotato di un meccanismo d’azione peculiare: si lega selettivamente alla subunità p19 della IL-23 e ne inibisce l’interazione con il suo recettore. La subunità p19 è specifica di IL-23, quindi guselkumab ne blocca gli effetti senza influenzare quelli di altre citochine come, per esempio, IL-12 e IL-17 che, a concentrazioni fisiologiche, sono invece, importanti per la difesa verso i patogeni e per il mantenimento dell’integrità di barriera. Ciò significa che anche quando viene inibita l’IL-23, le risposte immunitarie di difesa possono comunque mettersi in atto.

«In Janssen, la ricerca immunologica è sempre stata all’avanguardia», dice Loredana Bergamini, Direttore Medical Affairs Janssen Italia. «Dall’avvento delle terapie biologiche, avvenuto più di 30 anni fa, abbiamo sviluppato il primo anticorpo monoclonale mirato al sistema immunitario, fornendo ai pazienti una soluzione efficace che poteva agire in maniera importante sulla sintomatologia. Abbiamo, quindi, continuato ad ampliare le nostre conoscenze sul processo infiammatorio e, grazie a questo, siamo stati i primi a sviluppare terapie che intercettano nuovi percorsi infiammatori e che possono migliorare sostanzialmente la vita dei pazienti. Le nostre scoperte hanno cambiato la vita di milioni di persone in tutto il mondo e continuiamo a lavorare per cure sempre migliori, capaci di arrestare e persino curare le malattie immuno-mediate», conclude.