Tumore del rene: nuovi dati su pembrolizumab e lenvatinib


Tumore del rene avanzato: la combinazione di pembrolizumab e lenvatinib si è dimostrata efficace a prescindere dallo stato dei biomarcatori

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Nei pazienti con carcinoma a cellule renali avanzato, il trattamento con la combinazione dell’anti-PD-1 pembrolizumab e il farmaco orale lenvatinib ha mostrato di produrre un beneficio clinico indipendentemente dallo stato dei biomarcatori dei paziente, stando ai risultati di un’analisi esplorativa dello studio KEYNOTE-146/111 presentato all’ultimo Genitourinary Cancers Symposium dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO-GU).

«Sebbene deludenti se li si valuta dal punto di vista della ricerca di biomarcatori, i risultati confermano l’efficacia di questa combinazione nelle diverse linee di trattamento», ha detto l’autore principale dello studio, Chung-Han Lee, del Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York.

In un’intervista, Lee ha osservato come con questa combinazione si ottengano alti tassi di risposta e una sopravvivenza libera da progressione (PFS) abbastanza lunga, anche senza stratificare i pazienti in base ai biomarcatori. Pertanto, ha aggiunto, i clinici non devono necessariamente fare ulteriori passaggi per decidere se offrire o meno questo tipo di trattamento ai loro pazienti.

Ricerca sui biomoarcatori ancora agli inizi
L’obiettivo principale dell’analisi era capire se vi sia un’associazione tra gli outcome dei pazienti e i profili di espressione genica generati tramite il sequenziamento dell’RNA e le varianti del DNA per i singoli geni di interesse tramite il sequenziamento dell’intero esoma. Al momento, ha spiegato Lee, la ricerca di buoni biomarcatori predittivi per stratificare i pazienti al fine di indirizzarli a diverse modalità di trattamento è ancora agli inizi.

Lee e i suoi collaboratori hanno esaminato vari biomarcatori genomici e di espressione genica in vari contesti, in gran parte derivati dall’analisi di studi di fase 2 e di fase 3. I dati forse più interessanti sono quelli ricavati da studi di prima linea, ha spiegato l’autore. «È stato dimostrato che ci sono pattern di espressione genica specifici correlati con risultati migliori. Tuttavia, ciò che manca davvero è la capacità di tradurre queste informazioni nella pratica clinica e far si che questo tipo di informazioni indirizzi alcune delle nostre scelte cliniche».

In precedenza, i ricercatori sono riusciti ad analizzare la genomica di pazienti mai trattati prima con l’immunoterapia, scoprendo che un’elevata diversità dell’HLA era correlata a un aumento delle probabilità di risposta alla combinazione pembrolizumab più lenvatinib.

Analisi esplorativa su pazienti già trattati con l’immunoterapia
All’ASCO-GU, Lee e i colleghi hanno presentato un’analisi esplorativa il cui obiettivo era scoprire se questo dato potesse essere traslato nei pazienti già trattati in precedenza con l’immunoterapia.

Lo studio KEYNOTE-146/111 è un trial di fase 1b/2 che ha coinvolto 147 pazienti (età mediana: 60 anni; per il 78,2% maschi e per l’86,5% bianchi), per 80 dei quali (età mediana: 62 anni; 75% maschi; 92,5% bianchi) erano disponibili i dati sul sequenziamento dell’RNA e per 60 (età mediana, 63,5 anni; 78,3% maschio; 90% bianchi) i dati sul sequenziamento dell’intero esoma.

Una percentuale significativa di pazienti era già stata trattata con un farmaco anti-PD-1/PD-L1, sia nella popolazione complessiva (71,4%) sia nel gruppo di pazienti di cui erano disponibili i dati relativi al sequenziamento dell’RNA (87,5%) sia in quello di cui erano disponibili i dati sul sequenziamento dell’intero esoma (88,3%).

Tasso di risposte e PFS simili nei sottogruppi analizzati
Il tasso di risposta obiettiva (ORR) è risultato simile nei tre sottogruppi di pazienti: 63,9% nella popolazione complessiva, 66,2% nel gruppo con i dati sul sequenziamento dell’RNA valutabili e 68,3% in quello con i dati sul sequenziamento dell’intero esoma valutabili.

Anche la PFS mediana ha mostrato numeri comparabili nei gruppi: 14,1 mesi (IC al 95% 11,7-18,6) nella popolazione complessiva, 17,7 mesi sia nel gruppo con i dati sul sequenziamento dell’RNA valutabili (IC al 95% 11,1-19,8) sia nel gruppo con i dati sul sequenziamento dell’intero esoma valutabili (95 % CI, 11,7-22,1). Inoltre, i ricercatori hanno trovato ORR simili anche nei sottogruppi che presentavano varianti di DNA selezionate differenti, tra cui SETD2, BAP1, PBRM1 e VHL.

Per quanto riguarda i passi successivi, Lee ha detto che servono ulteriori analisi per cercare di capire se si possa ottenere un tessuto che rifletta più da vicino la situazione al momento della terapia sistemica e capire se questo risulterà predittivo oppure no. «Vogliamo anche vedere quanto siamo in grado di capire quali sono i cambiamenti a cui va incontro il tumore quando un paziente viene trattato, perché questo potrebbe darci molte informazioni utili per capire con quali terapie bisognerebbe trattare successivamente il paziente stesso» ha concluso Lee.

Fonte
C.H. Lee, et al. Association between biomarkers and clinical outcomes of lenvatinib + pembrolizumab in advanced renal cell carcinoma (RCC): Results from Study 111/KEYNOTE-146. J Clin Oncol. 2022;40(suppl 6):375. Link