Asma: gli inalatori possono impattare sull’ambiente


La lotta al riscaldamento globale e ai mutamenti climatici passa anche dall’uso più consapevole di presidi terapeutici come gli inalatori per l’asma

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La lotta al riscaldamento globale e ai mutamenti climatici passa anche dall’uso più consapevole di presidi terapeutici come i dispositivi utilizzati per il trattamento delle malattie respiratorie croniche, quale l’asma.

Lo dimostra uno studio anglo-italiano che ha mostrato come un maggiore ricorso a inalatori a polvere secca (dry powder inhalers, Dpi) al posto di inalatori spray pressurizzati predosati (pressurized metered dose inhaler, pMdi) si tradurrebbe in significativi benefici ambientali.

Lo scenario attuale
Le emissioni di carbonio (dette anche carbon footprint o impronte di carbonio), contenuto in gas serra liberati dalle attività umane, sono considerate la causa principale del riscaldamento globale associato ai cambiamenti climatici a cui stiamo assistendo in questi ultimi anni (tabella 1).
In base all’accordo raggiunto durante la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP26) tenutasi nel 2021 a Glasgow, i 197 paesi partecipanti si sono impegnati a limitare a 1,5° C il riscaldamento globale, rispetto ai livelli pre-industriali. Per centrare questo obiettivo è necessario garantire significative riduzioni delle emissioni globali di gas serra come anidride carbonica (CO2), protossido di azoto (N2O), metano (CH4) e idrofluorocarburi (HFC), in modo da raggiungere entro il 2050 la cosiddetta “neutralità carbonica”, cioè la condizione in cui si emettono tanti gas serra quanti se ne rimuovono dall’atmosfera.

La carbon footprint può essere calcolata dalla produzione complessiva di gas serra, indicata in “CO2 equivalente” (CO2 eq), un’unità che esprime il potenziale di riscaldamento globale (GWP) dei gas serra rispetto alla CO2.Valori più alti indicano un maggiore potenziale di riscaldamento globale; ad esempio, l’HFC-134a ha un GWP che è 1.300 volte superiore a quello della CO2.

Gli HFC, introdotti come gas propellente nei pMDI in alternativa ai clorofluorocarburi (CFC) banditi dal protocollo di Montreal del 1987, hanno trovato un largo impiego in ambito medico che si è tradotto in emissioni di gas serra cresciute al ritmo dell’8% per anno.

Impatto degli HFC sull’ambiente
Il settore sanitario oggi contribuisce per il 4,4% delle emissioni globali di gas serra e interventi per ridurre gli impatti climatici sono sempre più al centro dei tavoli tecnici dei decisori sanitari in molti paesi, come il Servizio Sanitario Nazionale (NHS) in Inghilterra e il Ministero della transizione ecologica in Italia.
L’uso di inalatori rappresenta il 3% delle emissioni di carbonio secondo stime dell’NHS, la maggior parte delle quali è dovuta ai propellenti contenuti nei pMDI
Nel 2017, l’utilizzo di pMDI è stato responsabile della produzione di circa 850.000 tonnellate di CO2 eq di emissioni nel Regno Unito. Questa cifra è pari all’energia consumata da 98.084 case per 1 anno o al consumo di 1.967.930 barili di petrolio.

Nel mondo ogni anno vengono prodotti circa 800 milioni di pMDI contenenti HFC. Una dose erogata da ciascuno di questi inalatori equivarrebbe a un’emissione di 400 milioni di kg di CO2 che è sovrapponibile alle emissioni dovute alla circolazione per un anno di 86.417 auto o a all’energia necessaria per 51.012.888.857 ricariche di smartphone.

«L’impatto ambientale delle terapie inalatorie è un tema ancora in fase embrionale e così anche la valutazione da parte dei clinici delle possibili implicazioni sul clima di una scelta terapeutica rispetto a un’altra», dice Cristiano Caruso, specialista in allergologia e immunologia clinica, Fondazione Policlinico Gemelli, Roma. «Tuttavia, è un argomento che ci tocca da vicino e ci toccherà ancora di più nei prossimi anni perché saremo sempre più chiamati a una razionalizzazione sia delle risorse sia dell’effetto ambientale».

Inalatori a basso impatto ambientale
I DPI, non richiedendo un gas propellente dato che l’erogazione del farmaco in polvere è determinata dall’inalazione esercitata dal paziente attraverso il dispositivo, sono classificati come “inalatori a basso potenziale di riscaldamento globale”. L’impronta di carbonio dei DPI è 25 volte inferiore rispetto ai pMDI ed è sostanzialmente legata al ciclo produttivo e allo smaltimento. L’NHS inglese prevede di ridurre l’impatto degli inalatori per l’asma sul cambiamento climatico e stima che il passaggio a inalatori a basso contenuto di carbonio porterà a una riduzione del 4% delle emissioni entro il 2025.

Anche se i più moderni pMDI utilizzano HFC-152a, un propellente a minore GWP rispetto al HFC-134a (138 vs 1300 rispettivamente), l’impronta di carbonio giornaliera di un DPI è del 55% inferiore rispetto a questi dispositivi.

Il passaggio da tutti i pMDI a DPI porterebbe a una riduzione del 96% del GWP e alla riduzione dello strato di ozono. «La conoscenza dell’impatto ambientale delle terapie inalatorie diventa un elemento importante nella scelta prescrittiva, non solo per tutelare la salute della collettività in generale, ma anche in modo particolare per quella dei pazienti con patologie respiratorie croniche, alla luce degli effetti infiammatori dovuti alle emissioni di polveri sottili», ricorda Caruso.

Riduzione di emissioni di CO2 in relazione all’uso di un DPI 
Lo studio, condotto da un team di ricerca anglo-italiano, ha voluto stimare la riduzione delle emissioni di CO2 eq relative a indacaterolo acetato/mometasone furoato (IND/MF) e indacaterolo acetato/ glicopirronio bromuro/ mometasone furoato (IND/GLY/MF) somministrati una volta al giorno tramite il DPI Breezhaler® per il trattamento dell’asma moderato-grave non sotto controllo. Nell’analisi, i due trattamenti sono stati confrontati con gli inalatori esistenti nel Regno Unito e in Italia per un periodo di 5 anni.

I valori di emissione di CO2 eq per il dispositivo Breezhaler® + IND/GLY/MF o IND/MF e per i comparatori sono stati ottenuti rispettivamente da una analisi di valutazione del ciclo di vita del device (dalle materie grezze fino allo smaltimento) e dalla letteratura pubblicata.
Altri punti esaminati includevano la quota di mercato dei farmaci considerati, la prevalenza della malattia e il dosaggio dei farmaci. La quantità di risparmio nelle emissioni di CO2 eq è stata tradotta in esempi di attività quotidiane al fine di stimare che cosa sarebbe necessario per compensare l’impatto delle emissioni di carbonio.

Risultati
Ipotizzando una quota di mercato del 10% nei prossimi 5 anni, l’uso di IND/GLY/MF Breezhaler® comporterebbe la riduzione di circa 4,9 milioni e 0,8 milioni di Kg di emissioni di CO2 eq nel Regno Unito e in Italia rispettivamente, che equivalgono a circa 2 milioni di litri e 300.000 litri di consumo di benzina nei due paesi rispettivamente. La riduzione delle emissioni di carbonio equivarrebbe anche alla piantumazione di circa 40.000 e 6.600 nuovi alberi rispettivamente nel Regno Unito e in Italia.
I benefici ambientali legati al livello di emissioni di CO2 eq si sono dimostrati simili per IND/GLY/MF Breezhaler® e IND/MF Breezhaler® nel Regno Unito (tabella 2).

La carbon footprint nell’ambiente per IND/GLY/MF Breezhaler® e IND/MF Breezhaler® è diverso per l’Italia a causa delle differenze nelle dimensioni della popolazione target (tabelle 3).



Conclusioni

Nelle conclusioni gli autori sottolineano come un maggiore utilizzo del DPI Breezhaler® consentirebbe di ottenere benefici ambientali sia nel Regno Unito sia in Italia.
Alcune società scientifiche in ambito respiratorio hanno d’altronde già recepito l’importanza di considerare gli effetti sull’ambiente prodotti dagli inalatori. La British Thoracic Society (BTS), ad esempio, ha inserito nelle sue raccomandazioni alla classe medica aspetti legati alla tutela ambientale. In particolare, la BTS raccomanda di:
• utilizzare un DPI in caso di avvio di una nuova terapia inalatoria;
• suggerire ai pazienti alternative a basso tenore di emissioni di carbonio in occasione di visite di revisione della terapia inalatoria;
• insegnare a ottimizzare la tecnica di inalazione

I dati emersi dalle analisi condotte, come lo studio anglo-britannico descritto, possono inoltre aiutare a informare le discussioni politiche e incoraggiare i decisori a considerare l’impatto ambientale del tipo di inalatore per le malattie respiratorie come l’asma.

«La considerazione dell’impatto ambientale di un device per una terapia inalatoria deve essere comunque sempre accompagnata a quella relativa all’aderenza terapeutica», sottolinea Caruso. «La mancanza di una adeguata aderenza non solo non consente il monitoraggio dell’andamento e del miglioramento del paziente nel follow-up, ma espone il paziente al rischio di diventare un frequente riacutizzatore, con il peggioramento di una malattia che diventa ancora più difficile da controllare».

Il ricorso a device che non immettono nell’ambiente sostanze nocive pro-infiammatorie a livello delle vie aeree, insieme alla corretta aderenza terapeutica sono dunque due elementi importanti di un circolo virtuoso che consentirebbe un miglior controllo della patologia respiratoria negli anni».

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Questo studio è stato realizzato con il contributo educazionale di Novartis Pharma che ha supportato anche la sua divulgazione a mezzo web.