Sindrome di Brown-Vialetto-Van Laere: novembre mese di sensibilizzazione


Sindrome di Brown-Vialetto-Van Laere: tutto il mese di novembre è dedicato a promuovere una maggior consapevolezza di questa malattia rara

malattie rare

Una delle principali problematiche per le persone colpite dalla sindrome di Brown-Vialetto-Van Laere – nota anche come deficit del trasportatore della riboflavina (RTD) – è la ridotta quantità di informazioni disponibili sulla patologia. I pazienti restano senza diagnosi per anni perché la condizione è poco conosciuta anche nella comunità medica. La fondazione Cure RTD, grazie alla giornata di oggi, che si inserisce nel mese dedicato alla malattia, punta ad aumentare, tra medici e cittadini, la consapevolezza della RTD, delle sfide che pone e delle speranze dei pazienti per il futuro.

IL DEFICIT DEL TRASPORTATORE DELLA RIBOFLAVINA

La RTD è una malattia neurodegenerativa grave e molto rara, con 214 pazienti confermati tra il 2010 e il 2019 (Dati: Cure RTD). A volte confusa con altre patologie neurodegenerative più comuni a causa dei sintomi simili, colpisce le cellule nervose motorie e sensoriali e gradualmente ne causa il deterioramento, portando a debolezza e atrofia dei muscoli e togliendo alle persone la capacità di sentire, vedere, muoversi, camminare, mangiare e respirare. Nonostante gli effetti fisicamente devastanti della malattia, le capacità mentali rimangono intatte. Il problema nasce perché gli individui colpiti da RTD hanno difficoltà ad assorbire la vitamina B2 (o riboflavina), specialmente a livello del cervello. Il trattamento quotidiano con alte dosi di vitamina B2, molecola essenziale per il normale metabolismo, ha mostrato buoni risultati nello stabilizzare o rallentare la progressione della RTD, ma sono necessarie nuove strategie terapeutiche più efficaci e proseguire la ricerca è fondamentale.

L’esordio della RTD può avvenire dalla prima infanzia fino all’età adulta, con una manifestazione più severa della malattia in giovane età. La gravità dei sintomi è variabile, così come il tasso di progressione della patologia: se non trattata, può essere fatale a causa dei gravi danni irreversibili a carico delle cellule del cervello. La sindrome è collegata a mutazioni nei geni SLC52A1SLC52A2 e SLC52A3, che codificano per proteine di membrana note come trasportatori di riboflavina e che sono responsabili delle tre forme in cui la malattia si manifesta. Le varianti più comuni, il tipo 2 e il tipo 3, sono causate rispettivamente dai geni SLC52A2 e SLC52A3. La perdita di funzione del trasportatore di riboflavina provoca una carenza di vitamina B2 in diversi tessuti e, poiché questa molecola svolge un ruolo importante nel funzionamento dei mitocondri, la disfunzione porta alla neurodegenerazione tipica della RTD. La diagnosi si basa sull’osservazione clinica e sull’analisi dei geni che codificano per i trasportatori della riboflavina; se sono noti casi familiari, si può fare anche la diagnosi prenatale.

COMPRENDERE LA MALATTIA PER TROVARE TERAPIE EFFICACI

La terapia con riboflavina è stata introdotta nel 2010 e ha cambiato la storia clinica di molti pazienti con RTD ma non rappresenta una cura definitiva, e la degenerazione causata dalla malattia non può essere recuperata. Per questo motivo, l’obiettivo di medici e ricercatori è quello di arrivare a una terapia in grado di migliorare significativamente la condizione delle persone colpite da questa patologia.

Da anni, la fondazione Cure RTD è impegnata a promuovere la ricerca scientifica sulla sindrome di Brown-Vialetto-Van Laere, allo scopo di approfondire i meccanismi biologici alla base della malattia. Tra gli studi finanziati dalla Fondazione c’è quello recentemente condotto all’Ospedale Bambino Gesù di Roma: la ricerca, guidata dal Prof. Enrico Silvio Bertini e dalla dott.ssa Claudia Compagnucci, ha messo in evidenza il valore aggiunto della somministrazione di antiossidanti in associazione alla supplementazione di riboflavina negli individui affetti da RTD. I risultati sono stati ottenuti lavorando sulle cellule staminali ottenute dai fibroblasti dei pazienti per studiare i motoneuroni. Grazie a questo e ad altri studi in corso, la speranza è quella di aprire la strada a nuovi futuri trattamenti per la patologia.

FONTE: OSSERVATORIO MALATTIE RARE