I batteri spiegano il metano sulla luna Encelado


I processi geochimici che si verificano nel cuore della luna Encelado di Saturno non possono spiegare da soli i livelli di metano misurati dalla sonda Cassini

luna encelado

Durante i suoi 13 anni di attività scientifica, la sonda della missione Cassini-Huygens – una collaborazione tra la Nasa, l’Esa e l’Asi – ha fornito informazioni senza precedenti sul sistema di Saturno, in particolare sulla piccola luna ghiacciata Encelado. Le osservazioni condotte dal veicolo spaziale durante i diversi sorvoli del satellite hanno confermato l’esistenza di un oceano sotterraneo di acqua liquida e di giganteschi pennacchi, geyser che fuoriescono dalle “strisce di tigre” (tiger stripes, in inglese) e che, alimentati dal suddetto oceano, sparano nello spazio circostante grani di ghiaccio e vapore acqueo a centinaia di km al secondo.

Volando attraverso questi pennacchi e campionando la loro composizione chimica, Cassini ha rilevato la presenza di alcune interessanti molecole, quali l’idrogeno molecolare o diidrogeno (H2) – interpretato come una firma dell’attività idrotermale della luna – l’anidride carbonica (CO2) e il metano (CH4), quest’ultimo trovato in quantità inaspettate.

Nelle profondità marine del nostro pianeta, il metano si può formare attraverso due principali processi. Il primo, di natura non biologica, è una reazione acqua-roccia che si verifica vicino a sorgenti idrotermali, producendo la molecola a partire dall’idrogeno molecolare e dall’anidride carbonica. Serpentinizzazione: così chiamano il processo geologico gli addetti ai lavori. Secondo alcuni studi, qualcosa di simile nell’oceano di Encelado potrebbe aver portato alla formazione del metano.

Il secondo processo chiama in causa sempre l’attività idrotermale, ma in questo caso il metano è di origine biologica. Alcune sorgenti idrotermali terrestri sono infatti note per essere habitat di batteri ancestrali che sono in grado di convertire idrogeno molecolare e anidride carbonica in metano attraverso un processo noto come metanogenesi. È possibile che simili organismi popolino l’oceano liquido di Encelado? E, se fossero presenti, la loro attività generatrice di metano potrebbe spiegare le quantità misurate dalle osservazioni della sonda Cassini?

Ha provato a rispondere a queste domande un team di ricercatori della University of Arizona e della Université Paris Sciences et Lettres, integrando modelli matematici di processi geofisici, geochimici e biologici all’interno di un quadro statistico bayesiano. In primo luogo, i ricercatori hanno valutato se la produzione idrotermale di idrogeno molecolare su Encelado è tale da fornire abbastanza “cibo” per sostenere una eventuale popolazione di batteri metanogeni. Lo hanno fatto sviluppando un modello per lo studio della dinamica di popolazione di un ipotetico batterio, la cui nicchia, in termini di temperature ed energia, è stata modellata su quella nota di ceppi terrestri. Gli autori hanno quindi  esaminato quale effetto avrebbe questa ipotetica comunità microbica sull’ambiente di Encelado, ad esempio sui tassi di fuga del diidrogeno e del metano nei pennacchi.

«Con questi modelli non solo possiamo valutare se le osservazioni di Cassini sono compatibili con un ambiente abitabile per la vita, ma potremmo anche fare previsioni quantitative sui dati osservativi attesi nel caso in cui la metanogenesi dovesse effettivamente verificarsi sul fondale oceanico di Encelado», spiega Regis Ferriere della University of Arizona, coautore dello studio pubblicato questa settimana su Nature Astronomy.

Andiamo ai risultati. Anche la più alta stima possibile della produzione di metano con processi non biologici, basati sulla chimica idrotermale della serpentinizzazione, è lontana dall’essere sufficiente per spiegare la concentrazione di metano misurata da Cassini nei pennacchi. La metanogenesi biologica potrebbe tuttavia produrre una quantità di metano addizionale tale da spiegare i dati, spiegano i ricercatori.

«Ovviamente non stiamo concludendo che nell’oceano di Encelado esista la vita», precisa Ferriere. «Piuttosto, volevamo capire quanto fosse probabile che le sorgenti idrotermali di Encelado potessero essere abitate da microrganismi simili a quelli presenti sulla Terra: secondo i nostri modelli, i dati di Cassini ci dicono che questa probabilità è alta».

«In altre parole, non possiamo scartare l’ipotesi della vita come altamente improbabile», conclude Ferriere. «Per escluderla abbiamo bisogno di più dati dalle future missioni».

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