Nuove scoperte sul raffreddamento dei getti dei lampi gamma


Pubblicato su Nature Communications uno studio che pone nuova luce sui processi di raffreddamento nei getti dei lampi gamma

Pubblicato su Nature Communications uno studio che pone nuova luce sui processi di raffreddamento nei getti dei lampi gamma

Quali sono i processi che determinano il raffreddamento delle particelle relativistiche nei lampi gamma, dando origine alla tipica diminuzione rapida del flusso che accompagna l’esplosione iniziale? A dare una convincente risposta a questa domanda arriva oggi il lavoro di un gruppo di ricercatori del Gran Sasso Science Institute (Gssi), in collaborazione con colleghi dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) in cui viene presentata una relazione che accomuna diversi lampi gamma (o Grb, Gamma-Ray Burst in inglese) durante una fase di transizione del fenomeno denominata “steep decay” (decadimento rapido). L’unicità di tale relazione ha spinto il gruppo ad andare alla ricerca di un processo universale che potesse darne una corretta interpretazione. Lo studio è stato pubblicato oggi sulla rivista Nature Communications.

I lampi gamma sono considerati tra gli eventi più catastrofici ed energetici dell’Universo poiché possono rilasciare in poche frazioni di secondo l’intera energia emessa da una stella come il Sole durante tutta la sua vita. La scoperta di supernove e di onde gravitazionali associate a lampi gamma ha confermato che alcuni di questi fenomeni sono il prodotto del collasso di una stella massiccia, e altri della fusione di due stelle di neutroni.  Noti fin dagli anni ‘60, la loro natura è rimasta dibattuta fino all’avvento del Neil Gehrels “Swift” Observatory, un osservatorio in orbita dal 2004 dedicato alla rilevazione, localizzazione e caratterizzazione dei Grb. Dopo anni di osservazioni in diverse bande dello spettro elettromagnetico, dalle onde radio ai raggi gamma, oggi sappiamo che i Grb sono prodotti da getti di energia e materia lanciati da un buco nero che si espandono a velocità prossime a quelle della luce. Le particelle trasportate dal getto vengono accelerate attraverso onde d’urto o in regioni di riconnessione magnetica, convertendo l’energia cinetica (o magnetica) in radiazione elettromagnetica, che tipicamente ha il suo picco nei raggi gamma. Successivamente il getto emette radiazione a più basse frequenze nell’incontro e interazione con il mezzo interstellare, dando origine alla cosiddetta fase di afterglow, che può protrarsi da minuti, ore fino a mesi dopo il lampo gamma iniziale. Il decadimento rapido (steep decay) segna il limite di demarcazione tra la conclusione della fase iniziale impulsiva, dove viene rilasciata gran parte della radiazione di alta energia, e l’inizio dell’afterglow. La sua caratteristica rapidità di decadimento in flusso è generalmente associata alla geometria curva della superficie del getto al cui interno le particelle vengono accelerate per poi dissipare la propria energia sotto forma di radiazione.

Tuttavia, questo scenario, da tempo accettato dalla comunità scientifica per interpretare lo steep decay, fallisce nel riprodurre la relazione spettrale trovata dal team di ricerca. L’evidenza osservativa ha quindi imposto una modifica di paradigma per l’interpretazione teorica e la soluzione è stata trovata assumendo un raffreddamento adiabatico delle particelle. Per raffreddamento si intende il processo attraverso il quale le particelle perdono la loro energia iniziale, mentre il termine adiabatico si riferisce all’espansione del volume che contiene le particelle, il quale non scambia calore con l’ambiente esterno.

«Iniziai ad accorgermi che stavamo osservando qualcosa di unico quando nell’analisi dei dati continuavo a trovare questa forte evoluzione spettrale, indipendente dalle caratteristiche dei lampi gamma. Da lì abbiamo iniziato ad intuire la potenzialità del risultato», dice Samuele Ronchini, studente al terzo anno di dottorato del Gssi. «Mettere in discussione modelli ben radicati nella comunità scientifica non è certo semplice e portare avanti questo lavoro è stata una responsabilità significativa. Tuttavia la perseveranza, la competenza e l’appoggio di tutto il gruppo di ricerca hanno permesso di arrivare fino in fondo e di ottenere i risultati sperati». Tale risultato ha un profondo impatto sulla comprensione dei processi di emissione e raffreddamento delle particelle accelerate nei Grb.

«La dominanza del processo adiabatico indica che le particelle non riescono a dissipare efficacemente la propria energia, dando preziose informazioni sulle proprietà fisiche del getto relativistico, come l’evoluzione del campo magnetico nel sito di accelerazione, nonché sulla natura delle stesse particelle», spiega Gor Oganesyan, ricercatore postdoc presso il Gssi e secondo autore dell’articolo. «In particolare, abbiamo capito che per riprodurre i dati osservati è necessario un blando decadimento del campo magnetico, assieme al raffreddamento adiabatico».

Inoltre, la dissipazione inefficiente di energia delle particelle accelerate potrebbe suggerire che siano i protoni, e non gli elettroni, a emettere radiazione tramite processo di sincrotrone. «I Grb sono particolarmente difficili da studiare», conclude Om Sharan Salafia dell’Inaf a Milano, co-autore dello studio, «perché, nonostante abbiano alcune caratteristiche distintive, sono estremamente diversi l’uno dall’altro. Trovare dei tratti comuni e universali, come in questo caso, è la chiave per unificarli e capire i processi fisici che li producono».

Futuri osservatori in banda X a largo campo di vista in grado di monitorare l’intera evoluzione dei Grb fin dai primi istanti dall’esplosione saranno cruciali per comprendere a fondo il risultato trovato estendendo il lavoro ad un campione più ampio e in altre bande dello spettro. «La comprensione dei meccanismi alla base di questi eventi catastrofici è di primaria importanza anche nel contesto dell’astronomia multimessaggera», sottolinea Marica Branchesi, professore ordinario al Gssi e e coautrice del lavoro. «Lo studio combinato di onde gravitazionali e radiazione elettromagnetica associate ai Grb potrà in futuro chiarire molte questioni aperte legate alla natura degli oggetti compatti che li generano, alla loro distribuzione su scale cosmologiche, nonché alla fisica dei getti e all’accelerazione di particelle al loro interno».

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