Epatite C: 300mila italiani non sanno di averla


Epatite C in Italia: esiste un cospicuo sommerso di individui infetti. Si stima che tra le 200 – 300 mila persone siano ancora ignare del loro stato di infezione da Hcv

Epatite C in Italia: esiste un cospicuo sommerso di individui infetti. Si stima che tra le 200 – 300 mila persone siano ancora ignare del loro stato di infezione da Hcv

Rappresentanti delle società scientifiche, tra cui l’Associazione Italiana per lo Studio del Fegato AISF, la Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali SIMIT, la Società Italiana di Medicina Generale e delle cure primarie SIMG, la Federazione Italiana degli Operatori dei Dipartimenti e dei Servizi delle Dipendenze FeDerSerd, la Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria SIMSPe, la Società Italiana delle Patologie da Dipendenza SiPaD, la Società Italiana di Health Tecnology Assesment SiHTA, l’Associazione dei pazienti EpaC Onlus e rappresentanti delle istituzioni assieme per valutare “Il posizionamento dell’Italia nella corsa per l’eliminazione dell’epatite C” e per rilanciare un forte messaggio: “L’eliminazione dell’Hcv entro il 2030 sarà possibile solo se si interverrà ora!”.

L’incontro è stato patrocinato dall’Istituto Superiore di Sanità, da SIMIT, FeDerSerd, SIMSPe e SIPaD e realizzato con il contributo non condizionato di Gilead Science.

L’eliminazione dell’ epatite virale è un obiettivo comune di tutti i Paesi del mondo. L’argomento risulta già inserito nell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite. Nel maggio 2016 anche l’Oms, approvando la strategia per il settore sanitario globale, ha suggerito l’eliminazione dell’epatite virale, considerata una minaccia per la salute pubblica, entro il 2030.

Anche di questo ha trattato l’evento che è stato introdotto dai saluti istituzionali dell’onorevole Elena Carnevali e dei colleghi della Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati, gli onorevoli Fabiola Bologna e Claudio Pedrazzini, e dal direttore generale della prevenzione presso il Ministero della Salute, Giovanni Rezza.

“È nostro compito utilizzare al meglio e presto le opportunità offerte dall’introduzione dello screening per l’epatite C su scala nazionale  affinché non vengano mai meno i vantaggi terapeutici dei farmaci antivirali recuperando l’attuale “sommerso” che dobbiamo intercettare e arruolare alla cura – sottolinea l’onorevole Elena Carnevali, che aggiunge – Siamo l’unico Paese al mondo che, grazie a un fondo dedicato allo screening per l’Hcv inserito nel recente emendamento al Decreto Milleproroghe, ha messo a disposizione degli stanziamenti: esattamente 71,5 milioni di euro per gli anni 2020 e 2021. Le istituzioni continueranno ad impegnarsi affinché il Piano messo in atto sia garantito in modo uniforme ed efficace in tutte le regioni”.

Ma eliminare il virus significa, però, essere in grado di diagnosticare almeno il 90% degli infetti e trattare almeno l’80% dei diagnosticati da qui a tale data. L’Italia, grazie alla politica del trattamento universale dell’infezione, è stata considerata, tra i 12 Paesi capaci di raggiungere l’importante risultato.

“Serve una netta riduzione dei portatori di epatite C – spiega Loreta Kondili, medico ricercatore, responsabile scientifico della piattaforma Piter presso il Centro Nazionale per la Salute Globale dell’Istituto Superiore di Sanità – L’Italia è un paese che può raggiungere l’eliminazione entro il 2030 ma deve ancora superare delle barriere rilevanti. Bisogna muoversi subito con l’ampliamento delle campagne di screening iniziando con la popolazione nata tra 1969-1989. Occorre individuare tutti gli individui che fanno o hanno fatto uso di sostanze stupefacenti e i detenuti, quindi successivamente coprire anche la popolazione nata tra 1948 al 1968 e aumentare la conoscenza tra gli operatori sanitari oltre a sviluppare delle campagne di sensibilizzazione della popolazione” – sottolinea l’esperta.

Esiste, infatti, un cospicuo sommerso di individui infetti. Si stima che tra le 200 – 300 mila persone siano ancora ignare del loro stato di infezione da Hcv e altri circa 80mila che hanno un danno avanzato del fegato ma che ancora non hanno eliminato il virus. I principali fattori di rischio per l’infezione sono l’uso si sostanze stupefacenti attuale o anche pregresso, i trattamenti estetici a rischio, tatuaggi e piercing effettuati soprattutto in passato in condizioni igieniche non adeguate, interventi chirurgici o microchirurgici, trattamenti dentari effettuati nel passato quando ancora non esisteva una profonda conoscenza del virus.

“Nella lotta alle malattie infettive, non esistono passaporti e non esistono documenti d’identità bisogna dare l’opportunità a tutti senza lasciare nessuno indietro”   spiega Massimo Andreoni, direttore scientifico della Società Italiana Malattie Infettive e Tropicali, Simit – Le Regioni devono organizzarsi al proprio interno affinché tutta la popolazione possa essere raggiunta in maniera capillare creando dei percorsi diagnostico terapeutici che possano permettere di gestire tutto e non solo lo screening che è certamente il primo passo nella prevenzione”.

“Come indicato dalle società scientifiche e dall’Aisf in particolare – aggiunge Mario Masarone, membro del comitato direttivo dell’Associazione Italiana per lo Studio del Fegato – per raggiungere l’obiettivo dell’eliminazione dell’epatite C bisogna tracciare percorsi assolutamente semplificati al fine di garantire lo screening ma anche la diagnosi e la cura. Per quanto riguarda le popolazioni chiave il sistema va organizzato in modo che una carenza specialistica non incida sulla capacità di presa in carico. A tutti i livelli, in particolare, è richiesto di semplificare la presa in cura attraverso percorsi diagnostico terapeutici adeguati per ogni bacino che contiene pazienti diagnosticati ma non curati”.

“Con la pandemia da Covid 19 si è verificato un arresto alla “corsa” all’eliminazione dell’epatite C – ha spiegato durante uno dei suoi interventi Loreta Kondili, per poi sottolineare – Nel 2019 il numero dei pazienti trattati è diminuito e si è quasi interrotto nel 2020 proprio a causa dell’emergenza in atto. Si è stimato che rinviare i trattamenti per 6 mesi in Italia determinerà, a 5 anni, la morte di oltre 500 pazienti per una condizione correlata alle malattie del fegato. Se l’Italia non promuoverà lo screening attivo, già si prevede che la percentuale di persone infette, che vengono diagnosticate e trattate, si esaurirà tra il 2023 e il 2025, con il risultato che un certo numero di individui infetti non sarà diagnosticato e rimarrà senza cure”.

“Una recentissima analisi ha riguardato i benefici in termini di vite umane e il ritorno, anche da un punto di vista economico, per la società qualora la campagna di screening e diagnosi proceda nella maniera dovuta. Per 1000 pazienti diagnosticati e trattati, in 20 anni si andrebbero a prevenire oltre 600 eventi clinici infausti, a partire da episodi di cancro del fegato, con un risparmio per il Sistema Sanitario Nazionale di oltre 65 milioni di euro” – sottolinea Francesco Saverio Mennini, presidente Sihta. “E’ necessaria la costruzione di una rete di servizi che includa i medici di medicina generali, i laboratori di riferimento e la medicina specialistica ospedaliera, tutti interconnessi, ovviamente, tra loro – spiega Marcello Tavio, presidente Simit – E’ importante istituire una cabina di regia che coordini le azioni ai fini dell’eliminazione sfruttando le opportunità innovative insegnate dalla pandemia da Sars Cov-2”.

È indispensabile scoprire il sommerso all’interno dei Servizi per le Dipendenze, al sistema carcerario, ma anche implementare programmi specifici di microeliminazione nelle popolazioni a rischio, come gli uomini che hanno rapporti sessuali con uomini e le lavoratrici del sesso. I migranti anche quelli privi di documenti, dovrebbero essere sottoposti a screening che deve essere seguito da un rapido collegamento alla cura. Servirà, infine, programmare e organizzare interventi specifici per la prevenzione dell’epatite C in queste popolazioni chiave in tutte le regioni per ridurre la prevalenza dell’infezione e il rischio di trasmissione.
“L’eliminazione dell’epatite C’è un dovere per la sanità e un diritto per l’individuo”, è stato da ultimo sottolineato nel corso dell’evento che ha registrato anche le voci di Lucia Craxi, dell’Università di Palermo, membro del Comitato scientifico del Centro interdipartimentale di Ricerca Migrare, di Ivan Gardini, presidente di EpaC Onlus, e di Stefano Pieralli del consiglio direttivo dell’associazione Plus Opengroup.

Sui tanti argomenti trattati, le associazioni dei pazienti e le società civili chiedono alla politica di continuare a mantenere alta l’attenzione sull’obiettivo dell’eliminazione dell’infezione da epatite C e alle Regioni piani efficienti mentre ai decisori e ai coordinatori di utilizzare appieno le risorse stanziate per gli screening. Il raggiungimento del traguardo tra screening e diagnosi deve essere considerato solo un punto dipartenza, all’efficienza degli screening deve corrispondere un rapido avviamento dei pazienti al trattamento.