Come nascono i buchi neri supermassicci: una nuova teoria


Un nuovo studio teorico propone un modello alternativo per spiegare come sia possibile formare i buchi neri supermassicci osservati nell’universo primordiale

Immagine del buco nero al centro della galassia M87 in luce polarizzata

I buchi neri supermassicci  (Smbh), sono buchi neri che “pesano” da milioni a miliardi di volte il Sole. La Via Lattea ospita un Smbh con una massa di alcuni milioni di soli. Le osservazioni astrofisiche più profonde – ricordiamo che nell’universo lontano nello spazio equivale a indietro nel tempo – mostrano che questi oggetti estremi esistevano già quando l’universo era molto giovane: buchi neri con masse un miliardo di volte quella del Sole sono stati trovati quando l’universo aveva solo il 6 per cento della sua età attuale, 13.7 miliardi di anni fa. Come hanno fatto a formarsi oggetti così massicci in così poco tempo?

Uno studio teorico recentemente pubblicato su Apj Letters propone una nuova spiegazione: il seme di un buco nero massiccio potrebbe essere prodotto dal collasso di un alone di materia oscura autointeragente.

Facciamo un passo indietro e affrontiamo la questione con ordine. La perplessità dei fisici nasce dal fatto che vedere un Smbh nell’universo primordiale è un po’ come incontrare un bambino di 5 anni che pesa 100 chili. Rimarremmo certamente a bocca aperta, non tanto per il peso in sé, quanto per la complessità nell’assemblarlo, questo peso. Cercheremmo infatti di dare una spiegazione basandoci sulle nostre conoscenze riguardo il peso tipico di un neonato e il tasso di crescita medio di un bambino negli anni. Nel caso dei buchi neri, i fisici hanno conoscenze preliminari circa il seme (black hole seed) che lo genera, e sul suo tasso di crescita. La presenza di oggetti come quelli osservati nell’universo bambino suggerisce che queste aspettative generali vanno riviste.

«Ci vuole tempo perché i buchi neri diventino massicci accrescendo la materia circostante», spiega Yi-Ming Zhong, ricercatore presso il Kavli Institute for Cosmological Physics all’Università di Chicago e coautore dello studio. «Il nostro articolo mostra che se la materia oscura interagisce con sé stessa, allora il collasso gravotermico di un alone può portare a un buco nero abbastanza massiccio. E il suo tasso di crescita sarebbe più coerente con le aspettative generali».

L’alone di materia oscura del quale si sta parlando è una sorta di tana gravitazionale generata, appunto, da addensamenti di materia oscura, nella quale si formano tutte le strutture cosmiche, come galassie e ammassi di galassie. Se la materia visibile – o barionica – di una galassia non fosse incorporata in un alone di materia oscura, questa materia si disperderebbe.

Tornando al problema dei Smbh, finora i ricercatori hanno cercato di spiegare la nascita di questi oggetti attraverso il collasso del gas primordiale nelle protogalassie. Questo meccanismo, tuttavia, non può produrre un buco nero abbastanza massiccio come quelli osservati – a meno che esso non abbia avuto un tasso di crescita estremamente veloce.

Vediamo ora la soluzione proposta nel nuovo studio. Innanzitutto, le particelle di materia oscura si raggruppano sotto l’influenza della gravità e formano un alone di materia oscura. Durante l’evoluzione dell’alone operano due forze concorrenti: gravità e pressione. La prima tira le particelle di materia oscura verso l’interno, la seconda le spinge verso l’esterno. Se le particelle della materia oscura non hanno auto-interazioni, mentre la gravità le tira verso il centro dell’alone diventano più calde, si muovono più velocemente, la pressione aumenta, e finiscono per rimbalzare indietro. Nel caso in cui invece esse interagissero fra loro, sarebbe possibile trasferire il calore dalle particelle più calde a quelle vicine più fredde e impedire così l’azione di rimbalzo della pressione. Sarebbe quindi l’alone centrale stesso a collassare in un buco nero.

Ma non finisce qui, perché gli autori sostengono anche che tale alone ruoti su sé stesso, e che le auto-interazioni possano provocare una viscosità, o “attrito”, che dissipa il momento angolare. Durante il processo di collasso l’alone centrale, che ha una massa fissa, si riduce di raggio e rallenta la rotazione a causa della viscosità, raggiungendo alla fine uno stato di singolarità: il seme di un buco nero. A questo punto, il seme diventa sempre più massiccio accrescendo la materia barionica circostante come il gas e le stelle.

«Il vantaggio del nostro scenario è che la massa del buco nero del seme può essere alta poiché proviene dal collasso di un alone di materia oscura”, spiega Hai-Bo Yu, professore associato di fisica e astronomia alla University of California Riverside e primo autore dello studio. «Così, può crescere in un buco nero supermassiccio in un tempo relativamente breve».

Fino a qui, sembra che la chiave di questo risultato sia il collasso degli aloni. In verità, sottolineano gli autori, la vera novità è il ruolo fondamentale svolto dai barioni, senza i quali l’idea non funzionerebbe. La loro presenza può infatti accelerare significativamente l’inizio del collasso gravotermico di un alone e dare origine a un buco nero relativamente presto.

Quanto alla materia oscura auto-interagente, sembra che questa proprietà possa fornire una buona spiegazione anche al moto osservato di stelle e gas nelle galassie.

«In molte galassie, stelle e gas dominano le regioni centrali», conclude Yu. «Così, è naturale chiedersi come la presenza di questa materia barionica influenzi il processo di collasso. Con questo studio, possiamo dimostrare che essa accelera l’inizio del collasso. Questa caratteristica è esattamente ciò di cui abbiamo bisogno per spiegare anche l’origine dei buchi neri supermassicci nell’universo primordiale. Le auto-interazioni inducono anche la viscosità che può dissipare il momento angolare dell’alone centrale e aiutare ulteriormente il processo di collasso».

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