Fda approva terapia cellulare per il diabete


Terapia cellulare per il diabete di tipo 1: profilo rischio-beneficio favorevole per l’agenzia statunitense Fda

Terapia cellulare per il diabete di tipo 1: profilo rischio-beneficio favorevole per l'agenzia statunitense Fda

Un comitato consultivo della Fda ha concluso che, per alcuni pazienti con diabete di tipo 1 difficile da controllare, la terapia cellulare sperimentale donislecel ha dimostrato un profilo rischio-beneficio favorevole, aumentando l’indipendenza dall’insulina e riducendo il numero di eventi ipoglicemici gravi. La decisione si è basata sui risultati combinati di due studi.

«Non c’è niente che i pazienti diabetici gradiscono di più che liberarsi dalla necessità di assumere insulina» ha affermato Sandy Feng, professore presso il dipartimento di chirurgia presso l’Università della California, San Francisco, e membro del Cellular, Tissue and Gene Therapies Advisory Committee della Fda, deputato alla valutazione della terapia cellulare. «Penso che questa terapia possa aiutare alcuni pazienti e che sarà incredibilmente significativa per quanti ne avranno accesso».

Nonostante 12 su 16 membri del comitato abbiano riconosciuto il valore clinico di donislecel, alcuni hanno espresso preoccupazione per i potenziali rischi associati all’immunosoppressione a lungo termine e le dimensioni della popolazione che potrebbe beneficiare della terapia. Hanno suggerito che, in caso di approvazione per la commercializzazione, la Fda dovrebbe richiedere degli studi post-marketing per monitorare la sicurezza del trattamento.

Infatti, anche se il trapianto di cellule insulari è meno invasivo di un trapianto di pancreas intero, i rischi della procedura includono possibili danni al fegato, alla cistifellea e ai vasi sanguigni intra-addominali. Inoltre il regime immunosoppressivo può aumentare il rischio di una serie di eventi avversi, come infezioni, tumori, disturbi neurologici, anemia ed eventi gastrointestinali.

«Ho votato a favore con una certa riluttanza» ha dichiarato Ellen Leschek, direttrice del programma della divisione diabete, endocrinologia e malattie metaboliche del National Institute of Digestive and Kidney Diseases. «Perché alcuni pazienti potrebbero trarre beneficio da questa terapia, ma mi preoccupa che in troppi possano optare per questo trattamento quando, per molti di loro, i rischi di una immunosoppressione a lungo termine supererebbero i benefici».

Una opzione per il diabete di tipo 1 “fragile”
Nel 2017 la Fda ha concesso la designazione di farmaco orfano a donislecel per il trattamento di adulti con diabete di tipo 1 fragile (un sottoinsieme della malattia caratterizzato da una forma particolarmente refrattaria di carenza di insulina completa in cui i pazienti hanno spesso ampie oscillazioni nei livelli ematici di glucosio nel sangue) i cui sintomi non sono adeguatamente controllati dal trattamento insulinico intensivo.

La terapia è costituita da cellule insulari isolate dal pancreas di un donatore deceduto. Una volta coltivate, vengono trapiantate mediante infusione nella vena porta epatica tramite un accesso transepatico percutaneo o transvenoso o, se non fattibili, tramite accesso laparoscopico o chirurgico classico a cielo aperto. Ogni paziente può ricevere fino a tre lotti di cellule insulari durante il trattamento.

Il meccanismo alla base di questo processo coinvolge le cellule β pancreatiche, che sono in grado di ripristinare la produzione di insulina endogena, e le cellule α pancreatiche, che producono glucagone e che aiutano nella regolazione della risposta all’ipoglicemia.

Pochi trattamenti per il diabete fragile
Per i circa 80mila adulti americani che si stima abbiano il diabete di tipo 1 fragile, i trattamenti attualmente disponibili includono il trapianto completo di pancreas (con o senza un concomitante trapianto renale) o la terapia insulinica, che può presentarsi sotto forma di iniezioni multiple giornaliere o di una pompa per insulina a circuito chiuso e di un sistema di monitoraggio continuo del glucosio.

«Ci sono due sottopopolazioni molto piccole per le quali donislecel sarebbe l’unica terapia praticabile», ha detto Christopher Breuer del Nationwide Children’s Hospital di Columbus in Ohio, per motivare il suo voto a favore. «Ovvero le persone idonee per il trapianto ma che non potrebbero tollerare un intervento chirurgico invasivo e quelli che non tollerano le pompe insuliniche, attualmente il miglior standard di cura».

Analisi di efficacia da più studi clinici
L’analisi di efficacia fornita all’agenzia includeva i risultati aggregati di due studi di fase I/II e III su donislecel, che nel complesso hanno coinvolto 30 soggetti adulti (età media 45,6 anni, per l’80% donne, 100% bianchi) con diabete di tipo 1 da almeno 9 anni.

I pazienti hanno ricevuto fino a tre trapianti contenenti ognuno una dose pari a 10.000 equivalenti di cellule insulari/kg, per favorire il successo dell’attecchimento e l’indipendenza dall’insulina. L’endpoint composito primario degli studi era un livello di emoglobina glicata (HbA1c) del 6,5% o inferiore e l’assenza di eventi ipoglicemici gravi dopo 1 anno dall’ultimo trapianto.

L’analisi aggregata ha mostrato che il 63% dei pazienti ha raggiunto il successo del trattamento come definito dall’endpoint primario e l’83,3% ha raggiunto l’indipendenza dall’insulina dopo il trattamento, definita come il non utilizzo mantenendo l’HbA1c al 6,5% o inferiore due settimane dopo il trapianto.

«I dati sull’indipendenza prolungata dall’insulina sono stati convincenti» ha detto il membro del panel Sean Morrison, direttore del Children’s Medical Center Research Institute presso lo University of Texas Southwestern Medical Center. «I risultati hanno soddisfatto il benchmark minimo di 4 anni di indipendenza per fornire quei benefici che il gruppo di esperti aveva concordato in precedenza. Le evidenze suggeriscono che in molti pazienti hanno avuto benefici con questo tipo di trapianto, quindi ho votato sì, anche se la dimensione del mercato per questa terapia potrebbe diminuire nel tempo».

Richiesti alcuni chiarimenti allo sviluppatore
La Fda ha richiesto ulteriori chiarimenti al produttore in merito ai dati mancanti e all’inclusione di pazienti i cui valori basali potrebbero essere vicini a quelli stabiliti dall’endopoint primario. Ha infatti rilevato che solo il 16,7% dei pazienti in studio ha avuto almeno un evento ipoglicemico grave documentato nell’anno precedente al primo trapianto di donislecel e che il 37% dei soggetti aveva un livello di HbA1c del 7% o inferiore come valore più recente prima del primo trapianto.

«Riteniamo pertanto che il richiedente non abbia dimostrato che il trapianto di cellule insulari allogeniche con donislecel riduca l’incidenza di gravi eventi ipoglicemici o che sia in grado di ripristinare la consapevolezza dell’ipoglicemia nei soggetti trattati» ha scritto l’agenzia nel suo documento informativo.