Il telescopio spaziale Gaia scopre il primo pianeta


È il primo pianeta extrasolare scoperto interamente grazie ai dati raccolti dal telescopio spaziale Gaia dell’Agenzia Spaziale Europea per l’astrometria

Il telescopio spaziale Gaia scopre il primo pianeta

Nato per compilare il più grande censimento mai realizzato delle stelle della Via Lattea, misurando a più riprese le proprietà di oltre un miliardo di sorgenti, il telescopio spaziale Gaia dell’Esa è ora riuscito a scoprire il suo primo esopianeta. Ombre del passaggio di pianeti extrasolari davanti alle loro stelle, a dire il vero, Gaia ne aveva già colte molte altre in passato, ma questo annunciato ieri dal team Cu7 – l’unità del Data Processing and Analysis Consortium di Gaia che si occupa di fenomeni variabili – è il primo in precedenza sconosciuto, dunque individuato per la prima volta proprio dal telescopio dell’Esa.

La stella attorno alla quale orbita ha un nome che sembra le cifre del pi greco, una sequenza di lettere e numeri che da sola basta a dare un’idea della quantità di sorgenti osservate da Gaia: è una stella di tipo solare catalogata come Edr3 3026325426682637824, dove la prima parte dell’impossibile sigla sta per early data release 3 e le 19 cifre che seguono sono il codice che identifica in modo univoco la stella stessa. Ma come si è accorto, Gaia, che attorno a Edr3 3026325426682637824 c’è un pianeta? A tradirne la presenza sono stati quattro lievi affievolimenti della luminosità apparente della stella. Lievissimi, del tutto impercettibili per l’occhio umano: parliamo di appena l’1.5 per cento. Impercettibili ma sistematici, e ripetuti a intervalli regolari. Estremamente regolari: si ripresentano ogni 3.0525 +/- 0.0001 giorni. Aggiungiamoci pure che là nello spazio profondo – a un milione e mezzo di km dalla Terra, dove si trova Gaia – non ci sono né nubi, né aerei di passaggio e nemmeno variazioni atmosferiche, ed ecco che diventa inevitabile interpretare queste variazioni di luminosità come periodiche eclissi parziali: in altre parole, il passaggio di un corpo fra il sensibilissimo occhio di Gaia e il disco della stella osservata. Il transito, come dicono gli astronomi.

Già, ma quale corpo? Non ci sono solo i pianeti, a transitare con regolarità davanti alle stelle. Per quanto più improbabile, in linea di principio potrebbe trattarsi – in un sistema binario, per esempio – anche di un’altra stella, una nana bruna, opaca e con dimensioni paragonabili a quelle di un pianeta. Per stabilire con certezza la natura planetaria del corpo che oscura la luce di Edr3 3026325426682637824 occorreva dunque ricorrere a un secondo metodo osservativo, in grado questa volta di permettere la stima non tanto delle dimensioni dell’oggetto oscurante – come avviene con il metodo dei transiti, giacché l’affievolimento della luminosità è proporzionale all’area del corpo che transita davanti alla stella – quanto della sua massa.

È ciò che consente di fare il metodo delle velocità radiali. Partendo dal principio che non è solo il pianeta a orbitare attorno alla stella ma anche, seppur in misura assai minore, la stella a orbitare attorno al pianeta, è infatti possibile calcolare la massa del pianeta misurando – attraverso lo spostamento periodico delle righe spettrali causato dell’effetto Doppler – i lievi movimenti della stella indotti dal pianeta stesso. È un po’ come provare a stimare la massa della Terra misurando i movimenti che la sua rivoluzione induce sul Sole. Si tratta però di un tipo di misura che Gaia non è in grado di compiere, non almeno con la precisione richiesta. Occorre uno spettrografo ad altissima risoluzione montato su un grande telescopio. Uno strumento come Pepsi, lo spettropolarimetro installato su Lbt, il Large Binocular Telescope, in Arizona. Un telescopio con due specchi da 8.4 metri ciascuno e in parte italiano, essendo l’Inaf membro della collaborazione internazionale dell’Osservatorio Lbt. Ed è proprio sfruttando il cosiddetto Italian Director’s Discretionary Time di Lbt – il tempo al telescopio reso disponibile a discrezione del direttore dell’Osservatorio – che è stato possibile compiere l’osservazione richiesta. A condurla sono stati due astronomi dell’Inaf Oas di Bologna, Felice Cusano e Andrea Rossi, insieme a Ilya Ilyin del Leibniz Institute for Astrophysics di  Potsdam. Risultato: l’oggetto in transito davanti alla stella ha una massa pari a 1.1 volte quella di Giove. Dunque sì, c’è la conferma: è proprio un pianeta. Il primo esopianeta scoperto da Gaia.

«Era solo questione di tempo, ma sapevamo che Gaia avrebbe prima o poi dimostrato le sue potenzialità nel rivelare anche transiti planetari», dice a Media Inaf Gisella Clementini, astrofisica dell’Inaf Oas Bologna e membro dell’unità Cu7 di Gaia che ha firmato la scoperta. «Che la conferma di questo primo pianeta in transito scoperto da Gaia sia stata ottenuta grazie agli spettri acquisiti con un telescopio a partnership Inaf quale Lbt ci riempie ancor più di soddisfazione».

Per saperne di più: