LignoSat: arriva il primo satellite ecosostenibile


Satelliti ecosostenibili: con il legno si può. LignoSat arriva dal Giappone e sembra un pezzo di arredamento minimalista: potrebbe essere lanciato nel 2023

Satelliti ecosostenibili: con il legno si può. LignoSat arriva dal Giappone e sembra un pezzo di arredamento minimalista: potrebbe essere lanciato nel 2023

Ripulire lo spazio, in stile giapponese. No, non stiamo parlando del metodo KonMari della scrittrice nipponica Marie Kondō per riordinare e organizzare la propria casa, ma di un concetto innovativo per la costruzione di satelliti che potrebbe rendere l’esplorazione spaziale più sostenibile. La novità sta nella scelta del legno, un materiale che l’umanità utilizza da epoche che precedono di molto l’era spaziale.

LignoSat, questo il nome del primo satellite artificiale realizzato in legno, sarà progettato in Giappone e lanciato nel 2023, secondo un recente annuncio dell’azienda giapponese Sumitomo Forestry e dell’Università di Kyoto. Ed è solo una tra le varie attività del più ampio progetto LignoStella per lo studio e la promozione del legno come materiale da costruzione sia nello spazio che sul nostro pianeta. Lo sviluppo di materiali lignei per usi spaziali e dunque ultra-resistenti potrà essere applicato anche alla costruzione di edifici: simbolo del progetto sarà un ambizioso grattacielo in legno, previsto per il 350esimo anniversario della Sumitomo Forestry nel 2041.

Tra i promotori c’è Takao Doi, ingegnere e astronauta giapponese, dal 2016 professore presso l’Unità di ricerca spaziale dell’Università di Kyoto. Noto agli appassionati di volo spaziale per lo storico lancio di un boomerang nella Stazione spaziale internazionale nel 2008, il professor Doi ha messo in piedi un programma di ricerca volto a studiare le proprietà meccaniche del legno – risorsa rinnovabile – in condizioni di “vuoto” e la crescita di alberi in ambienti con gravità e pressione molto inferiori rispetto alla Terra.

Pensare a un materiale ordinario come il legno nel contesto avveniristico dell’esplorazione spaziale può sembrare un ossimoro. In realtà, poiché il legno non blocca le onde elettromagnetiche o il campo magnetico terrestre, il suo uso permetterebbe di posizionare antenne e altri dispositivi di controllo all’interno di un satellite, semplificandone la struttura. Parte integrante del programma sarà la ricerca e sviluppo di materiali in legno altamente resistenti alle condizioni estreme a cui i satelliti vanno incontro sia nella fase di lancio che una volta in orbita.

Il progetto promette inoltre di spianare la strada verso una produzione di satelliti artificiali più puliti e rispettosi dell’ambiente: bruciando completamente nel suo rientro verso la Terra, il legno non lascerebbe alcuna traccia nell’atmosfera, al contrario dei materiali utilizzati correntemente.

Un’idea assolutamente fuori dagli schemi della tecnologia tradizionale, allo stato ancora concettuale, ma che preannuncia scenari interessanti su molteplici fronti. Ne abbiamo parlato con Alberto Buzzoni, astronomo all’Osservatorio di astrofisica e scienza dello spazio dell’Inaf di Bologna, esperto di tecnologie spaziali e rappresentante nazionale per l’Inaf in Ocis, l’organismo di interesse governativo che ha in carico l’attività di sorveglianza spaziale per il nostro paese.

Dottor Buzzoni, ci può riassumere il contesto in cui si colloca questo possibile ricorso al legno per applicazioni spaziali future?

«L’esplorazione di nuovi materiali per le applicazioni spaziali è una attività intensa e continua sin dall’inizio dell’era spaziale. Visti i grandi costi dello spazio, l’aspetto economico è certamente un argomento centrale in questa ricerca, ma altrettanto importante è anche la possibilità di avere a disposizione materiali che ottimizzino le prestazioni dei veicoli nello spazio extra-terrestre caratterizzato, come sappiamo, da assenza di pressione, escursioni estreme di temperatura e campi di radiazione ad alta energia potenzialmente letali.

Su questa linea si pone, ad esempio, lo sviluppo di strutture gonfiabili nello spazio, felicemente sperimentato dalla Bigelow (azienda statunitense, ndr) con il modulo abitabile Beam (Bigelow Expandable Activity Module) della Stazione spaziale internazionale, mentre le antiche tecniche dell’origami giapponese hanno contribuito in maniera sostanziale nella tecnologia delle vele e dei pannelli solari, permettendo di stivare strutture dispiegabili molto estese nei ristrettissimi spazi disponibili nei veicoli spaziali, senza danneggiarle».

Perché dunque il legno? Quali sono i possibili vantaggi di questa soluzione del tutto innovativa e, per certi aspetti, rivoluzionaria?

«L’utilizzo del legno in sostituzione dell’alluminio nelle strutture di assemblaggio dei (piccoli) satelliti Cubesat offre certamente un forte risparmio di peso, se consideriamo che il legno pesa circa sei-sette volte meno dell’alluminio… e come tutti sappiamo, il peso, nello spazio, è denaro! Un secondo vantaggio è che il legno è un isolante rispetto alle cariche elettriche della radiazione cosmica e questo è di aiuto per proteggere i microcircuiti a bordo del satellite dalle scariche elettrostatiche, spesso fatali (si pensi ad esempio alla Ram o alla Cpu dei computers).

Infine l’aspetto ecologico, con lo “smaltimento” totale per bruciamento al rientro nell’atmosfera terrestre, alla fine della vita attiva di un satellite. Un’attenzione (tutta orientale) va rimarcata, a questo riguardo, visto che anche l’alluminio evapora totalmente per attrito atmosferico, rimanendo però in aria sotto forma di ossido Al2O3, un composto nocivo ad esempio per lo strato di ozono e in generale per l’equilibrio climatico del nostro pianeta. Il legno ovvierebbe a questo inconveniente».

Quali potrebbero essere invece i limiti e le criticità di questo approccio?

«Il limite maggiore che vedo potrebbe riguardare la stabilità meccanica di una struttura in legno nello spazio. Certamente sarebbe impossibile costruire parti di grandi dimensioni (al momento, stiamo parlando di un CubeSat delle dimensioni di 10 centimetri…). Il problema centrale, in questo caso, è il fatto che, in assenza di atmosfera e quindi a pressione nulla, il legno tende a “degassificarsi”, ovvero a perdere tutti i gas e l’umidità residua contenuta nella sua struttura, a livello cellulare più profondo e questo può portare a deformazioni rilevanti della struttura nonché al pericolo che questi gas rilasciati mandino in cortocircuito l’elettronica a bordo, con esiti gravissimi. Non a caso, gli scienziati giapponesi stanno mantenendo il totale riserbo sul tipo esatto di legno che vanno a utilizzare per l’esperimento del LignoSat e le sue procedure di lavorazione. Questo è un punto fondamentale. Staremo a vedere!».