Psoriasi: farmaci biologici anche per le donne in età fertile


La psoriasi in Italia colpisce quasi 2,5 milioni di persone: anche le donne in età fertile possono essere trattate con un farmaco biologico

Psoriasi: farmaci biologici anche per le donne in età fertile

Ho la psoriasi, i miei figli avranno la mia stessa malattia? La mia gravidanza è a rischio? I farmaci possono impattare negativamente sul decorso e sugli esiti della gestazione? Sono queste alcune delle domande che ancora oggi si pongono le donne in età fertile che soffrono di questa malattia dermatologica, che in Italia colpisce quasi 2,5 milioni di persone, il 3% della popolazione generale, di cui il 10% presenta una forma moderata-severa di malattia.

Oggi, queste pazienti possono portare a termine una gravidanza in modo sicuro, grazie a terapie che, da un lato, sono in grado di controllare la malattia in modo efficace, e, dall’altro, non impattano sulla qualità della vita della donna e sulle sue scelte.

Di questi temi si è parlato pochi giorni fa in occasione del simposio “La donna in età fertile con psoriasi oggi: quale scelta terapeutica per il suo domani?” che si è tenuto in occasione del Congresso della SIDeMaST, la Società Italiana di Dermatologia medica, chirurgica, estetica e delle Malattie Sessualmente Trasmesse.

“Le donne con psoriasi hanno diversi bisogni insoddisfatti. La malattia ha un impatto psicologico maggiore nel genere femminile e spesso, queste pazienti traggono dalla loro malattia anche una fatica maggiore nell’immaginarsi madri. A questi aspetti, non di poco conto, si aggiungono poi quelli strettamente legati alla terapia farmacologica e al suo impatto sulla gravidanza”, ha spiegato la Prof.ssa Francesca Prignano, Dermatologa dell’Università degli Studi di Firenze.

L’impatto psicologico della malattia: differenze tra uomo e donna
Alcuni studi dimostrano che le donne abbiano aspettative maggiori nei confronti del trattamento rispetto agli uomini: ad esempio le donne sentono di più la necessità di essere attive, di non pesare sulla famiglia, di avere una guarigione più rapida. Ci sono quindi delle esigenze, a cui il medico dovrebbe essere sensibile, che sono più spiccate nel genere femminile, rispetto a quello maschile.

Inoltre, le donne avvertono il senso di stigmatizzazione in maniera più intensa, rispetto agli uomini e l’impatto psicologico della malattia è maggiore nel sesso femminile. I dati ci dicono che più del 60% delle donne con psoriasi soffre di stress, rispetto al 42% degli uomini e dal 25 al 28% di queste donne sperimenta un senso di solitudine, rispetto al 19-24% del sesso maschile. In generale, la malattia impatta negativamente sul grado di soddisfazione nei confronti della propria esistenza in maniera maggiora nelle donne.

Anche la giovane età impatta negativamente sugli aspetti psicologici della malattia. In generale, il sesso femminile e la giovane età impattano negativamente sul livello di soddisfazione, sul senso di solitudine e di stress dei pazienti con psoriasi. Inoltre, bisogna ricordare che le donne manifestano maggiormente i sintomi della psoriasi a livello genitale e questo impatta ulteriormente, in modo negativo, sull’aspetto psicologico della malattia.

Come ha spiegato la Prof.ssa Clara De Simone, della SC di Dermatologia della Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS e Università del Sacro Cuore d Roma, “anche se sembra che la psoriasi abbia un livello di severità maggiore nell’uomo, l’impatto della malattia in termini di qualità della vita è maggiore nelle donne. Ma se consideriamo i trattamenti più efficaci, come quelli con farmaci biologici, le donne hanno un acceso minore a queste terapie. In particolare, solo il 32,9% delle donne riceve un trattamento con biologici, rispetto al 67,1% degli uomini”.

“Nella definizione del trattamento bisogna considerare la severità di malattia, le comorbidità, ma anche le esigenze e gli bisogni insoddisfatti in rapporto al genere, ha spiegato De Simone. Questo comporta la necessità di allineare gli obiettivi terapeutici alle aspettative della paziente e all’impatto sulla qualità della vita”.

L’impatto della malattia sulla gravidanza
I dati ci dicono che l’età media di comparsa della psoriasi nella donna è circa 28 anni e il 75% delle pazienti presenta la malattia prima dei 40 anni, quindi nel pieno dell’età fertile. Questo è un momento centrale nella vita di una donna perché è il periodo in cui si pianifica una gravidanza, si assiste alla nascita dei propri figli ed è il periodo dell’allattamento. Tutti questi sono eventi caratterizzati da modificazioni di tipo ormonale e l’attività di malattia può fluttuare in rapporto agli ormoni.

Inoltre, i dati ci dicono che le donne con psoriasi moderata-severa tendono ad avere meno figli (50% in meno) rispetto alla popolazione generale di pari età. Inoltre, circa il 45% delle pazienti incinte non ha programmato la propria gravidanza.

In aggiunta, i registri ci dicono che le pazienti psoriasiche affette dalla forma di malattia severa possono avere esiti di gravidanza negativi, come un basso peso alla nascita e ipertensione gestazionale, anche quando si eliminano fattori di rischio, come fumo e ipertensione.

L’impatto della gravidanza sulla malattia
In circa il 50% delle pazienti la psoriasi tende a migliorare durante la gravidanza, ma in circa il 20% delle donne la malattia peggiora durante questo periodo. Inoltre, nel 65% dei casi la malattia tende a ripresentarsi nel post partum.

In aggiunta, se si considerano le pazienti che sospendono il trattamento nel momento in cui intendono intraprendere una gravidanza, il 45% di queste donne tende a peggiorare.

“Questi dati evidenziano la necessità di prendere decisioni condivise e di informare in modo adeguato la paziente con psoriasi che intende intraprendere una gravidanza. E’ anche importante avere un approccio multidisciplinare e coinvolgere la donna nella pianificazione del proprio programma terapeutico, in particolare in previsione di una gravidanza o dell’allattamento”, ha precisato De Simone.

I farmaci biologici nella psoriasi
Secondo un’indagine condotta in Europa e negli Sati Uniti, i dermatologi non ritengono che controllare la malattia durante la gravidanza possa essere un obiettivo primario. Questo perché gli specialisti si sentono poco confidenti nell’utilizzare determinati farmaci in gravidanza, in particolare i biologici.

L’anno scorso, un gruppo di esperti dermatologi italiani ha messo a punto una Consensus per definire il “place in therapy” degli anti-TNF nel trattamento della psoriasi. La Consensus è stata pubblicata il 19 marzo 2020 sulla rivista dell’Accademia Europea di Dermatologia e Venereologia (JEADV).

Come ha spiegato il Prof. Paolo Gisondi, Presidente del Consiglio della Scuola di Specializzazione in Dermatologia e Venereologia dell’Università degli studi di Verona, tra gli autori della Consensus, “Il panorama terapeutico della psoriasi è estremamente ricco. Gli inibitori del TNF alfa rappresentano la prima classe di biologici approvata per questa patologia, circa 15 anni fa, quindi la loro efficacia e sicurezza è ben nota. Abbiamo imparato a usare questi farmaci sia in termini di dose escalation che di dose reduction e anche in combinazione con altri farmaci. Siamo in grado quindi di maneggiare bene queste molecole, di cui siamo molto confidenti. Ci sono poi delle sottopopolazioni di pazienti in cui gli anti TNF possono avere un ruolo privilegiato, come le persone con artrite psoriasica, malattie infiammatorie croniche intestinali, uveite e idrosadenite. Inoltre, la popolazione pediatrica, soprattutto quella tra i 4 e gli 11 anni, rappresenta un buon candidato per il trattamento con gli anti-TNF. Infine, uno di questi farmaci, certolizumab pegol, può avere un ruolo privilegiato nella donna in età fertile”.

Il ruolo di certolizumab pegol nelle donne in età fertile
Sulle caratteristiche dell’anti TNF certolizumab pegol si è soffermato il Dott. Paolo Dapavo, dermatologo presso l’Azienda Ospedaliero Universitaria, Città della salute e della scienza di Torino, il quale ha spiegato che questo anticorpo monoclonale umanizzato è costituito da un frammento Fab PEGilato. La PEGilato aumenta l’emivita della molecola all’interno dell’organismo e consente il passaggio del farmaco dal sangue al latte materno in quantità molto ridotte. Inoltre, l’assenza della regione Fc dell’anticorpo non ne consente il passaggio attraverso la placenta, quindi dalla madre al feto.

Dai tre studi registrativi condotti sul farmaco (CIMPASI 1 e 2 e CIMPACT) è emerso che certolizumab pegol è più efficace del placebo e dell’anti TNF di confronto in termini di PASI 75 a 16 e 12 settimane, rispettivamente. Inoltre, l’efficacia è stata più marcata nei pazienti naive alla terapia con biologici e l’efficacia in termini di PASI <2 e 3 a 3 anni, con entrambe le dosi del farmaco (200 e 400 mg), si è mantenuta nel tempo in una buona percentuale di pazienti trattati (7 pazienti su 10 e 6 pazienti su 10 con le dosi da 400 e 200 mg). Dagli studi, è emerso anche che è possibile modulare il dosaggio terapeutico a seconda delle esigenze terapeutiche e del paziente. Per quanto riguarda la sicurezza, gli eventi avversi segnalati sono stati sovrapponibili a quelli dell’anti TNF di confronto.

“Certolizumab pegol ha ottenuto la rimborsabilità per il trattamento della psoriasi lo scorso maggio. Si tratta di un farmaco attuale, un anti TNF che ha delle caratteristiche nuove, come la flessibilità di dosaggio e la possibilità di utilizzo anche nelle donne in gravidanza e allattamento. Anche nella mia pratica clinica quotidiana ho riscontrato che l’accesso alle terapie biologiche è ridotto nel sesso femminile, perchè il fattore fertilità e gravidanza costituisce un freno all’utilizzo di questi farmaci. E’ anche vero che il fatto di avere una malattia moderata-severa aumenta il rischio di problemi durante la gravidanza. La possibilità di avere a disposizione un farmaco che permetta di gestire meglio una fase importante della vita della donna è molto significativo. Queste caratteristiche ci permettono di avere un’arma terapeutica in più per quella che è la nostra pratica clinica quotidiana”.

“Le donne in età fertile devono essere trattate con un farmaco biologico, soprattutto con un farmaco come certolizumab pegol, senza alcun timore, in quanto si tratta di un farmaco efficace con un profilo di sicurezza di tutto rispetto, perché non passa attraverso la placenta e nel latte materno. Anche nelle donne che non programmano una gravidanza, ma che decidono in corso di terapia di intraprendere una gravidanza, possiamo essere sicuri che abbiamo a disposizione un farmaco con garanzia di efficacia e sicurezza anche nelle donne”, ha concluso Prignano.